Venerdì, 08 novembre 2024 - ore 22.41

AccaddeOggi #24marzo 1944 La strage delle Fosse Ardeatine ad opera dei nazisti con 335 vittime (di Ilaria Romeo )

Il 24 marzo 1944 a Roma l'eccidio nazista in risposta all'attentato di via Rasella. Furono 335 le persone trucidate, civili prelevati dalle carceri, fucilati e poi ammassati nella cava a formare un unico groviglio

| Scritto da Redazione
AccaddeOggi   #24marzo 1944  La strage delle Fosse Ardeatine ad opera dei nazisti con 335 vittime (di Ilaria Romeo )

AccaddeOggi   #24marzo 1944  La strage delle Fosse Ardeatine ad opera dei nazisti con 335 vittime (di Ilaria Romeo )

Il 24 marzo 1944 a Roma l'eccidio nazista in risposta all'attentato di via Rasella. Furono 335 le persone trucidate, civili prelevati dalle carceri, fucilati e poi ammassati nella cava a formare un unico groviglio

Il 23 marzo 1944 a Roma, in Via Rasella, una bomba esplode colpendo un drappello di soldati tedeschi. Alle ore 22.55 del 24 marzo il comando tedesco dirama alla stampa italiana il comunicato dell’avvenuta rappresaglia contro i ‘comunisti badogliani’. “Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 - si legge nel comunicato - elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di Polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata, trentadue uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento angloamericano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato siano fucilati dieci criminali comunisti badogliani. Quest’ordine è già stato eseguito”.

Nel libro La farfalla impazzita Giulia Spizzichino ricorda: “Non ricordo come, ma a un certo punto si venne a sapere che alle Fosse Ardeatine c’era un numero impressionante di cadaveri. Non si sapeva esattamente chi vi fosse sepolto, ma era chiaro che si trattava di prigionieri prelevati dalle carceri dopo l’attacco di via Rasella. Erano loro gli scomparsi, e poi c’era stato l’annuncio sul giornale della rappresaglia eseguita. Il comando tedesco non aveva mai comunicato i nomi delle persone trucidate, ma le famiglie che non avevano notizie dei propri cari non si facevano illusioni circa loro sorte. Chi andò alle cave a vedere riferì che era impossibile solo pensare di dare un nome alle vittime".

"Quei corpi erano rimasti là sotto per quasi tre mesi ed erano tutti ammassati - scrive ancora Spizzichino - a formare un unico groviglio. Qualcuno propose di chiudere l’entrata, rendendo il luogo una grande tomba comune. Le famiglie degli scomparsi però non lo accettavano. Le figlie del generale Simoni, per esempio, si opposero violentemente, obiettando che in quel modo non avrebbero mai saputo se il loro padre fosse lì dentro. Quando l’odio produce effetti tanto devastanti, per averne ragione non c’è che l’opera dell’amore. Chi si offrì di compierla fu un medico ebreo, il dottor Attilio Ascarelli. Un uomo stupendo, non ho altri modi per definirlo, che impegnò nella difficile impresa tutta la sua passione, la sua professionalità. Voleva attribuire un volto a ciascuno di quei miseri resti. Iniziò a separare i corpi uno per uno, dato che si erano attaccati. Attraverso i ritagli degli abiti e gli oggetti che avevano addosso - i documenti erano stati loro sottratti - riuscì un po’ alla volta a ottenere il riconoscimento di quasi tutti. Naturalmente anche la mia famiglia fu coinvolta, tanti dei nostri cari mancavano all’appello, ma io andai sul posto poche volte, mia madre non voleva condurmi con sé. Ero sempre triste ogni volta che tornavo alle Fosse Ardeatine! Ricordo che c’erano tanti pezzetti di stoffa lavati e sterilizzati, appesi a dei fili con le mollette. Erano numerati, per effettuare un riconoscimento bisognava annotarsi quei numeri. All’epoca i vestiti venivano fatti su misura dal sarto, non c’erano abiti confezionati come adesso, quindi le donne di casa tenevano da parte degli avanzi della stoffa per poterla utilizzare per le riparazioni. Per noi, come per tanti, è stata una fortuna. Solo così abbiamo potuto ritrovare i nostri familiari, li abbiamo riconosciuti attraverso la comparazione dei tessuti. Un pezzetto di stoffa per il nonno Mosè, un altro per lo zio Cesare. Mio cugino Franco, i suoi sogni e i suoi presentimenti: tutto in qualche lembo di tessuto! E ogni volta quanto dolore, quanto quanto dolore...".

Carla Capponi, tra i partecipanti all’azione in via Rasella, nel suo libro Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista scrive: “Dopo la liberazione di Roma, quando si indagò su quella strage si scoprì che solo tre delle vittime erano state condannate a morte con sentenza; neppure il tribunale tedesco installato a via Lucullo aveva avuto il coraggio o la possibilità di emettere una sentenza che desse appoggio legale a quel massacro. Volevano fare intendere che al di sopra di tutte le leggi del diritto e della morale, c’erano gli ordini del comando nazista, il Deutschland über alles, della razza ariana, destinata a dominare tutte le altre considerate inferiori e per le quali non c’era bisogno né di tribunale né di sentenze. Avevano assassinato in fretta gli ostaggi, occultato i cadaveri e lasciato le famiglie senza notizie, così che ciascuna potesse sperare che i propri cari non fossero nel numero dei destinati alla morte e aspettassero fiduciose. Per questo non fecero indagini, non cercarono i partigiani, non usarono il mezzo del ricatto chiedendo la resa dei Gap. L’eccidio doveva consumarsi per vendetta, non per cercare giustizia".

"Volevano nascondere un altro crimine - si legge ancora nell'opera di Carla Capponi - l’avere ucciso quindici persone oltre i trecentoventi dichiarati, come scoprimmo quando, liberata Roma, furono riesumate le salme: trecentotrentacinque. I tedeschi uccisi erano stati trentadue, uno dei settanta feriti era morto durante la notte a seguito delle ferite: Kappler decise di sua iniziativa di aggiungere dieci vittime a quelle già predestinate e, nella fretta di dare immediata esecuzione all’eccidio, ne prelevarono dal carcere quindici, cinque in più della vile proporzione tra caduti tedeschi e prigionieri da assassinare, quindici in più di quelli autorizzati dal comando di Kesserling. Dell’errore si rese conto Priebke mentre svolgeva l’incarico di ‘spuntare’ le vittime prima dell’esecuzione, rilevandole da un elenco all’ingresso delle cave Ardeatine, luogo prescelto per l’esecuzione e l’occultamento dei cadaveri. Lui stesso e Kappler decisero di assassinare anche quei cinque, rei di essere testimoni scomodi della strage”.

Scrive Edoardo Grassia nel volume Sabato Martelli Castaldi. Il generale partigiano (Mursia Editore): “Iniziò l’esecuzione: cinque militari tedeschi prendevano in consegna cinque vittime, le facevano entrare nella cava, che era debolmente illuminata da torce tenute da altri militari posti ad una certa distanza l’uno dall’altro, e le accompagnavano fino in fondo. Dopo aver percorso una galleria dritta, solo alla fine di questa, si svoltava a sinistra, in un altro tunnel che si apriva orizzontalmente. Qui i soldati costrinsero le vittime ad inginocchiarsi e, infine, ciascuno di essi sparò un solo colpo. Alla presa in consegna delle vittime, il capitano Priebke provvedeva a cancellarne il nome dall’elenco".

"Apparvero i primi cinque, ma non so chi sparò con me. Non posso dire chi ordinò il fuoco (nel senso che non ricordava, ndr). L’ordine fu: puntare, fuoco. Il colpo venne sparato con una pistola mitragliatore portatami da un sottufficiale. […] I primi non furono trasportati da me ma da altri. Avevano le mani legate alla schiena e si dovevano inginocchiare con la faccia al muro. Vennero portati in fondo al corridoio. Il luogo era debolmente illuminato con le fiaccole tanto da poter debolmente vedere il punto sul quale si doveva sparare. Sparai una volta e uscii fuori il più presto possibile". Hans Clemens, in servizio presso l’Aussenkommando Rom der Sicherheitpolizei und des SD, nella sua deposizione al processo che lo vide tra gli imputati insieme al tenente colonnello Kappler, affermò: "Quando sparai io, le cinque vittime furono portate nelle cave da soldati, noi ci disponemmo dietro e, all’ordine, sparammo un colpo solo. Le vittime erano in ginocchio e, dopo che caddero, alcuni soldati trasportarono i cadaveri verso il fondo delle caverne dove si trovavano già i cadaveri delle prime. Io poi uscii dalla cava e non entrai più, ma ritengo che le altre esecuzioni siano avvenute allo stesso modo".

Il 73° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è stato nel 2017 l’occasione per inaugurare il sito www.mausoleofosseardeatine.it.  Il sito ha due obbiettivi: fornire ai più giovani e a tutti i visitatori una guida interattiva alla visita al mausoleo realizzata con contributi audio e video e raccogliere, rendendoli disponibili on line,  materiali documentari inerenti la strage, la storia di Roma e del Lazio durante la seconda guerra mondiale, le biografie delle 335 vittime.

In allegato l’elenco completo delle vittime.

Fonte Rassegna Sindacale

Allegati Pdf:

Allegato PDF 1

3412 visite

Articoli correlati

Petizioni online
Sondaggi online