Come, dichiariamo (fingendo) di non saperlo. Ma ogni interessata finzione ha le gambe lunghe. Ed anche se traccheggi nell’esorcizzare l’esito da sballo ovvero nel sorprenderti che “questo proprio no, sarebbe…”, les jeux sont fait e, donc, rien ne va plus. A dispetto, si ripete, di facce feroci ed ammuine, disseminate a beneficio di strategie nichiliste e di sollecitazioni poco rispettose (dei militanti, dei cittadini, degli elettori), Questa poltiglia di tattiche, pretattiche, di appelli ai pontieri, di perorazioni del valore taumaturgico di mettersi attorno al tavolo, delle minacce, della volontà di voler ridurre le distanze, sta per essere abbandonata.
La direzione tendenziale, inforcata da tutto questo aggregato di gesti e di dichiarazioni, francamente surreale e forse anche un po’ nauseabondo, punta (o sembrerebbe, visto che questa politica da aereo più pazzo del mondo riserva talvolta inattese sorprese) all’esito per cui tutti hanno lavorato (pur minacciando ed esorcizzando) scientificamente (si potrebbe azzardare).
Ognuno per la sua strada. Ma ciò non significa che, avendo scelto di scindersi e dar vita a partiti che più incompatibili e contrapposti, non si potrebbe, passando da ex separati in casa alla condizione di ognuno in casa propria, non restare nello stesso condominio. Anzi si dovrebbe, ovviamente per non far vincere i populisti!
Mah … Anche se abbiamo da tempo (giustamente) rinunciato ad osservare ed analizzare gli snodi della politica attraverso le categorie della scienza della politica (o quanto meno a quelle che ci sono state congeniali sul terreno della razionalità), confessiamo un alto tasso di smarrimento, di incredulità. Non già rispetto al comportamento di soggetti collettivi e di protagonisti (che non ci hanno mai intrigato); bensì alla prova provata che al surrealismo non c’è limite.
La realtà ha strabattuto qualsiasi immaginazione.
Stiamo estraendo questa nota sintetica da non meno di duecento cartelle di annotazioni, messe insieme da un’osservazione durata i 1000 giorni (di cui siamo stati analisti ed esegeti, non sempre indipendenti) con un senso di incredulità verso un avvitamento che suggerirebbe una moratoria nell’applicazione della Legge Basaglia.
Ma tant’è, questa piega (che, avendo occhio alla carta d’identità, incidentalmente ci tarpa qualsiasi aspettativa di reviviscenza nel declino del pensiero e del civismo politico) non c’induce a desistere. Dal bere fino in fondo quell’amaro calice, in teoria riservato agli addetti ai lavori; ma che non può in nessun modo essere scartato (dopo aver vinto l’impulso allo straniamento per saturazione e per incredulità) dai portatori di curiosità.
Abbiamo nel consolidato e nell’osservazione più recente quanto basta per azzardare un’analisi decente sui processi in corso. Perché almeno sulla quantità di pronunciamenti, dichiarazioni, proponimenti la divina provvidenza è stata benigna.
Ma vi immaginate l’approccio di Eduardo, che su un campo ristretto come ‘o presepe costruì un capolavoro, ad un contesto strabocchevole di miserie, di cialtronerie, di umane inadeguatezze!?
Come avrebbe osservato Shakespeare, alla fine tanto tuonò che piovve. Agli dei non è bastata quella massa di assurdità che tiene inchiodata una sia pur minoritaria platea (fatta di addetti ai lavori per appartenenza, come di osservatori). Eh no! Quos vult Iupiter perdere, dementat prius. Il cui portato inevitabilmente finisce, nostro malgrado, su di noi.
Però, l’accanimento proprio no! Ci faremo una ragione dell’ennesima sciagurata rottura a sinistra, dell’ennesimo smarrimento del contatto col capobranco che spiaggia la sinistra, dell’accertamento che la sinistra è votata, per inadeguatezza, a seriali suicidi rituali.
Ma ci vengano, appunto, risparmiati gli accanimenti. Tipo: il fronte antirenziano della sinistra radicale che, per unificarsi, si spacca. Tipo: la scesa in campo (che coincide con la salita sul palco) ad esortare e ad indicare la meta luminosa, da parte di magistrati (in aspettativa ma ancora nei ranghi giurisdizionali) con il gesto del pugno chiuso (cui non ricorrerebbe, per ragioni, di pudore, neanche il Che). Per non dire del ricorso ad un libero linguaggio a colpi di faccia di culo (che, oltretutto, ne delegittima la titolare); mentre si è collettivamente nel proverbiale cul de sac. E la finiamo qui. Perché, ancorché sconcertati e disgustati, non rinunciamo a tener fede al nostro ufficio.
Le probabilità di scissione da molti evocata, minacciata, temuta, avvertita non è compresa nella scala dei rischi ma nel manuale della continuazione della guerra per bande con altra modalità.
Ci si poteva attendere, dopo il sorprendente e destabilizzante esito referendario, ciò che normalmente succede nei normali contesti liberal-democratici. Vale a dire una fase di decantazione, per analizzare le cause e per riannodare le fila di una ripartenza. Invece no; smentendo la spiegazione didattica (per il bene della Costituzione più bella del mondo e per il disinnesco delle pulsioni autoritarie) del fronte avverso alla leader-premiership legittimamente insediata nelle sedi parlamentare e politiche, riprende senza soluzione di continuità un contrasto che in nessun caso integra, a dispetto di ingannevoli apparenze, qualsiasi possibilità di sintesi.
Assolutamente, no. Un solo obiettivo: il completamento dell’annientamento del “tiranno”. Attraverso il percorso di guerra delle primarie, della conferenza programmatica, del congresso, (da cui, nonostante goda di un sostegno ancora maggioritario, deve estraniarsi) Quel processo non è partito contestualmente alle prime battute riformatrici del suo governo, bensì dal febbraio del 2014 (quando Renzi, largamente vincente sul rappresentante della “sinistra”, si insediò al vertice del PD). Come poté avvenire che uno spavaldo ragazzotto, vezzeggiato nei primi ruoli amministrativi e tollerato nelle sue smargiassate assertive, mettesse in scacco gli eredi ed resti di quella che fu una delle più potenti nomenklature del mondo? Bella domanda! Mai sottovalutare gli outsiders. Specialmente quando, a dispetto dell’età, dell’apparente inesperienza, dell’assenza di un retroterra da tripla A (teorica e di potere), incorporano messaggi diciamo rudimentali, secondo gli standards delle dottrine strutturate (di un passato ideologico svanito nel nulla e, come nel caso dei post-comunisti, non reintegrato). Outsiders che, sia pure col progetto ed il linguaggio semplificato, si mettono in sintonia tanto con un’opinione pubblica per lo più “semplice” quanto con palati più sofisticati ma allettati dal primo riformismo impiattato dalla Bolognina in poi. Ah, sì, certo, i laureati dalle Frattocchie, dal tirocinio figiciotto, dalla prova del fuoco territoriale e poi verticale (a contatto con “migliori” che è meglio dimenticarsi), dal training ai piani alti delle Botteghe Oscure e dell’Unità costituivano “ben altro!”. Ma come mai si son fatti mettere nel sacco come il più maldestro dei gatti? Come mai avrebbero, nell’immediato prosieguo, abbozzato al dietrofront del “stai sereno Enrico” (il premier predecessore che, in sequenza al demenziale tentativo bersaniano, in costanza di streaming, di associare i Grillini, avrebbe dato vita ad un esecutivo che altro che nani e ballerine), accettato un’inedita coalizione fatta solo di Yes men a prova di bomba? Ed ancora, come mai si resero partecipi (magari inerzialmente e con riserva a futura memoria)del tentativo dell’intruso di dare corpo ad un progetto di trasformazione dello Stato e del sistema-paese che, nonostante non poche mende ed approssimazioni, veniva sempre più percepito (leggi il picco di consensi delle Europee) non come il miglior governo e non come il miglior programma di modernizzazione, bensì come il primo serio tentativo di far uscire dalla palude questo sgangheratissimo Paese?
Per trasformismo, opportunismo, conformismo, per viltà? Per riaversi di una scioccante temperie tanto inattesa che neanche gli aruspici del volo degli uccelli o dell’esame dei visceri avrebbero potuto segnalare.
Nonostante che, a voler essere benevolmente franchi con noi stessi e con quei talenti, il loro cursus honorum, dalla Bolognina (trascurando le performances dal ’21 fino a lì) in poi, non fosse indimenticabile.
Eppoi, non è che l’epilogo (evocato, minacciato, falsamente snobbato e falsamente temuto) rappresenti in ogni caso una soluzione congrua della vexata quaestio; che da tempo (da troppo tempo) fa cadere in trance la politica. Con un’ipnosi pluripartisan, che sembra ricalcare la reazione delle vespe finite in una bottiglia.
Tutto ciò semplicemente perché fin qui il “contributo della sinistra” ha badato al sodo: la riappropriazione della golden shar. Che esclude qualsiasi eventualità di partecipazione all’elaborazione programmatica e d alla corresponsabilizzazione gestionale, perché punta al diritto di veto. Se non comanda la nomenklatura della ditta, vale la regola dei padroni del vapore.
Sarà, presumibilmente, questo il filo conduttore del percorso che tra qualche ora condurrà oltre la lunga, sterile pre-tattica (tanto ben lumeggiata, quella calcistica, da Gianni Brera), che si è esaurita. Al cupio dissolvi. Ad un gesto di profilassi della sinistra in vista della rigenerazione.
Del che ci occuperemo contestualmente agli eventi che sono alle viste.
E.V.