Mercoledì, 24 aprile 2024 - ore 22.37

Il Covid-19 potrebbe indurre le persone a eliminare la selvaggina dal menu

Le persone con un'elevata consapevolezza del Covid-19 hanno più probabilità di ridurre il consumo di carne selvatica

| Scritto da Redazione
Il Covid-19 potrebbe indurre le persone a eliminare la selvaggina dal menu

Lo studio “Socio-demographic correlates of wildlife consumption during early stages of the COVID-19 pandemic”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution da Robin Naidoo (Wwf e università della British Columbia), Oxford Brookes University) Daniel Bergin (GlobeScan – Hong Kong e Oxford Brookes University) e Jan Vertefeuille (Wwf), ha valutato come le componenti socio-demografiche siano correlate al consumo di fauna selvatica da quando il Covid-19 si è diffuso per la prima volta in Asia.

I ricercatori dicono che «Il consumo di fauna selvatica autodichiarato era più fortemente correlato alla consapevolezza del Covid-19; quelli con una maggiore consapevolezza avevano l’11 – 24% in meno di probabilità di acquistare prodotti della fauna selvatica. Un ipotetico intervento mirato a una maggiore consapevolezza, al supporto per le chiusure dei mercati della fauna selvatica e alla riduzione degli impatti medici del Covid-19 potrebbe dimezzare i futuri tassi di consumo di fauna selvatica in diversi Paesi e contesti demografici».

Quindi, in sintesi, La pandemia globale che ha ucciso più di 4,5 milioni di persone in tutto il mondo potrebbe rivelarsi un vantaggio per la fauna selvatica e potrebbe convincere alcune persone a smettere di comprare selvaggina.

L’ipotesi più concreta sulla diffusione del virus alla base del Covid-19 è ancora quella che sia passato da un animale selvatico all’uomo e gli ambientalisti potrebbero sfruttare i timori per queste malattie di origine animale per intaccare il crescente e devastante commercio di carne  di selvaggina che minaccia le popolazioni animali e foraggia reti criminali internazionali.

In un sondaggio svolto nel marzo 2020, poco dopo l’inizio della pandemia, su 5.000 persone in 5 Paesi asiatici (Hong Kong, Giappone, Myanmar, Thailandia e Vietnam), gli intervistati con una maggiore consapevolezza della malattia avevano fino al 24% in meno di probabilità di acquistare prodotti di animali selvatici.

Naidoo sottolinea che «E’ stata un’opportunità, per quanto triste. Un’opportunità per evidenziare questi legami tra lo sfruttamento insostenibile della biodiversità e l’emergere di cose come il Covid, che hanno letteralmente colpito tutti».

Il commercio di carne di selvaggina è multiforme: va dai cacciatori di sussistenza ai ricchi che amano divorare specie rare o esotiche come status symbol o per improbabili benefici per la salute o per le prestazioni sessuali. Inoltre, il bracconaggio e il commercio illegale di selvaggina sono favoriti da una inadeguata applicazione delle leggi esistenti, dai mercati neri illegali e da una continua domanda di carne selvatica e prodotti come l’avorio.

Quando i primi casi di Covid-19 sono stati rintracciati in un mercato “umido” di carne  a Wuhan, in Cina, alcuni hanno ipotizzato che la malattia potesse aver avuto origine da un animale selvatico macellato, come un pipistrello o un pangolino. Queste preoccupazioni hanno spinto a chiedere il divieto del traffico di carne selvatica. A febbraio, la Cina ha vietato la vendita e il consumo di tutti gli animali selvatici e il Wwf ha esortato gli altri Paesi a seguire l’esempio cinese.

Ma Naidoo sospetta che i divieti assoluti non verranno rispettati come i divieti su altri prodotti popolari come alcol o droghe: «E’ improbabile che un divieto generale sul consumo di fauna selvatica sia efficace».

Lo studio “Investigating the risks of removing wild meat from global food systems”, pubblicato ad aprile su Current Biology da un folto team internazionale di ricercatori, ha avvertito che, se priva le persone dell’accesso a una fonte critica di proteine ​​o le costringe ad espandere le fattorie che distruggono l’habitat, un divieto totale di caccia potrebbe danneggiare sia le persone che la fauna selvatica.

Naidoo e molti altri ricercatori hanno deciso di scoprire se le paure sul Covid-19 potrebbero aiutare a persuadere le persone a eliminare volontariamente la carne di selvaggina dalla loro dieta.

Il sondaggio alla base del nuovo studio ha chiesto ai cittadini dei &<% Paesi asiatici quali fossero le loro abitudini di consumo di carne di selvaggina, cosa ne pensassero delle chiusure dei mercati “umidi” e quale fosse il  loro atteggiamento nei confronti di Covid-19. I ricercatori hanno anche raccolto dati su reddito, istruzione, età e altri dettagli personali. Ne è emerso che, in tutti e 5 i Paesi, la consapevolezza della malattia si è classificata come il fattore principale per prevedere se le persone mangeranno selvaggina in futuro o smeteranno di farlo.

Per Naidoo, «Una cosa sorprendente è stata quanto sia forte l’’associazione tra consapevolezza del Covid-19 e ridotta intenzione di acquistare selvaggina. Personalmente non me lo aspettavo».

Il Wwf e altre associazioni e governi regionali asiatici  stanno utilizzando i risultati dello studio per sviluppare potenziali campagne pubblicitarie che mettano in evidenza i legami tra Covid-19 e carne selvatica.

Mentre i dati in questo studio provengono dai primi giorni della pandemia, un sondaggio di follow-up dello stesso team dimostra che «I timori di pandemia continuano a smorzare l’appetito delle persone per gli animali selvatici». A maggio, il Wwf e GlobeScan hanno pubblicato il rapporto “COVID-19: One Year Later:  Public Perceptions about Pandemics and their Links to Nature”, un sondaggio svolto un anno dopo il sondaggio iniziale, questa volta coinvolgendo 7.000 persone negli Stati Uniti, in Cina, Thailandia, Myanmar e Vietnam. Ne è venuto fuori che «il 28% degli intervistati in Cina consuma meno fauna selvatica o ha smesso di consumare fauna selvatica a causa del Covid-19, con numeri quasi raddoppiati in Thailandia (dal 21% nel 2020 al 41% nel 2021) e rimasti stabili in Vietnam (41%) nel 2020 rispetto al 39% nel 2021). Tuttavia, rimane uno zoccolo duro di consumatori di fauna selvatica, con il 9% dei partecipanti intenzionato ad acquistare prodotti della fauna selvatica in futuro in tutti e cinque i Paesi».

Ora, mentre la diffusione dei vaccini Covid-19 preannuncia un potenziale allentamento della pandemia, Naidoo si chiede se la domanda di fauna selvatica riprenderà e conclude: «Spesso capita quando c’è una crisi e noi rispondiamo in modo molto deciso e poi, alcuni anni dopo, si torna alla normalità. Speriamo che questo sia un evento di così grave importanza da ispirare un reset».

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