Se avessero prestato attenzione agli schermi della videosorveglianza installati nell'ufficio del capo posto anziché occupare "la maggior parte del tempo utilizzando ciascuno il proprio telefono cellulare o conversando", avrebbero potuto intervenire e salvare un algerino di 43 anni che il 23 agosto dell'anno scorso si è impiccato alle sbarre di una delle 4 camere di sicurezza della Questura di Milano mentre era in attesa di identificazione.
Per questo il gip milanese Roberto Crepaldi ha rigettato la richiesta di archiviazione dell'indagine per omicidio colposo a carico di due agenti di polizia avanzata dalla Procura e ha ordinato l'imputazione coatta.
Come ha rilevato il giudice, quella mattina, l'uomo, che poco prima aveva dato segni di agitazione tali da richiedere "una vigilanza ancor più attenta e mirata" rispetto a quella stabilita dalle norme di sicurezza, ha impiegato "diversi minuti" per togliersi la vita legando la propria maglietta alla grada della camera di sicurezza. Inoltre, si legge nel provvedimento, è stato trovato morto "un'ora e venti minuti dopo l'inizio delle operazioni di impiccagione e quaranta minuti dopo l'orario massimo individuato dal consulente tecnico quale ora possibile della morte" dell'uomo.
"Non può non sottolinearsi, allora - scrive il gip - la scarsissima attenzione dedicata dagli operanti agli schermi della videosorveglianza, impegnati com'erano, nella maggior parte del tempo, a osservare lo schermo del proprio telefonino".
(ANSA).