Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 06.52

CIAO, TURO di Gigi Rossetti Rossi (Cremona)

Il mio omaggio ad una vita densa di relazioni e umanità vissuta nell'impegno attivo per un mondo di liberi ed eguali con il sogno operoso di quella "semplicità che è difficile a farsi" Claudio Turati, improvvisamente, se n'è andato. Una bruttissima realtà. Un dolore autentico e profondo, per me come per tante e tanti.

| Scritto da Redazione
CIAO, TURO di Gigi Rossetti Rossi (Cremona)

In questo momento di angoscia, poichè ne sento visceralmente il bisogno, voglio condividere anche qui il ricordo che io ne serbo, la percezione che io porto con me dell'incontro di una vita con quel signore adulto con la barba: un uomo libero, realista e visionario, critico e costruttivo, radicale e popolare, autonomo e unitario...

Ho conosciuto il vecchio Turo negli anni ottanta della mia giovinezza, all'incrocio un po' casuale e un po' destinato di diversissimi percorsi esistenziali e di impegno.

Io ero un giovane studente influenzato da tendenze etico-estetiche eterogenee e ispirato da suggestioni rivoluzionarie talvolta contraddittorie, che in anni di prevalente "riflusso" e di rampante "edonismo reaganiano", elaborando reminiscenze adolescenziali sul movimento del '77, stava "diventando comunista" con la "nuova Fgci" di Pietro Folena, Nichi Vendola, Raffaella Bolini... ri-fondata sull'autonoma soggettività di generazione.

Lui era un distinto insegnante di educazione fisica, dedito alla lettura "novecentesca" di saggistica politica e all'osservazione partecipante di sport agonistico (della Cremo più bella di sempre, in particolare) che dopo qualche anno di allontanamento dallo spazio pubblico seguito alla prima fase complessa e inquieta del suo lungo impegno tornava ad una pratica quotidiana di militanza politica nel PCI.

Ma Claudio all'inizio era, per me, soprattutto, il papà di Marco, il giovane Turo, amico e compagno uguale e diverso nelle nostre prime avventure politiche (e non solo) giovanili, dal coordinamento studentesco (ma lui dal Liceo, io nell'Itis...) al movimento per la pace ("contro la folle corsa al riarmo e l'assurda logica dei blocchi", come recitava giustamente la nostra retorica di allora), fino appunto alla scelta di militare nella organizzazione politica giovanile (per lui pregressa e strutturata, per me maturata in progress tra non pochi dubbi e inquietudini...).

Claudio Turati era una figura particolare, nella mia esperienza ingenua del grande mondo-pci cremonese di quei primi anni. Un po' defilata, tra assidue presenze e momentanee assenze; un po' indecifrabile, tra austera riservatezza e bonaria umanità: sempre e comunque seria e rigorosa quanto ascoltante e dialogante, rispettosa delle altrui opinioni e delle altrui scelte, quanto ferma nella nettezza dei suoi principi e della sua coerenza. Sempre e comunque cristallina sul piano morale, fondata su di un'etica della politica come missione e passione disinteressata per l'Umanità.

Un profilo di militante ad un tempo intellettuale e agit-prop, tra vocazione da avanguardia e tensione al lavoro popolare, nella società e nel territorio. Portatore di una cultura politica complessa, centrata su di una visione comunista nei fondamentali del marxismo-leninismo ma assolutamente libera e critica, insofferente ad ogni ortodossia e curiosa verso ogni eresia, a partire dal piano dottrinario nella galassia del comunismo italiano, europeo e internazionale per allargarsi ad ogni pensiero ed esperienza storica anche contingente del "campo" del movimento operaio e democratico mondiale. Non so, non posso e non voglio andare oltre, nel riferirmi alla cultura politica di Claudio e alla sua visione del comunismo, chè sono certo Lui non si riconoscerebbe nel disegno che ne potrei fare io...

Dentro le trasformazioni e gli sconvolgimenti di fine secolo, venne presto per noi il tempo delle scelte, la "Svolta" della Bolognina, con il portato di interrogativi e certezze, confronti e scontri, anche drammatici, tali da arrivare a condizionare, inquinare, travolgere persino le relazioni interpersonali tra quelli che fino a quel giorno - pur tra differenze di valutazione politica e di riferimenti socio-culturali - erano amici e compagni fraterni di una comunità vera. Un passaggio storico che costituì un vero e proprio macigno, allora vissuto così soprattutto dal punto di vista soggettivo, che poi si rivelò tale anche per il suo impatto oggettivo nei processi sociali culturali e politici nell'intero campo democratico e quindi sull'insieme della democrazia italiana.

Quel giorno il mio rapporto con Claudio Turati cambiò, per sempre. L'adulto barbuto portatore di una solida base ideologica comunista e il giovane sbarbato portatore di una eterogenea visione politico-esistenziale socialisteggiante si trovarono naturalmente fianco a fianco, dalla stessa parte. Contro quella Svolta, tutti e due, così diversi, per ragioni e con atteggiamenti in fondo così simili.

E allora NO ad Occhetto e alla sua liquidazione, ma anche a Cossutta e alla sua restaurazione; e invece, sì, con Pietro Ingrao, il grande vecchio della sinistra comunista, per una "rifondazione" intesa come ricostruzione dalle fondamenta di un progetto di liberazione individuale e collettiva: con Ingrao, l'uomo del dubbio e della coscienza critica nell'approccio al marxismo, delle incertezze e degli errori, con tante vere lacrime e senza una vera corrente interna al Pci, coerentemente con l'animo di libertà e il tarlo del dubbio, con la coscienza del limite imparata dal femminismo e dall'ambientalismo, con il disarmo unilaterale imparato dal pacifismo e dalla nonviolenza, con lo spirito libertario imparato dall'anarchismo e dai nuovi movimenti giovanili.

Già, anche se Claudio non si sarebbe mai definito così, nei fatti, al passaggio che contava, ora eravamo entrambi degli "ingraiani": gli acchiappanuvole, quelli che volevano la luna delle "cose impossibili", che ricercavano in un "nuovo socialismo" il "vero comunismo" come autogoverno di una democrazia dei soggetti antagonista del sistema di produzione capitalistico, fuori e contro la degenerazione di quello statalismo totalitario cristallizzato nelle forme storiche del "socialismo reale" novecentesco che dal blocco "sovietico" ai nuovi satrapi post-coloniali, attraversando in qualche modo la paranoia del brigatismo europeo, così come gli individui e i popoli opprimeva crescentemente anche quell'ideale di liberazione umana sotto il peso dei suoi orrori.

L'ingraismo, gli ingraiani: eravamo tanto influenti in tanti mondi vitali in Italia e nel Mondo - dal sindacalismo operaista ai movimenti altermondialisti, dal mondo cattolico al popolo della pace, dai nuovi ecologisti alle donne della differenza, dal costituzionalismo progressivo alla democrazia partecipativa - quanto frammentati diversificati problematici nella lotta politica interna al partito: una "tendenza" politico-culturale, una corrente ideale aperta al dialogo con gli altri mondi, mai organizzata davvero come "corrente" di potere nello scacchiere variegato del vecchio Pci; incapace programmaticamente di organizzare sistematicamente l'opinione e il voto dei militanti e degli iscritti per affermare i propri contenuti, come invece sapevano fare molto bene - nelle differenziate dialettiche con il grande "centro" berlingueriano - da un lato, la potente (non certo solo per la bontà delle proprie argomentazioni...) area della destra migliorista (di cui vedremo poi l'eredità prevalente nella deriva neoliberista della sinistra mainstream e nella conseguente ed inevitabile degenerazione affaristica del suo ceto politico-amministrativo) e dall'altro, quasi in un gioco della parti, nel suo sterile recinto, la tetragona falange filo-sovietica nostalgica dei bei tempi andati (?), di cui pure Cremona era una piccola capitale.

Ci battemmo per quel che sapevamo e potevamo, insieme, io e Claudio, con tante altre compagne e tanti altri compagni, nel partito e nella sinistra, per "tenere aperto l'orizzonte del comunismo come forma di relazioni non alienate e non mercificate, non riducibili nel dominio pervasivo del produrre e del consumare". Senza altro mezzo che non la nostra passione e la nostra gratuità, con qualche articolazione di vedute e di personalità al nostro interno, ottenemmo anche a Cremona un buon risultato congressuale, raccogliendo il consenso di circa un terzo del popolo comunista (sì, del popolo: chè quel Pci lacerato e in difficoltà allora contava comunque oltre 10.000 iscritti nella nostra provincia). Ma eravamo sconfitti, il Pci veniva inopinatamente "sciolto" e in un ambiguo ma agibile humus politico-culturale di sinistra nasceva "la cosa", il Pds.

Coerenti con la proposta della nostra mozione congressuale, noi, io e Claudio insieme, non operammo alcuna scissione, come peraltro fecero la maggior parte dei compagni, restando nel nascente Pds. Altri oppositori, invece, a Cremona essenzialmente quelli della componente "cossuttiana", fecero un'altra scelta, uscendo dal partito e promuovendo la nascita di Rifondazione Comunista.

Noi provammo ad accettare la sfida, a "stare nel gorgo", a continuare il nostro percorso di impegno nel nuovo partito, fino ad entrare, io e lui insieme, come rappresentanti dell'area politica dei Comunisti Democratici, nella Direzione provinciale e regionale del PDS. Ma gli spazi si restringevano sempre più e il nuovo partito, anche a livello locale, assumeva violentemente i tratti di una cultura politica destinata rapidamente a mutare geneticamente la natura sociale e programmatica della principale forza della sinistra italiana.

Le cose andarono come sappiamo. Tempo un paio d'anni e il Pds arrivò alla famigerata "astensione politica e fiducia morale" al primo governo "tecnico" di Ciampi, composto da tecnocrati della grande borghesia capitalistica nazionale e da vecchi politici moderati-conservatori, con un programma organicamente neoliberista. Una operazione che poi ha fatto tendenza... Su questo passaggio la nostra area si lacerò, con la scelta di Ingrao di uscire dal partito. Avevamo perso. Ancora una volta, singolarmente e liberamente, io e Claudio arrivammo spontaneamente alla stessa conclusione: confrontandoci e verificando questa convergenza di scelte, annunciammo pubblicamente con una lettera congiunta scritta a quattro mani la nostra uscita dal Pds "per continuare a costruire nella società e nel territorio, nel rapporto con altri mondi vitali, una "nuova sinistra sociale". E così facemmo, in modi e luoghi differenti.

Negli anni successivi, le nostre scelte, conseguenti al rispettivo sentire e alle rispettive vocazioni, ci portarono a percorrere strade diverse. Io restai/tornai essenzialmente ad un impegno civile e sociale (nei movimenti giovanili, nel movimento per la pace, poi nell'Arci e nel Social Forum...), lui dopo qualche anno, dopo l'avvento della nuova segreteria Bertinotti e infine la fuoriuscita dei cossuttiani nel Pdci, decise di iscriversi a Rifondazione Comunista. Riprese un percorso di impegno e di militanza politica diretta, che lo portò ben presto ad assumere ruoli dirigenti e a divenire una delle figure più conosciute e stimate di quel partito nella nostra provincia.

Nell'ultimo ventennio, nella diversità di ruoli e valutazioni politiche, inevitabilmente rimanemmo un po' più distanti: mantenemmo però, con un rispetto assoluto, una reciproca stima ed una grande considerazione politica ed umana. Quando ne avevamo l'occasione, continuavamo momenti di confronto e consultazione. Incontrandoci, magari per caso, in tarda serata a margine di una iniziativa pubblica o di primo mattino al bancone di un caffè, partivamo regolarmente con discussioni a tutto campo che duravano ore...

Negli ultimi anni, per scelta e per necessità, Claudio rinunciò a ruoli formali nel Prc, mantenendo però sempre un livello di impegno fatto di attenzione, riflessione, ascolto, dialogo, umanità. In assoluta coerenza con una identità politica ed umana fatta di quel che per entrambi, pur nominata e declinata in modi differenti, continua a chiamarsi "bisogno di comunismo".

Da ultimo, in questi mesi, Claudio teneva molto a seguire le attività del tentativo originale di innovazione e unità dal basso a sinistra che ha preso le forme contingenti del percorso de L'Altra Europa con Tsipras: ne coglieva appieno la domanda di radicale rinnovamento dell'azione politica, ripartendo dal fondarla nella cittadinanza attiva e nell'impegno sociale. Orgogliosamente, manteneva anche la sua antica concezione della politica nella tradizione organizzativa del partito. Tra convergenze e divergenze, contraddizioni e condivisioni, i nostri percorsi erano tornati ad incrociarsi.

Come sappiamo, purtroppo, questi tempi non sono stati ancora capaci di ritrovare fiducia e speranza in un credibile progetto collettivo: anche per lui, come per tutti noi, non hanno portato magnifiche sorti e progressive, nè consensi, nè successi. E tuttavia, smaltiti periodici sacrosanti momenti di scoramento, Claudio era uno che non abbandonava mai, che non mollava mai, che non si arrendeva mai a questo presente grigio chiuso al futuro, su cui gravano ombre di una latente e crescente barbarie: il capitalismo reale che disvela infine il suo volto vero, la sua sostanziale incompatibilità con la democrazia, la pace e il bene comune; con l'Umanità e con il Pianeta...

Claudio, come me, come tante e tanti di noi, non aveva più - come in fondo non aveva mai avuto - modelli sicuri e risposte garantite. Ma la certezza dei propri ideali e della propria morale, quella sì, quella non gliela potrà togliere mai nessuno. Con il coraggio di continuare a cercare, a provare, a lottare: nel rapporto con la storia, il presente e il futuro delle classi subalterne, nella ricerca del confronto con gli altri mondi vitali, nel dialogo con gli altri uomini e le altre donne, nella tensione per l'interesse popolare generale.

Tra ricordi di una vita comunque intensa e bella, fatta di riflessioni, incontri, esperienze importanti; le delusioni e le angoscie per un sogno troppe volte tradito dagli uomini e dalle cose; la volontà e la determinazione di continuare a inseguirlo...

Oggi Claudio ci ha lasciato così, discreto e sobrio come sempre, in un attimo e senza disturbare, nell'ultimo luogo del suo impegno di una vita.

E' una perdita grave per la democrazia di questa città: per il suo partito, per le sue compagne e per i suoi compagni, per tutte e tutti quelli che ancora sognano e provano, ogni giorno, dal basso, nella loro vita, nelle loro piccole e grandi scelte, nel loro rapporto con questo mondo, ciascuna e ciascuno a modo suo, a partire dai propri valori e delle proprie condizioni, a cambiarlo in meglio, a farlo più giusto e più libero, più degno e più bello per la vita di ciascuno/a e di tutti/e.

A tutte e tutti loro, a tutte e tutti noi, resta il bisogno e la possibilità di portarcelo un pochino dentro, in un angolo della mente e del cuore.

Al suo Partito, il diritto e il dovere di trovare il modo di onorarne la vita e l'opera per il bene comune.

Ma soprattutto ai suoi cari, voglio e devo, vogliamo e dobbiamo oggi e per il domani far sentire il calore di un affetto e di una riconoscenza che Claudio si merita.

A Marco, suo figlio diverso per il giusto che si deve essere dai padri, mio amico sincero sempre presente nei momenti più difficili, anche se il cambiarci della vita ci ha portato un po' distanti e distinti; a Elda, sua compagna di una vita di libertà, donna intelligente e forte, capace di inventarsi e di cimentarsi con sfide sempre nuove.

A Claudio, con il dolore dell'addìo, il mio ricordo per tutto quello che abbiamo condiviso, il mio ringraziamento per tutto quello che mi ha insegnato, il mio affetto per tutte le volte che mi ha sopportato.

E infine, adesso sì: un saluto a pugno chiuso, alla maniera dei comunisti.

Gigi Rossetti Rossi (Cremona) 

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