Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 23.29

Perchè voto SI Al Referendum Costituzione di Andrea Virgilio (Pd Cremona)

Le riforme operano nella prospettiva di un Paese moderno ed efficiente, non negli schemi del passato; le riforme operano sulla vita delle generazioni future, non sul presente di una classe dirigente uscita sconfitta dalle ultime elezioni politiche e dai percorsi democratici interni al PD.

| Scritto da Redazione
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Referendum Costituzione Le ragioni del mio SI di Andrea Virgilio (Pd Cremona)

Le riforme operano nella prospettiva di un Paese moderno ed efficiente, non negli schemi del passato; le riforme operano sulla vita delle generazioni future, non sul presente di una classe dirigente uscita sconfitta dalle ultime elezioni politiche e dai percorsi democratici interni al PD.

“Questa Costituzione si verrà completando e adattando  alle esigenze dell’esperienza storica, abbiamo consentito un processo di revisione che non la cristallizza in una statica immobilità, noi stessi e i nostri figli rimedieremo alle lacune e ai difetti che esistono e sono inevitabili (…) noi prima di tutto ne conosciamo le imperfezioni”. Questo passaggio di Meuccio Ruini,  Presidente della Commissione dei 75, racconta con molta semplicità il parere diffuso anche allora, ovvero che la Costituzione resta sempre uno strumento perfettibile. Molti costituenti  votarono a favore del testo costituzionale consapevoli della sua ricchezza e anche dei suoi limiti; la Carta non doveva essere in qualche modo messa sotto teca in un paese in continua trasformazione.

Questa è una lezione di cultura democratica verso coloro che gridano alla svolta autoritaria ogni qualvolta  si avvia un processo di riforma, ma  è soprattutto un grande atto di generosità verso il futuro: agli albori di una Repubblica blindata da pesanti strutture ideologiche, molti padri costituenti partivano invece  dalla naturale consapevolezza  di essere fallibili e dalla certezza che la  storia è fatta di interazioni, che occorre fare i conti con la complessità, con gli altri, con gli eventi, con uno spirito di adattamento permanente sempre in piena coerenza con i principi di fondo della nostra Repubblica.

La prima parte della Costituzione forniva al paese una prospettiva, la seconda parte, quella di cui oggi si discute, era pesantemente condizionata dai legittimi timori del tempo, dai rischi di una democrazia ancora fragile.

Per una grande forza riformista, sarebbe un errore affrontare questa opportunità di cambiamento con la solita etichetta dello scontro fra innovatori e conservatori o con il linguaggio dell’antipolitica; al contrario, dobbiamo valorizzare il filo della nostra storia democratica e popolare, affermando soprattutto la sacrosanta volontà di cambiare gli strumenti  per essere semplicemente più coerenti ai valori fondanti della nostra Costituzione.

Nell’Assemblea Costituente era ampiamente condiviso l’obiettivo di evitare le degenerazioni degli organismi rappresentativi;  c’era la consapevolezza che il fascismo traeva origine dalla crisi dei poteri pubblici e dalle degenerazioni del parlamentarismo. Tuttavia, la scelta fu quella di introdurre contrappesi, istituti di garanzia, “delineare certe strutture (…) e un sistema costituzionale dal funzionamento complesso, lento e raro” (dichiarava  Dossetti nel 1951) e prevedere procedure ridondanti dentro a un clima di diffidenza reciproca fra i grandi partiti di massa incerti sull’esito elettorale e pertanto attenti a favorire un sistema in grado di non dare troppo potere al blocco vincitore.

Da qui è derivato un assetto istituzionale debole rispetto a una forte legittimazione dei partiti, veri cardini della società, che trovavano nel parlamento lo strumento dei loro compromessi e delle loro scelte.

Nel corso dei decenni è emersa la necessità di aprire una nuova stagione di riforme: numerosi sono stati i tentativi e nel frattempo il sistema politico si è profondamente modificato. Il ruolo dei partiti è cambiato, si affermata maggiormente la volontà di restituire ai cittadini le decisioni senza delegare ai soggetti politici.

Tuttavia, da oltre 30 anni, pur essendo condivisa l’esigenza di una compiuta  riforma costituzionale, non si è mai riusciti a costruire un nuovo rapporto fra istituzioni e partiti in grado di consentire alle prime una propria responsabilità di decisione e di iniziativa e ai secondi una capacità di indirizzo.

Il problema di assicurare funzioni di rappresentanza e di Governo attraverso i Parlamenti è una grande questione europea, ma in Italia siamo arrivati al paradosso di un governo non così forte e di un Parlamento mai così debole. Siamo di fronte a reciproche fragilità, a un Parlamento costretto a ratificare maxiemendamenti, con il voto di fiducia, con momenti poco trasparenti di contrattazione fra maggioranza e opposizione, con un patetico gioco delle parti e con la perdita di tutto ciò che riguarda la procedura parlamentare.

C’è pertanto bisogno di rasserenare il processo legislativo, anche nel rapporto fra centro e periferie reso poco chiaro dalla riforma del 2001; se le Regioni perdono alcune funzioni, trasferite agli indirizzi strategici dello Stato, attraverso i loro rappresentati in Senato avranno la possibilità di contribuire alla legislazione nazionale e di acquisire un maggiore potere di controllo.

La ratio della riforma e i suoi contenuti sono parte integranti delle elaborazioni passate e della storia della sinistra italiana; l’ampia maggioranza che ha sostenuto questo processo, ha messo in atto tutti i tentativi per aprire al coinvolgimento dei diversi soggetti politici. Difatti, non bisogna confondere il voto finale con l’elaborazione largamente condivisa del testo e con il voto delle prime letture. L’inaffidabilità della destra italiana, costantemente incapace di lungimiranza e di senso di responsabilità e la presenza di una componente populista e poco propositiva come il M5S,  non possono tuttavia mettere sotto ricatto un appuntamento storico per questo Paese.

La riforma suscita legittimamente opinioni diverse: tuttavia, lo sforzo che dobbiamo fare è valutare il cambiamento in base a ciò che in futuro potrà accadere. Le riforme operano nella prospettiva di un Paese moderno ed efficiente, non negli schemi del passato; le riforme operano sulla vita delle generazioni future, non sul presente di una classe dirigente uscita sconfitta dalle ultime elezioni politiche e dai percorsi democratici interni al PD.

Andrea Virgilio ( esponente Pd Cremona) 

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