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Il negazionista climatico che è in noi

Anche chi non mette in discussione il cambiamento climatico antropico, se fa solo chiacchiere e nessuna azione concreta, può essere un negazionista

| Scritto da Redazione
Il negazionista climatico che è in noi

Secondo lo studio “Predicting climate change risk perception and willingness to act”, pubblicato nel gennaio 2019 sul Journal of Environmental Psychology da un team di ricercatori dell’università del New South Wales (UNSW) e della Columbia Business School della Columbia University, il negazionismo climatico va ben oltre i climate deniers irriducibili e riguarda una parte della popolazione molto più vasta.

Ora la principale autrice di quello studio, Belinda XIe, una psicologa dello sviluppo dell’UNSW, riparte dai giganteschi incendi boschivi che hanno devastato gran parte dell’Australia e hanno portato la maggioranza dell’opinione pubblica a chiedere al governo nazional-conservatore di fare di più contro i cambiamenti climatici, mentre molti australiani scendere in piazza per protestare contro la dipendenza del Paese dai combustibili fossili, e fa notare che «Alcuni australiani hanno intrapreso azioni più drastiche, come l’attore Yael Stone che ha rinunciato al diritto permanente a lavorare negli Stati Uniti. Ma per molte persone, un’azione come questa sembra irrealistica. Anche se sappiamo che è meglio che rinunciamo alla nostra auto per il trasporto pubblico, che smettiamo di usare la plastica monouso o che mangiamo meno carne, non facciamo sempre e con continuità tutte queste cose. E’ quasi impossibile vivere senza avere un impatto sul pianeta, ma è ciò che facciamo quando riconosciamo che ciò conta».

La Xie, che sta facendo un dottorato UNSW Scientia e che è specializzata in scienze cognitive e psicologia dei cambiamenti climatici, sottolinea che «E’ importante riconoscere che, in una certa misura, siamo tutti negazionisti climatici e quindi capire come e perché siamo arrivati a questo punto. Non è semplicemente perché gli esseri umani sono persone cattive o egoiste: ci sono molti fattori esterni al di fuori dal nostro controllo, come le informazioni che consumiamo o il modo in cui è impostata la nostra economia, che possono incoraggiare il negazionismo. Quindi, allora dobbiamo chiederci: come possiamo superare questo negazionismo, quali azioni possiamo intraprendere come comunità e cosa possono fare governo e imprese?».

L’interesse degli psicologi per la scienza climatica è aumentato da quando nel 1988 il climatologo James E. Hansen dichiarò in un’audizione al Senato Usa che l’effetto era reale e che stava già cambiando il clima. La Xie ricorda che «Gli scienziati del clima hanno svolto le loro ricerche e le hanno comunicate per molti decenni, ma realizzare cambiamenti comportamentali è stato difficile. Quindi, gli psicologi hanno cercato di scoprire perché: ad esempio, gli psicologi hanno scoperto che le emozioni e i valori condivisi, non i fatti, hanno più facilmente risonanza con le persone. Le persone si sentono anche psicologicamente distanti dai cambiamenti climatici: pensano che non accadrà a loro, accadrà in futuro o accadrà all’estero. C’è stato anche l’emergere di problemi di salute mentale derivanti dal cambiamento climatico, che è un’altra preoccupazione per gli psicolog.

I ricercatori hanno definito il negazionismo come «un “costrutto” nel contesto del cambiamento climatico e della psicologia ambientale» e la Xie spiega ancora che «Sapere che qualcosa è reale, ma dire attivamente che non lo è: questo è negazionismo. Il noto sistema di categorizzazione del sociologo Stanley Cohen si riferisce a tre tipi di rifiuto: rifiuto letterale, interpretativo e implicativo. Usando il cambiamento climatico come esempio, il rifiuto letterale è:” il clima non sta cambiando “. Il secondo livello, la negazione interpretativa, è: “il clima sta cambiando ma non è causato dall’uomo”. L’ultimo, negazione implicita, è:”Accetto che il clima stia cambiando e che lo stiano causando gli esseri umani, ma è discutibile se dobbiamo fare qualcosa al riguardo”».

C’è poi il famoso studio del 2015 “Global Warming’s Six Americas” realizzato da ricercatori della Yale University e della George Mason University che ha esaminato il negazionismo in relazione alle credenze,  comportamenti e preferenze politiche delle persone sul cambiamento climatico e che ha identificato 6 distinti gruppi di statunitensi in uno spettro che va dall’azione per il clima al negazionismo climatico e ha trovato tre sottocategorie di negazionisti. I negazionisti erano: Sprezzanti – il riscaldamento globale non sta avvenendo; Dubbiosi – non so se il riscaldamento globale stia avvenendo ma non mi preoccupo; Disimpegnati – non so se il riscaldamento globale sta avvenendo ma, dato che non ne so abbastanza, potrei cambiare idea. Dopo i ricercatori hanno monitorato le dimensioni di questi 6 gruppi e hanno scoperto che la maggior parte degli statunitensi ora crede che il cambiamento climatico stia avvenendo, mentre una minoranza rimane nelle tre categorie negazioniste.

Secondo la Xie e il suo team «Ci sono stati una moltitudine di fattori e motivazioni psicologiche che hanno contribuito al negazionismo climatico, dal ragionamento motivato, all’ideologia del libero mercato e alle norme sociali, all’ignoranza pluralistica e all’inefficacia. Nel ragionamento motivato, prima giungi a una conclusione e poi la interpreti e cerchi informazioni coerenti con ciò che fa; per esempio, potresti decidere che il cambiamento climatico è un ostacolo al godimento del tuo stile di vita e quindi, per non preoccuparti negare la sua esistenza, Ci sono anche fattori e norme sociali; quindi, se tutti i tuoi amici stanno negando qualcosa e vuoi ancora essere loro amico, probabilmente lo negherai anche tu. Il cambiamento climatico è anche una questione politica – le persone affiliate a partiti politici, il loro popolo e le loro politiche – e c’è un molto negazionismo istituzionale e sistematicamente diffuso attraverso le compagnie dei combustibili fossili e da una parte dei media, quindi tutte queste informazioni influenzano le credenze delle persone, anche se non le cercano attivamente».

Ma per la Xie uno dei principali fattori del negazionismo climatico è l’ideologia del libero mercato: «Questo concetto è popolare tra le persone politicamente conservatrici: la convinzione che i liberi mercati debbano essere lasciati funzionare senza l’intervento del governo. Se le persone credono nell’ideologia del libero mercato, è più difficile per loro accettare azioni per il clima, come le politiche governative sulle emissioni di carbonio».

Poi c’è l’ignoranza pluralistica che è stato un ulteriore fattore importante nel negazionismo e la Xie spiega che «E’ quando la maggioranza delle persone pensa che le loro convinzioni siano in minoranza, mentre una minoranza rumorosa pensa che le loro credenze riflettano la maggioranza. Ad esempio, i negazionisti climatici hanno voci forti che vengono pubblicizzate attraverso una serie di importanti media. Ma, secondo molti sondaggi e indagini, la maggior parte degli australiani accetta che i cambiamenti climatici stiano avvenendo e sottovaluta il livello con cui pensano che anche gli altri australiani credano nella stessa cosa. Di conseguenza, molti australiani potrebbero sentirsi a disagio nell’esprimere le proprie opinioni sui cambiamenti climatici senza sapere che le loro opinioni sono, in realtà, popolari. Quindi, nel caso del cambiamento climatico, potrebbe essere che i cosiddetti “quiet Australians” (quella che in Italia chiameremmo la maggioranza silenziosa, ndr) siano quelli che sostengono l’azione per il clima».

Ma la Xie evidenzia che è importante riconoscere che siamo tutti all’interno dello spettro del negazionismo climatico: «L’alternativa, di pensare costantemente alla crisi climatica e ad agire sarebbe debilitante. In una certa misura, siamo tutti ipocriti in una certa misura, comprese le celebrità che hanno firmato la controversa lettera a sostegno del gruppo ambientalista Extinction Rebellion. La lettera riconosceva che i sottoscrittori erano ipocriti per aver voluto l’azione climatica mentre conducevano stili di vita ad alte emissioni. La lettera dimostra come il negazionismo possa contribuire alla continuazione del proprio stile di vita ad alte emissioni. Tuttavia, ci sono molti altri ostacoli che scoraggiano le persone dall’agire. Nella psicologia del cambiamento di comportamento esiste uno spettro di attività: la percezione del rischio che porta all’intenzione comportamentale, che porta al comportamento reale. Ad esempio, se pensi che i cambiamenti climatici siano un problema, prevedi di fare qualcosa per i cambiamenti climatici e poi agisci».

La Xie rammenta che dopo la pubblicazione dello studio «Nel contesto della promozione della mitigazione climatica, abbiamo proposto la disponibilità comportamentale come una variabile più importante per il risultato della percezione del rischio. Tuttavia, abbiamo notato che, in definitiva, la disponibilità comportamentale è diversa dal comportamento reale. Quindi, identificando quanto altri fattori influenzano la volontà comportamentale e il comportamento reale, i ricercatori saranno in una posizione migliore per consigliare i responsabili politici e i comunicatori su come aumentare l’azione climatica».

Ma allora come riusciremo a sconfiggere il negazionista climatico che è in noi? La stessa Xie ammette che «E’ stata una sfida vivere senza avere un impatto sull’ambiente e a volte potrei anche essere stata una negazionista. A volte lo nego per vivere, per esempio, mi sentivo malissimo a fare un viaggio in aereo per andare a casa per Natale, ma lo ho negato per continuare a vivere. L’Australia è una nazione ricca con emissioni elevate, quindi è difficile vivere qui senza essere una sorta di ipocrita e non impegnarsi in azioni che comportano emissioni. Affinché una società moderna funzioni ci sarà sempre qualche negazione. E’ importante riconoscerlo e agire per andare oltre il nostro negazionismo climatico e quindi esortare gli altri a fare lo stesso. Potrebbe essere qualcosa di semplice come iniziare una conversazione con amici e familiari, scrivere ai parlamentari, donare a un’organizzazione per l’azione climatica o diventare un consumatore più attento all’ambiente. Si potrebbe persino partecipare a una manifestazione: abbiamo sostenuto che fare qualcosa per sostenere l’azione climatica può promuovere i fattori psicologici più importanti per combattere i cambiamenti climatici. In base alla nostra ricerca, la riduzione dell’inefficacia – la convinzione che “non posso fare la differenza” e la promozione di norme sociali, sono alcuni dei modi più efficaci per incoraggiare l’azione per il clima».

La Xie conclude: «Anche fare appello a emozioni e valori condivisi è una chiave per promuovere l’azione, perché i ricercatori in psicologia concordano sul fatto che i fatti non sono sempre stati una buona strategia per cambiare idea. Ad esempio, anche se fornisci alla gente i fatti sui cambiamenti climatici, non tutti li interpreteranno nello stesso modo che intendi. Quindi, c’è una crescente attenzione nel coinvolgere i valori delle persone attraverso storie interessanti e nel farle raccontare attraverso diverse fonti per incoraggiare le connessioni e, in definitiva, l’azione climatica. Realizzare cambiamenti comportamentali a livello individuale è importante, ma è altrettanto importante che le persone e le istituzioni al vertice ispirino e attuino il cambiamento per il bene del nostro pianeta e delle generazioni future».

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