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#AccaddeOggi 24 marzo 1944 Roma Eccidio delle Fosse Ardeatine

Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, l'eccidio delle Fosse Ardeatine divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione tedesca di Roma.

| Scritto da Redazione
#AccaddeOggi 24 marzo 1944 Roma Eccidio delle Fosse Ardeatine

Accadde Oggi 24 marzo 1944 Roma Eccidio delle Fosse Ardeatine

Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, l'eccidio delle Fosse Ardeatine divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione tedesca di Roma.

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L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu l'uccisione di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella, compiuto il 23 marzo da membri dei GAP romani, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei dell'esercito tedesco. L'eccidio non fu preceduto da nessun preavviso da parte tedesca.

Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quale luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.

L'attentato in via Rasella

Il 23 marzo 1944 ebbe luogo una azione di guerra partigiana contro l'11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment "Bozen" in via Rasella, per iniziativa di partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica delle brigate Garibaldi, che ufficialmente dipendevano dalla Giunta militare che era emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale.

Tale reparto fu segnalato come bersaglio da Mario Fiorentini (nome di battaglia Giovanni), poiché abitava nei pressi di Via Rasella e da casa sua vedeva "passare ogni pomeriggio" i militari "in pieno assetto di guerra". Giorgio Amendola, responsabile principale dei GAP, indicò le direttive ma lasciò quindi al comando partigiano "assoluta libertà d'iniziativa", non per eventuali responsabilità dei soldati che vi appartenevano. Il "Bozen" era costituito da soldati addestrati e venne descritto dallo stesso Amendola, come un "battaglione di gendarmeria" che transitava in Via Rasella "in pieno assetto da guerra"

L'operazione fu portata a termine da 12 partigiani. Fu utilizzata una bomba a miccia ad alto potenziale; collocata in un carrettino per la spazzatura urbana, confezionata con 18 kg di esplosivo misto a spezzoni di ferro e dopo l'esplosione furono lanciate alcune bombe a mano dai tetti delle case per ingannare e "onde dare I'impressione che le bombe occorse per I'attentato alla colonna erano partite dall'alto" dei palazzi (in cui vennero eseguiti i primi 100 arresti di cittadini ignari). Rimasero uccisi 32 militari dell'11a Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen e un altro soldato morì il giorno successivo (altri nove sarebbero deceduti in seguito). L'esplosione uccise anche due civili italiani, Antonio Chiaretti, partigiano della formazione Bandiera Rossa, ed il tredicenne Piero Zuccheretti.

Il ruolo del  colonnello Kappler

Il colonnello Kappler si incontrò alle ore 12.00 con il generale Mälzer per riferire; era stato convocato anche il maggiore Hellmuth Dobbrick (noto anche come Hans Dobek), comandante della compagnia del polizeiregiment Bozen colpita in via Rasella; il generale, dopo essere stato informato dal colonnello Kappler sui progressi nella compilazione della lista e sulle difficoltà dell'inviduazione del numero di italiani, ordinò al maggiore Dobbrick di eseguire personalmente con i suoi uomini la rappresaglia. Il maggiore Dobbrick tuttavia rifiutò espressamente di obbedire a questo ordine affermando che i suoi soldati non erano in grado, per sentimenti religiosi, di eseguire le fucilazioni "nel breve tempo a disposizione"[29]. Con grande disappunto il generale Mälzer dovette ricercare altri esecutori e in un primo momento consultò il colonnello Wolf Rüdiger Hauser, capo di stato maggiore del generale von Mackensen e richiese un reparto di truppe per eseguire materialmente la rappresaglia[30]. Il colonnello Hauser tuttavia rifiutò a sua volta di farsi coinvolgere, affermando che il compito spettava alla polizia tedesca che aveva subito l'attacco; il generale Mälzer, sempre più in difficoltà, decise infine di assegnare direttamente al colonnello Kappler e ai suoi uomini l'esecuzione delle fucilazioni; egli stabilì inoltre che il capo della Gestapo a Roma avrebbe dovuto partecipare personalmente per "dare l'esempio"

Esecuzione della rappresaglia

Il colonnello Kappler, dopo aver ricevuto gli ordini del generale Mälzer, andò in via Tasso dove comunicò ai suoi uomini che "entro poche ore" dovevano essere uccisi per rappresaglia 320 uomini. Tutti i componenti del reparto incaricato all'azione, compresi gli ufficiali, avrebbero dovuto partecipare alle esecuzioni come "necessario atto simbolico". Il colonnello dovette affrontare rapidamente importanti difficoltà tecniche legate alla modalità delle fucilazioni ed al luogo di esecuzione; egli disponeva in tutto di 74 uomini, tredici ufficiali, compreso egli stesso, un soldato semplice e 60 sottoufficiali; su proposta del capitano Köhler, si decise di effettuare l'eccidio di massa in una serie di gallerie sotterranee abbandonate in via Ardeatina. Dopo un sopralluogo del capitano con genieri dell'esercito, la zona venne ritenuta idonea e facilmente occultabile chiudendo con esplosivi le entrate delle gallerie. Il colonnello Kappler stabilì che le uccisioni fossero dirette dal capitano Carl Schütz, che il capitano Priebke controllasse la lista per verificare l'avvenuto completamento delle uccisioni e che si impiegasse "non più di un minuto

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