Martedì, 23 aprile 2024 - ore 17.29

Islam: paura della democrazia di Rosario Amico Roxas

Il fondamentalismo islamico sta cercando di darsi una patria comune per meglio organizzare la fusione tra il nazionalismo e la religiosità, alterando il significato di entrambi i termini

| Scritto da Redazione
Islam:  paura della democrazia  di Rosario Amico Roxas

Dovrebbe emergere con estrema chiarezza che nei fatti in corso di ulteriore sviluppo non emerge nessuna domanda di democrazia, almeno per come la intendiamo in Occidente.

Ci sembra doveroso affrontare il problema partendo dalla “verità”, e riconoscendo anche le colpe dell’Occidente che hanno promosso la radicalizzazione di un terrorismo del quale non si trova via d’uscita se non si affrontano gli aspetti che ne hanno causato la medesima radicalizzazione.

Il rapporto tra Occidente e medio e vicino oriente, cioè con i popoli arabo-islamici, è stato di sopraffazione da parte dell’Occidente, prima sotto forma di colonialismo militare, quindi sempre di colonialismo, ma economico; l’Occidente ha avanzato tali impostazioni sostenendo trattarsi di legittima difesa, come le “guerre preventive” della banda  B/3:  Bush, Blair, Berlusconi, che, ormai tutti i politologi condannano come guerre di aggressione, che hanno suscitato il nazionalismo, ormai assimilato alla religiosità di parte.

L’Occidente ha acuito queste forme difensive, insistendo con la logica della supremazia, così anche quella parte del mondo arabo aperto alla possibilità di integrazione con l’Occidente ha trovato nello stesso occidente il maggior ostacolo, in quanto ha avallato le posizioni estremiste del nazionalismo e dell’integralismo, favorendo, addirittura, la loro fusione; in tal caso, quando il nazionalismo si fonde con l’integralismo scaturisce una miscela altamente esplosiva, poiché l’esigenza sociale di indipendenza dallo straniero finisce con il servirsi dell’intolleranza integralista della religione per armare le più crudeli rappresaglie. Il mondo arabo si ritrovò nella impossibilità di costruirsi una evoluzione ad indirizzo umanistico, in quanto avrebbe dovuto mediare la propria storia con il patrimonio culturale del colonizzatore, a rischio di perdere la propria unità ed entità; così l’esigenza di unità della cultura araba si ritrova, ancora oggi, a dover rispettare le diversità fra le sue variegate differenze, più che tentare una strada di integrazione, per non restare soffocata dalla sua storia e dalle sue tradizioni, che sono poi i loro hudud culturali (paure storiche), con i quali vengono esorcizzate le violenze coloniali dell’Occidente. Praticamente viene contestata la “libertà di pensiero” propugnata dai colonizzatori, in forza del proprio patrimonio razionalista, a vantaggio della “libertà di essere diversi”, come frutto del rifugiarsi nella propria storia e nelle proprie tradizioni.

Quello che i governanti arabi non compresero  (e ancora oggi non comprendono) fu che, escludendo la “libertà di pensiero”, cioè la razionalità in costante sviluppo, il popolo si sarebbe indebolito sempre più, fino a diventare quella massa disabile e impotente che le due guerre del Golfo hanno mostrato in diretta TV. E’ per questa ragione che le guerre contro i popoli arabi hanno sempre due fasi; la prima quando l’Occidente scatena la sua tecnologia bellica contro eserciti in fuga e popolazioni indifese; la seconda quando l’arroganza dei vincitori della prima fase della guerra stimola la fusione tra nazionalismo storico e integralismo religioso, allora esplode quella miscela che lo stesso Occidente ha innescato. Questa seconda fase è una guerra che la tecnologia occidentale non potrà mai vincere, perché condotta ai limiti ultimi della esasperazione, al punto di trasformare gli uomini in bombe umane. ! Sempre più, così, l’ideale democratico diventa diramazione dell’Occidente, di quell’Occidente che da solo si è dichiarato “il nemico”. Il mondo arabo non ha avuto alcuna possibilità di istruirsi su punti essenziali, come la sovranità dell’individuo svincolato dalla massa e la libertà di opinione, che costituiscono la base culturale dello sviluppo umanistico; né l’Occidente ha mai cercato di fornire elementi di istruzione, mandando sempre avanti le proprie pretese colonialiste o neo-colonialiste.

Non per nulla i popoli arabi, e nella stessa dimensione anche i popoli del terzo mondo, hanno trovato sempre governi militari o sostenuti dai militari. Gli intellettuali, che avrebbero potuto modificare l’itinerario verso una diversa composizione sociale, sono sempre stati trascurati dall’Occidente e trattati come agenti del nemico all’interno, in quanto portatori di nuove ideologie, come l’esigenza di tenere separate le sfere sociali del nazionalismo con le quelle religiose dell’integralismo. Così non avvenuta la rottura con quel passato medioevale che usava il sacro per legittimare e mascherare anche governi arbitrari o dittatoriali come nel caso di Saddam in Iraq. L’Occidente aveva tutto l’interesse ad ostacolare lo sviluppo in senso culturale, perché così sarebbe rimasta quella massa indebolita e impotente, tenuta sotto controllo da una sola persona, più facilmente manovrabile e ricattabile, altrimenti facilmente removibile con la forza, in quanto non avrebbe mai avuto il sostegno del suo popolo. La guerra civile che si è scatenata in Iraq non è una guerra di religione tra sciiti e sunniti; non è una guerra tra sostenitori di Saddam e suoi avversari; è una guerra tra una minoranza che accetta la presenza occidentale perché inglobata nel sistema emergente di pubblici latrocini e la maggioranza che vuole l’indipendenza e il rispetto della propria sovranità nazionale. Quello che l’Occidente non ha saputo prendere in considerazione è stata la conseguenza che ha generato e provocato, e, cioè, proprio quella fusione tra nazionalismo e integralismo che non è promosso dalle masse popolari, ma può riuscire a coinvolgerle in quella che è diventata una shari’a, una guerra santa contro l’invasore e chi lo sostiene.

La democrazia è diventata così una diramazione del nemico e non esiste neanche un termine arabo che la identifichi, così come altri prodotti occidentali non hanno un corrispettivo arabo. Democrazia in arabo si chiama dimuqratiyya, così come automobile si chiama tumubil (esiste la parola araba siyara, ma nella mia permanenza più che decennale nel mondo arabo non ho mai sentito un meccanico dire siyara); lo stesso dicasi per tilifun, tilivisiun. Ma ciò non va visto come accettazione di quel nome a preferenza del corrispettivo arabo che pure i glottologi si sono sforzati di creare, ma come accettazione di quell’oggetto che è entrato nell’uso comune, cosa che non è accaduto per la democrazia, respinta, secondo la loro ottica, perché metodo politico occidentale, foriero solo di guerre, di aggressioni e di colonialismo.

 Rosario Amico Roxas

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