Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 22.22

Al Rotary Club Crema sulle fragilità e le eccellenze della sanità lombarda.

Il Dott. Mario Colombo - Direttore Generale dell’Istituto Auxologico Italiano

| Scritto da Redazione
Al Rotary Club Crema sulle fragilità e le eccellenze della sanità lombarda.

sanitario lombardo di fronte al Covid: un’esperienza di generosità dalla quale ripartire per migliorare le fragilità e confermare le eccellenze”. Illustre relatore il Dott. Mario Colombo, Direttore Generale dell’Istituto Auxologico Italiano.

“Le fragilità del sistema sanitario lombardo - questa la tesi del Dott. Colombo - altro non sono se non il riflesso delle fragilità dell’intero sistema sanitario nazionale.

In quest’ultimo anno di pandemia, molto spesso, le critiche al sistema sanitario lombardo sono state veicolate con argomentazioni più politiche che tecniche.

In realtà la pandemia ha messo in evidenza le difficoltà del sistema sanitario italiano, ben presenti e ben note a tutti.

I riflettori sono stati intensi, troppo e strumentalmente intensi, perché sul palcoscenico non vi era una piccola o pur grande Regione del sud Italia: era, invece, inquadrata Regione Lombardia, uno dei distretti economici più importanti d’Europa, amministrata da decenni dal medesimo schieramento politico.

Ecco perché la mia analisi non si concentrerà primariamente sulle criticità emerse dalla pandemia, ma su alcuni fattori che mettono in difficoltà il sistema sanitario lombardo alla pari degli altri sistemi regionali italiani e del sistema che noi continuiamo ad appellare come sistema sanitario nazionale.

Uno dei temi che più appassionano il dibattito odierno in Italia e, in particolar modo, in Regione Lombardia è la ritenuta privatizzazione del sistema sanitario, con una crescente presenza di erogatori privati e quantità di risorse a favore di questi soggetti rispetto al pubblico.

Ritengo che la connotazione pubblica o privata degli erogatori poco centri con la fragilità del sistema e, comunque, anche in seno al privato, occorrerebbe riconoscere la particolarità delle Fondazioni no profit, come Istituto Auxologico Italiano.

Penso sia sicuramente un errore dare per scontato, senza alcuna verifica, che una struttura sanitaria privata possa offrire servizi di pubblica utilità in quanto portatrice degli stessi orientamenti valoriali e degli stessi interessi di quelli presupposti nel soggetto erogatore pubblico.

E’ importante definire standard di accreditamento strutturali e organizzativi dei nostri ospedali, al fine di omogenizzare verso l’alto la qualità degli stessi, ovvero introdurre elementi di valutazione delle performances in termini di degenza media, ritorno in ospedale dopo un intervento, mortalità ….

La sanità, inoltre, si occupa di persone, le persone guardano alla sanità per la propria salute, la salute riguarda la vita, la vita è il bene più prezioso che ci è stato donato e che dobbiamo conservare.

Ebbene, io imprenditore privato, depositario di spirito imprenditoriale, faccio la scelta di non investire in supermercati, in treni, in aerei, in sale cinematografiche ma decido di investire su ciò che è più importante per l’uomo, la sua vita, la sua salute, decido di investire in sanità.

Sono imprenditore, conosco la nozione di impresa, so bene che il profitto è connaturale al mio ruolo, alla mia azione.

Eppure, da sempre, io ho convinzioni che possono apparire un poco sorprendenti, in merito alla questione in oggetto; mi spiego…

Che un imprenditore privato guadagni nel vendermi una scatola di biscotti, nel trasportarmi da Linate a Lamezia Terme, nel farmi vedere un film comprato in rete è una cosa scontata, accettata e accettabile… Che un imprenditore privato guadagni per avermi salvato la vita, in pronto soccorso, con una diagnosi tempestiva, con un intervento chirurgico… è una altra cosa, non scontata, forse non accettata, forse non accettabile.

Diamoci pure come assunto, discutibile, che tutte le attività dovrebbero puntare, in linea di principio, a una economicità (dimenticandoci, per un attimo, che molti beni, diritti, valori non sono riducibili al semplice equilibrio economico tra costi e ricavi e dimentichiamoci, per un attimo, anche della gratuità).

Laddove l’economicità sia possibile anche in sanità è corretto/accettabile che l’utile gestionale, il guadagno, vada indirizzato a finalità differenti dalla sanità?

E’ accettabile che un erogatore sanitario, pubblico o privato che sia, utilizzi il risultato economico positivo per fare altro, per acquisire partecipazioni azionarie in attività non sanitarie o correlate, per acquistare un immobile in un bel luogo di villeggiatura, una squadra di calcio, per incentivare i propri manager alla massimizzazione del profitto?

Ecco, la fragilità del sistema sanitario, lombardo o italiano, se vuole a tutti i costi essere ricercata nella dualità/contrapposizione tra pubblico e privato deve essere anche letta in questo contesto.

Il soggetto privato può ben concorrere con pari obblighi e diritti al servizio sanitario pubblico se vi è concordanza di valori e di intenti.

Di fronte all’emergenza COVID sono state fatte, a sproposito, critiche generalizzate al sistema privato, a dir la verità con il tempo seguite anche da qualche scusa.

E’ stato detto che il privato non si è mosso subito a differenza del pubblico, che ha dovuto aspettare la richiesta del sistema pubblico perché forse - il retro-pensiero - non ci avrebbe guadagnato.

Premesso che il privato - almeno per quello che mi consta in Regione Lombardia, e sicuramente per quanto attiene alle principali e più note strutture tra le quali posso anche annoverare Auxologico che dirigo - ha dato un contributo tempestivo e formidabile in questa emergenza, il problema è mal posto. Se il privato è considerato parte integrante e non parte terza del sistema pubblico è d’obbligo aspettarsi comportamenti coerenti. Se le regole d’ingaggio al sistema sanitario pubblico sono chiare sin dall’inizio allora si discute sul loro rispetto e basta.

Occorre quindi, a mio avviso, capire meglio in che cosa consistono i tratti distintivi tra pubblico e privato, perché pubblico e privato sono aggettivi “qualificativi”, che danno senso; comprendendo meglio quali sono i tratti distintivi, potremmo porre dei requisiti di accreditamento che non riguardino solamente la dimensione delle camere, i ricambi d’aria delle sale operatorie o i minuti infermieristici,,,; potremmo qualificare meglio che cosa ci si aspetta da un erogatore del servizio sanitario, che cosa deve condividere in termini di valori e obiettivi un soggetto giuridico privato per essere parte integrante e pari livello di un soggetto con natura giuridica pubblica.

Solo a titolo di cronaca ricordo che la Regione che in Italia ha la percentuale maggiore di posti letto privati accreditati non è la Regione Lombardia (che ne ha il 38%), ma la Regione Lazio con il 51,1% seguita a poca distanza dalla Regione Campania”.

***

“Mi soffermo ora, più brevemente, su un’altra fragilità del nostro sistema sanitario nazionale, e, ovviamente, anche di Regione Lombardia: il rapporto con il territorio, sia per quanto riguarda il medico di medicina generale, sia per la continuità di cura.

Già all’indomani della creazione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, si evidenziava nel territorio il vero campo di battaglia, il vero snodo per rendere effettivo un SSN unico per tutti.

Il medico di famiglia come noi oggi lo intendiamo nasce proprio con la riforma del 1978 che riconosce un ruolo centrale alla cura in ambito extraospedaliero.

Per il nostro ordinamento il medico di famiglia riveste infatti alcune peculiarità:

presta servizio sul territorio; rappresenta il punto di accesso del cittadino al SSN; coordina sotto la Sua responsabilità l'intera vita sanitaria dei suoi pazienti; è responsabile della cura globale della persona.

A questo si aggiunge che l'ambulatorio del medico di famiglia rimane in assoluto l'unico servizio a pressoché libero accesso senza ticket, permettendo a tutti di avere una risposta pronta e gratuita ai propri bisogni di salute.

Il medico ha un ruolo indispensabile anche nella sostenibilità del Ssn con una azione di filtro sia nella cura delle patologie da primo approccio, sia nella selezione degli esami strumentali di primo livello e nell'accesso allo specialista. Senza questo filtro il SSN non reggerebbe l'urto di una marea di richieste spesso inappropriate.

E' necessario, quindi, potenziare le attività dei medici di famiglia e lavorare sui modelli organizzativi per rendere la medicina generale ancora più adeguata ai bisogni di salute dei cittadini. Porre in essere una maggiore integrazione dei medici di famiglia con i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, dotandoli di strumenti informativi e di tracciamento efficaci dei bisogni dei pazienti, mettendoli in condizione di dialogare in modo moderno con gli specialisti e non relegarli, come ogni tanto si ha l’impressione che succeda, a meccanismi burocratici del sistema.



Nel corso degli anni vi sono stati in Regione Lombardia più tentativi di recuperare il rapporto con il territorio, con obiettivi nobili e condivisibili, ma con attuazione non del tutto positiva.

Faccio riferimento alle ultime esperienze, quelle dei CREG, e alla più recente PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE CRONICO. In quest’ultima esperienza, che aveva come target un bacino enorme di 3 milioni di pazienti cronici, la redemption è stata molto limitata e, soprattutto, questo progetto è nato ed è stato condotto all’interno di forti polemiche e contrapposizioni, in quanto non è stato condiviso, in particolare dai medici di medicina generale e dalle società scientifiche.

Tra le obiezioni principali vi era proprio quella del mancato coinvolgimento del medico di famiglia che, per il paziente cronico, veniva di fatto spogliato dalla presa in cura, lasciando però aperti aspetti di efficacia e responsabilità per tutte le altre patologie correlate.

Nei vari tentativi susseguiti negli anni di recuperare il rapporto ospedale territorio e la continuità di cura del paziente si devono anche annoverare le realizzazione di forme di ospedalizzazione meno intensiva (cure intermedie, riabilitazione generale e geriatrica, riabilitazione di mantenimento), per decongestionare gli ospedali, rendere più appropriati i setting di cura e consentire il rientro al domicilio o verso strutture di residenzialità protetta.

In queste esperienze, a mio avviso, è stata carente una ampia e preventiva azione di confronto e condivisione con tutte gli stakeholder, indubbiamente i medici di famiglia, gli erogatori e le società scientifiche e, presupposta la condivisione, piani attuativi chiari con un forte coordinamento ed integrazione.

Se poi si volesse realmente incidere in modo efficace sulla integrazione ospedale territorio si dovrebbe allora pensare anche a una specifica direzione dell’Assessorato al Welfare finalizzata a questo scopo.

Ricordo che tra gli obiettivi dichiarati del recovery found c’è anche quello di 

“potenziare e riorientare il SSN verso un modello incentrato sui territori e sulle reti di assistenza socio-sanitaria”.

Pure il testo sacro del Recovery found ci dice di: potenziare la prevenzione e l’assistenza territoriale, migliorando la capacitaÌ€ di integrare servizi ospedalieri, servizi sanitari locali e servizi sociali, per garantire continuitaÌ€ assistenziale, approcci multiprofessionali e multidisciplinari, percorsi integrati ospedale-domicilio a tutta la popolazione;

Tra i progetti che sono stati individuati vi sono quelli della:

 

*Casa della ComunitaÌ€ e presa in carico delle persone;

*Casa come primo luogo di cura. Assistenza domiciliare;

*Sviluppo delle cure intermedie. 

Il Progetto della Casa della Comunità si propone di potenziare l'integrazione complessiva dei servizi assistenziali socio-sanitari per la promozione della salute e la presa in carico globale della comunitaÌ€ e di tutte le persone, siano esse sane o in presenza di patologie (una o piuÌ€ patologie) e/o cronicità.

Per realizzare tale integrazione, il progetto prevede la realizzazione di strutture fisicamente identificabili (“Casa della ComunitaÌ€”) e l’integrazione delle comunitaÌ€ di professionisti (équipe multiprofessionali e interdisciplinari) che operano secondo programmi e percorsi integrati, tra servizi sanitari (territorio-ospedale) e tra servizi sanitari e sociali.

Sono ben noti a noi lombardi i contenuti di questi tre progetti, perché in Regione Lombardia ne siamo stati precursori.

Oggi sono però richieste risorse nuove, per essere attuati su larga scala, con una nuova energia e autorevolezza di integrazione, coordinamento e attuazione”.

Generale l’apprezzamento da parte dei soci, per una relazione appassionata, sostenuta da comprovata competenza e indubbia chiarezza espositiva, che ha reso merito anche e soprattutto al lavoro massacrante e generoso di medici, infermieri e volontari, nelle diverse fasi di un’emergenza non ancora archiviata.

 

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