Il 17 giugno il Consiglio dell’Unione europea ha votato il rinnovo per un anno delle sanzioni introdotte a seguito dell’annessione russa della Crimea. Nelle stesse ore, durante il forum economico di San Pietroburgo, il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi manifestava a Putin la posizione italiana contraria alla proroga delle sanzioni, posizione condivisa da un numero crescente di Paesi UE. Evidentemente, è importante fare un po’ di chiarezza sul complesso regime sanzionatorio imposto dall’Ue alla Russia e cercare di capire perché si parla sempre e solo di Minsk-2.
Il Consiglio dell’Ue ha rinnovato per un altro anno, fino al 23 giugno 2017, le sanzioni “in risposta all’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte della Russia”, come recita il provvedimento. Si tratta di un pacchetto di misure varate per la prima volta nel 2014, all’indomani dell’annessione, e più volte prorogate. Impongono una serie di restrizioni, tutte limitate al territorio della Crimea, che vanno dal divieto di importazione dei prodotti locali, al blocco degli investimenti di imprese europee come acquisto di immobili, finanziamento di attività locali o fornitura di servizi, alla chiusura dei servizi turistici, alla sospensione di fornitura di tecnologia per le comunicazioni, i trasporti e il settore energetico.
Non si tratta certamente delle sanzioni che più colpiscono l’economia russa, proprio perché circoscritte unicamente al territorio della Crimea. Eppure rappresentano un’espressione dell’accusa forse più grave che la comunità internazionale fa a Putin, ossia quella di aver agito contro il diritto internazionale aggredendo uno Stato sovrano. La posizione è espressa chiaramente dall’Ue. Secondo la politica di non riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, l’Unione europea “continua fortemente a condannare questa violazione del diritto internazionale, che rappresenta una sfida all’ordine della sicurezza internazionale”, si legge nel fact sheet pubblicato dal Servizio per l’Azione esterna dell’Ue, Eeas, lo scorso marzo. Va anche notato che queste sanzioni non sono in relazione al conflitto scoppiato in Donbass e, quindi, sono indipendenti dal processo di pace avviato a Minsk. Teoricamente, potrebbero durare per sempre.
Le sanzioni economiche
La notizia del rinnovo è stata presa a Kiev con un certo sollievo. Non è infatti un segreto che il fronte europeo sull’argomento sia sempre meno compatto e il timore che siano fatti sconti alla Russia si insinua sempre più prepotentemente nell’opinione pubblica ucraina. Ma, anche se l’Europa ha voluto mandare un segnale chiaro alla Russia a più di due anni dall’annessione della Crimea e un anno dagli accordi di Minsk-2 per il processo di pace in Donbass, è alla scadenza del prossimo luglio che bisogna guardare con interesse.
È infatti attesa per oggi 21 giugno la decisione sul rinnovo delle cosiddette “sanzioni economiche”, già prorogate per sei mesi lo scorso gennaio e in scadenza il 31 luglio prossimo. È questo il pacchetto di misure che morde di più l’economia russa, ed è prevalentemente a queste che alcuni politici europei si riferiscono quando si parla di sanzioni da alleviare o eliminare del tutto. E, ancora, è su queste che la compattezza europea sembra vacillare. Assieme all’Italia ci sono almeno altri tre Paesi a voler mettere in discussione il meccanismo di rinnovo, la Grecia, Cipro e l’Ungheria. Ma una recente risoluzione votata dal parlamento francese proprio per rimuovere le sanzioni alla Russia sembra allungare la lista.
I settori coinvolti dalle restrizioni sono tanti e rilevanti. L’accesso ai mercati finanziari europei è stato inibito per i cinque principali istituti finanziari russi (tra cui Sberbank e VTB), così come per le più grandi compagnie energetiche (Gazprom, Rosneft e Transneft) e per i più grandi produttori di armamenti (tra cui Rosoboronexport, MiG e Kalashnikov). È stato introdotto un bando totale sull’importazione e sull’esportazione di armi e un bando sull’export in Russia di tecnologie civili convertibili a uso militare. Ed è stata anche vietata alle aziende europee la vendita di tecnologia per le prospezioni e per l’estrazione petrolifera. Infine sono stati sospesi tutti i programmi di cooperazione economica e la Banca europea per gli investimenti non può finanziare nuove operazioni in tutto il territorio della Federazione.
Cartellone del referendum separatista del 2014 in Donbass (hinkelstone)
La Russia, però, non è rimasta inerte e ha risposto con il suo embargo alle importazioni di alcuni beni, soprattutto alimentari, dall’Europa. Le cosiddette contro-sanzioni di Mosca stanno colpendo particolarmente duro alcuni Paesi che hanno forti legami commerciali con la Russia, tra cui proprio l’Italia.
Il ruolo di Minsk-2
Le sanzioni economiche furono adottate per la prima volta a luglio 2014, nel pieno della guerra in Donbass, dopo aver constatato che la Russia e i separatisti non avevano compiuto i passi richiesti dall’Ue per la deescalation del conflitto. Ma da marzo 2015 il Consiglio dell’Ue ha voluto che le sanzioni fossero “chiaramente legate alla completa implementazione degli accordi di Minsk”, siglati il mese precedente. È stata una mossa che ha chiaramente indicato Minsk-2 come unica via sia per la pace che per la soluzione della crisi nei rapporti con la Russia, ma ha introdotto una sorta di automatismo di fatto nel regime sanzionatorio. Fintantoché, insomma, la Russia non avrà onorato tutti gli impegni presi nella capitale bielorussa, le sanzioni ci saranno. È questa la posizione oggi contestata da alcuni Paesi come l’Italia, che pensano si debba valutare di volta in volta se e quali sanzioni reiterare in base agli eventuali progressi sulla Road Map di pace.
L’obiettivo sarebbe quello di procedere a un graduale alleviamento delle sanzioni, sperando che la Russia in cambio rinunci alle proprie controsanzioni. Bisogna aspettare la prossima scadenza per vedere se e quanto questa posizione inciderà sulla politica europea.
Ma quella di luglio non è l’unica scadenza a breve. Il prossimo 15 settembre avranno termine le misure restrittive personali, rinnovate l’ultima volta a marzo. In base a quest’altro provvedimento, i beni di 37 società e 146 individui – sottoposti questi ultimi anche a restrizioni di viaggio – sono stati congelati a causa delle loro “responsabilità in azioni che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”, come si legge nel provvedimento. Sono perlopiù persone che oggi ricoprono cariche pubbliche in Crimea o nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, la cui presenza nella lista non è legata agli accordi di pace.
È chiaro, quindi, che se un domani dovesse prevalere la linea “italiana”, potranno essere messe in discussione le sanzioni economiche ancorate a Minsk-2 – se e nella misura in cui si dovessero registrare dei passi avanti verso la pace –, ma ben più difficilmente potranno essere ignorate le cause alla base delle altre misure, ossia l’annessione della Crimea e l’indipendenza de facto di Donetsk e Luhansk.
(Danilo Elia, via balcaniecaucaso.org, cc by-nc-nd)