TUTTO QUESTO MENTRE IN PUGLIA, SEMPRE IN QUESTE ORE, UN INFERMIERE DI
BARLETTA È SCAMPATO PER MIRACOLO, PER UN BANALE ERRORE DI PERSONA DEL
SUO AGGRESSORE, AD UN TENTATO OMICIDIO. URGONO DOVEROSE RIFLESSIONI SUI
RISCHI CHE CORRONO OGNI GIORNO GLI OPERATORI SANITARI DENTRO E FUORI
DAGLI OSPEDALI ITALIANI».
«Botte da orbi contro una operatrice sanitaria di
Grosseto, aggredita addirittura da due persone contemporaneamente.
Accade nel reparto setting covid del pronto soccorso dell'ospedale
Miracolo.
L'escalation di violenze perpetrate ai danni degli infermieri e degli
altri operatori sanitari non conosce la parola fine.
E come se tutto questo fosse poca cosa, troppo spesso i nostri
professionisti della salute diventano un vero e proprio capro
espiatorio, che scatena la rabbia incontrollata degli aggressori.
Addirittura c'è chi prova desideri di vendetta, e li alimenta per anni
sotto la cenere.
E poi c'è chi, invece, ritiene banalmente, facendo finta di essere
sordo e di non conoscere le battaglie che Nursing Up porta avanti da
molti anni, che si tratti di una questione legata esclusivamente al
caos
degli ospedali in periodo di pandemia.
Vero è che il nostro sindacato scava da tempo nel sommerso delle
corsie, in quello che rappresenta il buio tunnel delle aggressioni che
gli infermieri subiscono ogni giorno. Non solo fisiche ma anche
psicologiche.
A Barletta per esempio, a distanza di anni esplode questa triste
storia,
di un infermiere verso il quale un paziente covava odio e desiderio di
vendetta, ritenendolo responsabile di un presunto grave errore verso un
suo parente.
Il protagonista della vicenda alla fine ha scaricato tutta la sua
rabbia, al di fuori dell'ospedale dove l'infermiere lavora,
accoltellato
un'altro povero malcapitato, una persona totalmente estranea ai fatti.
Ci chiediamo cosa sarebbe successo se l'aggressore, oggi detenuto per
tentato omicidio, si fosse recato, armato di tutto pugno, ad aggredire
l'infermiere all'interno delle corsie dove è impegnato ogni giorno.
Tanti di noi continuano a chiedersi quanti casi del genere, in Italia,
rischiano di consumarsi ai danni di operatori sanitari considerati vere
proprie "vittime sacrificali" nell'ambito di vicende dove gli viene
addossata impropriamente la colpa.
Per quanto tempo ancora gli infermieri italiani devono attendere che
sia
messo in atto un piano di sicurezza degno di tal nome da parte di chi
dovrebbe tutelare la loro incolumità sul luogo di lavoro?
Un parente di un paziente arriva a covare sotto la cenere, per anni,
odio e rancore verso un operatore sanitario, pianificando addirittura
di
assassinarlo. Chi ci dice che domani non potrebbe accadere la stessa
cosa, da qualunque altra parte d'Italia, nelle mura di un nostro
ospedale?
Alla fine queste sono, anche se nei casi più estremi, le possibili
reazioni di cui tenere conto, incontrollabili e imprevedibili, da parte
di pazienti o parenti di pazienti.
Violenza fisica, ma anche minacce, insulti, comportamenti tesi a
umiliare o mortificare. Nella vita lavorativa di molti infermieri
c'era,
e c'è, tutto questo.
Circa 1 su 10 (11%) ha ammesso, nel corso dell'anno 2019 della nostra
accurata indagine, di subire violenza fisica sul lavoro, e addirittura
il 4% ha riferito di essere stato minacciato con un'arma da fuoco. Uno
su due - spiega De Palma - affermava invece di aver subito
un'aggressione verbale. Ma questi sono solo i principali dati della
nostra inchiesta, realizzata di concerto con l'Oms, alla quale hanno
risposto migliaia di infermieri.
Allora perché questo silenzio istituzionale?
Dove sono i tanto decantati presidi di pubblica sicurezza negli
ospedali?
In carenza dei presidi di Polizia - spiega ancora Antonio De Palma -
abbiamo proposto anche la creazione di strutture di pronto intervento
per la sicurezza all'interno degli ospedali, con uomini qualificati ad
agire prontamente in caso di emergenza, perché resta quasi inutile, e
talvolta addirittura dannoso, allertare le forze dell'ordine
dall'esterno quando tutto si è già consumato, con un infermiere o un
medico che giacciono in un angolo con un occhio tumefatto, o che devono
farsi refertare con dieci giorni di prognosi per essersi visti spaccare
una sedia nella schiena da un paziente fuori controllo.