IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA| VINCENZO ANDRAOUS (PV)
In una sala cinema stanno proiettando un film che tratta la storia di un adolescente spinto senza troppi complimenti in braccio alla morte. Bulli di cartone su piedistalli ricolmi di parole, ieri, lo hanno costretto in un angolo buio fino a cancellarlo dalle coscienze. Difficile da credere, ma oggi, nuovamente, senza alcun ritegno e brandello di dignità, altri prepotenti prevaricatori, accattoni miserabili di un pezzo di palcoscenico indegno al punto da rasentare una lucida follia, ritornano sui luoghi del misfatto con il ghigno dell’idiota inconcludente.
La pellicola doveva servire come ariete per sfondare l’indifferenza e la mancanza di empatia di tanti e troppi ragazzi nei riguardi di chi è diverso da noi, Ciò che è accaduto in quella sala, tra insulti omofobi, parolacce e sorrisi da ebeti copia incolla, è il risultato di una non volontà a fare faticare la testa e il cuore, dentro un percorso di conquista e riconquista della propria libertà personale, proprio perché la libertà è responsabilità. Ma quegli sfigati in ordine sparso, stravaccati sulle poltroncine del cinema, non lo sanno, non lo possono sapere, essendo privi del benchè minimo rispetto per se stessi e per gli altri. Qualcuno dice che ministri e politici vogliono incontrare questi maledetti per vocazione, per rappresentare loro la mancanza di rispetto per il messaggio del film, la vergogna profonda per tanta pochezza di spirito. Vorrebbero incontrarli per caricare di significato un’azione educativa più incisiva e capillare contro il bullismo a partire dalle scuole.
A ben pensarci messa così, è come dire che la famosa sfida educativa non è mai stata portata a termine, soltanto accompagnata tra una canzone e l’altra per indicare sbrigativamente valori quali l’inclusione e l’accoglienza. Dentro questa sala, nelle strade, in tante occasioni sociali, ho l’impressione che sia veramente complicato parlare a degli analfabeti della relazione, che fanno fatica a vedere l’altro, che sopravvivono cavalcando le messaggistiche istantanee, così ben irriggimentate da scansare la vergogna che gli cammina a fianco.
E’ davvero avvilente questa miserabilità che avvolge larga parte del mondo giovanile, anche ai miei tempi c’era il bullismo, si declinava con altri nomi, ma quello era, soltanto che oggi fare il bullo annovera accezioni di nuovo conio, slang provenienti da spazi sub-urbani ben definiti, i comportamenti violenti e le aggressioni più o meno istintuali si sono acuite in maniera esponenziale, il propellente sono i social un giorno si e l’altro pure. Continuare a ripetere di non minimizzare questi episodi di intolleranza, non rimanendo in disparte a guardare, è il minimo sindacale, ma occorre ben altro dalla solita filippica, è necessario fare leva su strategie di prevenzione, con parole mai travestite di docenze inappellabili, che posseggano la forza del dolore e delle assenze che ne derivano.
Bulli che non riescono a vedere il domani, figuriamoci appropriarsi di un pezzettino di vista prospettica, non hanno più fiducia in nessuno e fanno da sè con la convinzione di fare per tre. Per troppi ragazzotti il futuro è oggi, quello che arriva domani è un pugno nello stomaco. Volenti o non volenti per questa drammatica eredità siamo tutti chiamati in causa.