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Brexit Che fine ha fatto il diritto di libera circolazione nella UE di Carlo Caldarini

Le norme comunitarie continueranno ad applicarsi nel Regno Unito, come in tutti i Paesi membri dell’Unione. Anche se, relativamente ai contenuti, agli sviluppi e alla durata dei futuri negoziati, è difficile dire cosa succederà nei prossimi mesi e anni

| Scritto da Redazione
Brexit  Che fine ha fatto il diritto di libera circolazione nella UE di Carlo Caldarini

Il 23 giugno 2016, la maggioranza degli elettori britannici ha votato in favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Come ha osservato il filosofo tedesco Habermas, il populismo è riuscito a battere il capitalismo nel suo stesso paese d’origine. Un fatto d’inaudita gravità, e senza precedenti. Anche se in verità, e per dirla tutta, almeno altrettanto scalpore avrebbe dovuto provocare la notizia, non dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, ma finalmente della sua effettiva entrata. Avrebbe cioè fatto ugualmente notizia se la maggioranza del popolo britannico, e la sua élite politica, si fossero decisi, una volta per tutte, a entrare davvero nell’Ue. E a farlo con entrambi i piedi: non solo con quello del libero mercato, ma anche con quello della cooperazione.

Fin dal 1973, data di ingresso del Regno Unito nell’Ue – e ininterrottamente dalla Thatcher a Blair, fino a Cameron – nei riguardi di Bruxelles questo Paese ha sempre condotto una politica fatta di riserve, seguendo la massima “lavami, ma non mi bagnare”, per usare ancora un’espressione di Habermas. Adesso, invece, i giochi sono fatti. Ci si chiede ora cosa succederà, mentre il dibattito continua a essere dominato da argomenti populisti e demagogici. I media europei hanno per esempio dato ampio risalto alcuni giorni fa alle dichiarazioni di Theresa May, nuovo leader del partito conservatore britannico, e nuovo primo ministro, secondo la quale la permanenza nel Regno Unito dei cittadini europei lì residenti – siano essi lavoratori, studenti o pensionati – non sarà scontata dopo che sarà stato formalizzato e compiuto il processo di uscita di questo paese dall'Unione. (…)

In particolare, le norme europee sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale continueranno ad applicarsi nel Regno Unito, come in tutti i Paesi membri dell'Ue, dello Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e in Svizzera. Continuerà ugualmente ad applicarsi il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente, come stabilito dalla Direttiva 2004/38. Questo periodo dovrebbe durare al massimo due anni, a partire dalla notifica ufficiale al Consiglio da parte del Regno Unito. Per il resto, i contenuti, gli sviluppi e la durata dei futuri negoziati in seno alle istituzioni europee sono attualmente sconosciuti. Difficile dire a caldo cosa succederà nei prossimi mesi e anni.(…)

Dal punto di vista economico, tutti gli studi esistenti, tra cui quelli della stessa Commissione europea, hanno dimostrato che la migrazione non è una minaccia per i bilanci dei Paesi d’accoglienza. Al contrario, il valore del contributo finanziario che la popolazione straniera apporta alle casse dello Stato sotto forma di imposte fiscali e contributi sociali è, nel suo insieme, superiore a quello degli aiuti e delle prestazioni che a vario titolo, gli stranieri ricevono dallo Stato. In Belgio, secondo l’Ocse, il contributo fiscale netto di una famiglia di stranieri oscilla tra i 9mila e i 17mila euro l’anno. A contare è dunque l’effetto demagogico, non certamente quello economico.

Per porre un freno a questa pratica abusiva e ingiusta, insieme al sindacato belga Fgtb, l’Inca Cgil ha redatto e depositato nelle mani della Commissione europea un dossier giuridico di oltre 100 pagine, che prova – con fatti, testimonianze e cifre – che il comportamento delle autorità belghe vìola il diritto europeo, e precisamente la Direttiva 2004/38 sulla libera circolazione dei cittadini europei, e il Regolamento 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

La Commissione europea, che appena due o tre anni fa osava sfidare gli argomenti xenofobi e populisti di certi Stati membri, si sta ormai allineando su posizioni – per cosí dire – di estrema prudenza. Non volendo contrariare troppo i governi conservatori, e non potendo neanche dar loro ragione sul piano giuridico, l’esecutivo di Bruxelles si rifugia ora dietro argomenti del tipo: “Non rientra nei poteri della Commissione esaminare le valutazioni effettuate dalle autorità nazionali nell'esercizio delle loro funzioni, né valutare la situazione di fatto per quanto riguarda singoli casi” (lettera della Commissione europea all’Inca Cgil, dell’11 luglio 2016). (1/continua)

Carlo Caldarini è direttore dell’Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa

Fonte: Rassegna Stampa

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