Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 21.07

L’Europa e l’attuale crisi globale politica e ambientale di Benito Fiori (Cremona)

Nei giorni scorsi i cremonesi hanno avuto l’opportunità di ascoltare il prof. Piero Braglia, uno dei più autorevoli biografi del grande europeista Altiero Spinelli, più che sulla celebrazione dall’ormai 75enne “Manifesto di Ventotene”, sulle cause della crisi dell’Europa, figlia di un percorso, va detto, sempre più impolverato e tarlato rispetto a quello “sognato”.

| Scritto da Redazione
L’Europa e l’attuale crisi globale politica e ambientale di Benito Fiori (Cremona)

Egli ha ben ricostruito il ruolo importante e positivo dell’avventura dell’UE nella storia del dopo guerra e quanto ancora potrebbe fare se finalmente fosse federata. Con attribuzione, quindi, di competenze decisive, come quelle sulla politica estera, sulla fiscalità e con un Parlamento con un vero potere legislativo. In una lunga intervista rilasciata a un importante setttimanale locale, ha poi elencato i tanti fattori corrosivi dovuti a miopi e antistorici nazionalismi che imporrebbero un cambio di marcia all’europeismo militante. Sicuramente con molta supponenza da parte mia, se ne avessi avuto la possibilità, gli avrei fatto anche qualche altra domanda le cui risposte non credo che sarebbero state soltanto di mio interesse. Pur ricordando le parole di Jean-Jacques Rousseau nelle “Considérations sur le gouvernements de Pologne” (1782): «Oggi non ci sono più né Francesi né Tedeschi né Spagnoli né Inglesi; ci sono solo Europei. Tutti hanno gli stessi gusti, le stesse passioni, gli stessi costumi», gli avrei chiesto se potrebbe essere ritenuto un errore, visti i tanti problemi che pongono oggi alla Comunità, non avere dato tempo ad alcuni paesi di maturare con più pazienza il concetto di Europa unita. Penso in particolare a quelli dell’est europeo usciti da troppo poco dall’egemonia URSS e quindi con orgogli nazionali non ancora ridimensionati perché a lungo repressi. Di rimbalzo verrebe un’altra domanda: sarebbe opportuno, oppure no, riconsiderare l’ipotesi di un’Europa “a due velocità? La prima, l’Eurozona “a 19”, perché più matura grazie all’unità monetaria per un’accelerazione del processo che concluda il “sogno” federalista di Ventotene; la seconda, quella degli altri otto paesi, perché bisognosa di un processo culturale di avvicinamento e di maturazione più lungo da aiutare e da assecondare.

Il fattore polarizzante è dato dall’attuale stato di pericolosa effervescenza del quadro geopolitico gobale, aggravato anche dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Una situazione che impone un suo rapido “raffreddamento” con politiche suggerite e sostenute da un pool di paesi che si faccia carico di questa impellenza. L’Europa, per la sua forza economica e commerciale, non solo dovrebbe farne parte, ma, per la sua secolare cultura fondata sull’umanesimo, esserne anche il punto di riferimento. Occorre ricostruire un quadro culturale alternativo all’assenza di sensibilità etiche proprie delle leggi del “mercato” e del “consumismo” che stanno allontanando il mondo dalla Pace e avvicinando il pianeta a pesanti rischi per la sua sopravvivenza. Non è più rinviabile, in altri termini, il momento di riscrivere modelli di crescita e di vita che ricollochino al centro dell’impegno dei governanti alcuni punti principali: a) la ricerca di ogni sforzo per considerare la Pace, quale “valore” assoluto; b) la riscittura di concetti come “qualità della vita” e “benessere” perché siamo più coerenti ad una autentica interpretazione della “dignità umana”; c) il rilancio del diritto delle giovani generazioni alla sopravvivenza della specie, ormai minacciata dai cambiamenti climatici. Un buon inizio sarebbe quello di partire dal discorso di Robert Kennedy del 18 marzo 1968 sul Pil.

Un’ultima domanda al prof. Braglia: è solo una coincidenza la quasi contemporaneità del “sogno” europeo di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni  e di quello di due anni dopo, in cui si vagheggiava un progetto di Costituzione Europea in forma confederale, di altri due italiani, Duccio Garimberti e Antonino Répaci? In altre parole, perché l’europeismo nella grande maggioranza degli italiani è stato sempre così sentito?

Benito Fiori (Cremona) 

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