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L’EcoLibri Stragi naziste e fasciste in Italia.Vittime in provincia di Cremona di Giuseppe Azzoni

“L’ATLANTE STRAGI NAZISTE E FASCISTE IN ITALIA 1943 – 1945” e relativo opuscolo su eccidi e vittime in provincia di Cremona. Recensione di Giuseppe Azzoni

| Scritto da Redazione
L’EcoLibri Stragi naziste e fasciste in Italia.Vittime in provincia di Cremona di Giuseppe Azzoni

L’EcoLibri Stragi naziste e fasciste in Italia.Vittime in provincia di Cremona di Giuseppe Azzoni

“L’ATLANTE STRAGI NAZISTE E FASCISTE IN ITALIA 1943 – 1945” e relativo opuscolo su eccidi e vittime in provincia di Cremona.  Recensione di Giuseppe Azzoni

Parto dall’antefatto, ben delineato da Mimmo Franzinelli nel suo “Le stragi nascoste”, edito nel 2002 da Mondadori. Nel 1994, nel corso di indagini su Eric Priebke, un magistrato scoprì in Palazzo Cesi a Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello, un ampio armadio chiuso con le ante rivolte verso il muro. Ha voluto guardarci: conteneva in 695 fascicoli di “atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943 – 1945 (…) denunce ed atti di indagine di organi di polizia italiana e di commissioni di inchiesta angloamericane” (così in una relazione del Consiglio Magistratura Militare del 1999). Essi erano stati nascosti a fine anni ’40 inizi ’50 per le perverse logiche della guerra fredda. Dopo la scoperta di quello che fu da allora definito “armadio della vergogna”, tra il ’94 e il ’96, questi atti vennero inviati alle competenti procure militari territoriali. Quasi tutte le relative conseguenti istruttorie portarono però rapidamente ad archiviazioni  per impossibilità di individuare o identificare i responsabili, per non collaborazione delle autorità tedesche, per morte del reo…

Si avviò comunque una discussione tra Italia e Germania a livello governativo. Durò parecchio perché si incagliò sulla questione di eventuali risarcimenti: allora come adesso i tedeschi sostengono di aver ottemperato ai loro doveri da questo punto di vista con gli accordi intervenuti nel dopoguerra… La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha dato loro ragione. Dopo di che la Germania ha istituito di propria iniziativa un fondo relativamente alla vicenda italotedesca per il futuro. Si concordò allora sulla necessità di un’ operazione di verità storica.  Vicende, vittime, responsabili venissero alla luce in maniera più completa possibile, ne venissero messi nero su bianco gli elementi per una conoscenza pubblica della storia.

Siamo al 2008 quando i due governi concordano di istituire una Commissione bilaterale di storici con questo scopo, e nel 2013 essa pervenne alla definizione degli elementi essenziali condivisi sul tema. In particolare delineò il campo ed i criteri per una esaustiva indagine storica che entrasse nel merito e nel dettaglio di stragi, eccidi, violenze, crimini di guerra avvenuti in Italia ad opera delle forze naziste e fasciste dopo l’otto settembre ’43. Il governo tedesco si impegnò, col fondo suddetto, a finanziare un progetto triennale di indagini e la pubblicazione delle risultanze, appunto quello che abbreviamo in Atlante stragi. Il lavoro venne affidato alla Università di Pisa ed all’Accademia dei Lincei, responsabile e coordinatore il prof. Paolo Pezzino.

Venne chiesta la collaborazione dell’ANPI e dell’INSMLI, con l’impegno delle loro sedi periferiche. Questo lavoro si è puntualmente concluso nei tre anni previsti. Nel settembre 2016 è stato presentato, discusso e condiviso in un Convegno storico internazionale che si è tenuto a Milano. Anche Cremona è stata chiamata a partecipare all’indagine. Ho avuto l’onore di essere una delle 130 persone che nelle varie province hanno lavorato a questo scopo, per conto dell’ANPI e dell’Istituto per la storia della Resistenza che qui ha sede presso l’Archivio di Stato.  Mi sono stati sottoposti  gli elementi desunti dai documenti ritrovati in Palazzo Cesi che riguardavano la provincia di Cremona, con il compito di verificarli in loco, precisarne eventualmente i contorni e naturalmente aggiungere altri fatti in materia a noi già noti o emersi in questo frangente. Cosa che ho fatto interpellando Comuni e biblioteche, consultando carte d’archivio, testimonianze, libri e quant’altro. A livello nazionale tutto ciò ha portato alla pubblicazione del volume – edito da “il Mulino” nel gennaio scorso -  “Zone di guerra geografie di sangue, Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia” e alla creazione di una Banca dati, messa in rete sul sito “straginazifasciste.it” dove si possono liberamente consultare tutte le schede redatte nella indagine. In questa Banca dati sono descritti oltre 5.600 episodi per un totale di oltre 23.700 vittime. Il volume riporta saggi di vari autori che danno conto delle risultanze dell’indagine, le confrontano con conoscenze ed interpretazioni correnti in materia, ne approfondiscono i vari aspetti.

Mi limito ovviamente a pochi ragguagli. A partire dal denso saggio dei coordinatori dell’opera, Paolo Pezzino e Gianluca Fulvetti, che è seguito da una rassegna cronologica su fasi, territori, tipologia dei fatti. Alcuni aspetti mi hanno particolarmente colpito.

Non trova riscontro nei fatti la tesi, purtroppo spesso presente, indotta e strumentalizzata, che i massacri nazisti fossero sempre conseguenti ad atti dei partigiani. In generale le logiche furono altre. Molte stragi avvennero in territori e momenti dove l’organizzazione partigiana non c’era o era minimale. Come in Campania nel ’43 per esempio, dove già l’11 settembre, anche se ovviamente partigiani non ce n’erano e non c’erano ancora state le 4 giornate di Napoli, il Comando della XIV Panzerkorps dava formale disposizione che non si avesse (cito tra virgolette) “nessuna pietà per la popolazione civile”.  Prevalevano autonome logiche e strategie di guerra in cui l’uso della strage e del terrore si praticava per disporre in toto di certe zone, allontanare la popolazione o renderla totalmente succube alle proprie esigenze, prevenire o stroncare ogni forma di resistenza. Sui modi con cui si operava pesava anche un sentimento di odio e frustrazione sia per quello che era considerato il “secondo tradimento” degli italiani nei confronti della Germania dopo quello del 1915 sia per un orgoglioso disprezzo verso un popolo considerato inferiore. Certamente c’era anche rabbia per una attività partigiana che andava crescendo ed i cui effetti non venivano sottovalutati: nell’Atlante su ciò si conferma quanto già studi germanici – come il noto Lutz Klinkhammer- hanno mostrato.

Ancora: la necessità impellente del Reich di mandare tutti i suoi uomini validi a combattere esigeva la loro sostituzione nel lavoro. Bisognava portare in Germania più giovani italiani possibile oltre agli internati militari ed altri già migrati. I più o meno volontari non bastavano più. Ecco allora, utilizzando la RSI, la violenta ed ininterrotta caccia al “renitente”, al “disertore”, con minacce (e non solo minacce!) di morte per costringerli al lavoro coatto in Germania, considerato servizio militare per chi non voleva combattere. In effetti generalmente i giovani non volevano combattere per la RSI (ed i tedeschi non se ne fidavano, andava loro benissimo mandarli al lavoro). Moltissimi crimini, anche nella nostra provincia, hanno questa motivazione assai più che una reazione a qualche attacco partigiano.

Un’altra esigenza, come dicevo, era quella del controllo incondizionato del territorio occupato. Un controllo tanto più indispensabile per la tenuta delle linee di arroccamento nei momenti di maggior pressione angloamericana. L’indagine lo evidenzia fino alla primavera del ’44 per la linea “Gustav” (traversa tra Gaeta, Cassino ed Ortona) e poi per la “linea gotica” (dalle Apuane a Rimini). Per i fini cui ho fatto cenno in queste aree si uccideva in modo indiscriminato ed al di fuori di ogni norma del diritto internazionale e di ogni pur crudele regola di guerra. E lo facevano tutte le componenti delle forze del Reich, non solo le SS o la Gestapo ma anche la Wehrmacht: fatti e dati smentiscono facili assoluzioni per quest’ultima.

Certi picchi nel numero di stragi e di vittime appaiono chiaramente corrispondere a determinate esigenze logistiche. Quella principale, nel corso di ritirate, era evitare la fuga disordinata e mantenere formazioni, armi, luoghi utili ad una nuova linea di difesa… la Gustav, la Gotica e, con le hitleriane attese di armi invincibili, magari poi il Po o le prealpi… a Cremona, sul Po, approntamenti in questo senso li avevano effettivamente predisposti.

Una ostilità popolare sempre più evidente e la crescente attività partigiana contrastava questi intenti, perseguiti anche quando si rivelarono disperati. Ed allora anche stragi e crimini erano ritenuti utili. A questo punto ci sono anche i casi in cui la strage risponde all’attività partigiana col terrore. Nel loro complesso, cioè sin dalla occupazione del settembre ’43, gli episodi così caratterizzati sono stati 700 sui 5.600 riscontrati nella indagine per l’Atlante, le vittime 5.000 su 24.000. Cifre che confermano la constatazione già riportata.

Per contro emerge che le azioni partigiane per scoraggiare parte delle truppe hitleriane, per difendere le popolazioni, le industrie, la stessa dignità delle comunità, per liberarsi prima di rendere necessari nuovi bombardamenti degli alleati, per comunque stroncare l’incombere di una prospettiva spaventosa se avessero vinto i nazifascisti, le attività partigiane erano la speranza che guadagnava consenso, metteva in difficoltà il tedesco sempre più percepito come occupante spietato, favoriva la fine della guerra agognata ormai da tutti. Il volume riporta dati, fatti, considerazioni inoppugnabili in questo senso. Dati e fatti che confermano in pieno un ruolo della RSI del tutto subordinato ai tedeschi e responsabilità fasciste dirette o collaterali in gravissimi episodi, crimini e stragi. Certo ciò ha portato in una guerra di Liberazione dallo straniero occupante elementi di guerra civile, che ci sono stati, ma in quell’ambito principale. E anche questo è un argomento trattato con equilibrio e serietà nel volume.

Mi rendo conto che ho strozzato in poco tempo centinaia di pagine con luoghi, date, numeri, fatti, ragionamenti complessi. Ne ho scelto solo alcuni e li ho senz’altro forzati nelle mie sintesi. Non ho nemmeno citato, per ovvie ragioni di tempo, le Ardeatine, Marzabotto, S.Anna, Monte Sole e altri luoghi tragici che sappiamo. Nel volume e nella Banca dati ho trovato citazioni di eccidi che hanno coinvolto nostri conterranei caduti: Val Susa, Appennino piacentino ed emiliano, torrente Frigido di Massa, Mercatale di Pesaro e così via. Ma, nel breve tempo di una presentazione, ho scelto di far risaltare passaggi che fanno giustizia – non per sentito dire o per pregiudizio – di tesi di comodo tuttora presenti volte da una parte ad attribuire ai partigiani colpe non loro, dall’altra ad alleggerire delle sue responsabilità il nazifascismo. Tesi volte ad annacquare e distorcere i valori della Resistenza. Sono queste le logiche che hanno portato a nascondere la verità e le responsabilità nell’armadio della vergogna e che sarebbe davvero ora venissero spazzate via. I contenuti di questo così ampio lavoro danno un decisivo contributo, tanto più se li pensiamo nel contesto di piena condivisione di una commissione bilaterale italo tedesca di storici obiettivi e responsabili. 

Per quanto riguarda la nostra provincia posso essere assai breve poiché c’è l’opuscolo a vostra disposizione. Abbiamo compilato e messo a disposizione del gruppo del prof. Pezzino una sessantina di schede con circa 70 episodi avvenuti in 36 Comuni. 22 di queste schede sono quelle compilate sulla base dei documenti rinvenuti nel famoso armadio di Palazzo Cesi. Di quelle che abbiamo compilato e mandato i due terzi sono state inserite nella Banca dati nazionale on line. Le schede riportate nell’opuscolo con l’asterisco sono appunto quelle i cui episodi sono inseriti nella banca dati nazionale. Ci è sembrato opportuno inserire anche quelle escluse per i particolari criteri dell’Atlante ma riguardanti fatti significativi e verificati I criteri per l’Atlante escludevano i caduti nel corso di combattimenti a fuoco, quelli per causa non intenzionale ed altri.

Considerandole nel loro complesso sono 44 le schede con uccisioni e 129 le vittime relative. In 40 su 60 schede le responsabilità di violenze e crimini sono esclusivamente o prevalentemente dei tedeschi. Sono 36, con 81 uccisioni, gli episodi avvenuti a fine aprile ’45, nei giorni dell’insurrezione e della ritirata tedesca: queste uccisioni sono quasi tutte opera dei tedeschi. Sono invece in prevalenza crimini di fascisti della RSI le 48 uccisioni (25 i fucilati) del periodo precedente. In verità in quei periodi furono uccisi nel territorio provinciale molti più delle 129 vittime citate. Furono più di 200 se consideriamo anche quelli esclusi per i criteri dell’Atlante. Tra i casi che si possono definire veri e propri eccidi o stragi troverete il giorno dell’occupazione della città, 9 settembre ’43, con sette vittime civili (molti i militari caduti esclusi da questo conteggio per il motivo detto), i 6 fucilati di Bagnara, le numerose vittime dei giorni della Liberazione da Cingia a Levata, da Casalmaggiore ai numerosi caduti di Gussola, di Crema, del soresinese. Emblematico l’eccidio di Spino: la rappresaglia per 1 tedesco colpito ha massacrato 10 cittadini presi praticamente a caso. Nell’opuscolo troverete nel dettaglio, sia pure in sintesi, episodi noti ed anche altri dimenticati e addirittura sconosciuti, nonchè uccisioni particolarmente feroci e spietate.

Concludo con una riflessione sui giorni attorno al 25 aprile: insurrezione con tanta gente che si mobilita, ritirata tedesca, tante vittime. In buona o in malafede circolano in proposito tanti pregiudizi ingenerosi e sbagliati. Tipo: i partigiani potevano starsene a casa tanto ci pensavano gli Alleati a cacciare i tedeschi. Ovvero: se nessuno li avesse disturbati i tedeschi se ne sarebbero andati senza danni. E ancora: gli insurrezionalisti del 25 aprile erano voltagabbana che seguivano il cambiare del vento. A queste superficiali banalità, dannose e purtroppo ancora diffuse non bisogna stancarsi di rispondere e l’indagine di questo Atlante ci dà ancora ragioni in proposito. Ci conferma la ragione fondamentale generale: l’Italia non poteva stare passivamente a guardare in attesa di essere liberata! Ma poi ci sono ragioni ben concrete a ciò collegate. I paesi dovevano difendersi dalle razzie e dalla violenza dei tedeschi in ritirata, proprio in quei giorni. E c’è chi ha messo a repentaglio la vita per fare questo. I tedeschi dovevano essere dissuasi da confidare in una nuova linea gotica, dovevano vedersi circondati dalla ostilità generale, dovevano vedere che le caserme dei fascisti venivano disertate sotto l’attacco della SAP. Molti soldati tedeschi (o austriaci, ucraini ecc a loro legati) volevano ormai solo tornarsene a casa: bisognava spingere in questa direzione, costringerli a lasciare le armi ed andarsene e per questo bisognava essere in campo (o … simulare di essere in tanti, come spesso è avvenuto, di essere più forti di quanto si fosse davvero, con rischi assai gravi, non sempre superati senza vittime). Se città e paesi fossero state ancora infestate da tedeschi e fascisti gli Alleati avrebbero naturalmente spianato il campo dell’avanzata con bombardamenti, la guerra sarebbe durata, ogni ora ogni giorno con nuove vittime e rovine. Battersi per liberarsi, mettere la bandiera bianca sul campanile e sul torrazzo ha significato tanto. Grazie dunque a chi si è battuto, riconoscenza per sempre a chi magari a vent’anni o anche meno ci ha lasciato la vita, a chi così ci ha restituito l’orgoglio di essere italiani.

Giuseppe Azzoni (Cremona) 

 

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