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VBC èpiù – Casalmaggiore 10 Aprile 2016 - CINQUE ANNI FA LA CHAMPIONS

Un giorno fantastico, un giorno per ricordare che un lustro fa, il 10 aprile 2016, al PalaGeorge di Montichiari, la VBC Casalmaggiore alzava al cielo la Champions Cup.

| Scritto da Redazione
 VBC èpiù – Casalmaggiore 10 Aprile 2016 - CINQUE ANNI FA LA CHAMPIONS

 VBC èpiù – Casalmaggiore 10 Aprile 2016 - CINQUE ANNI FA LA CHAMPIONS

on c’era, non volevo trovarlo, il tempo per pensare troppo al sabato.

Ma tra un po’ sarei arrivato a casa e durante la cena, davanti alla tv, in giro col cane, non si sarebbe parlato d’altro.

“Allora a che ora si parte domani?”

“Che strada facciamo?”

“Con chi andiamo?”

Domande inutili, delle quali già sapevamo le risposte.

Ma era solo per non dover nemmeno lontanamente pensare al sabato.

Scaramanzia.

Non so che ore fossero quando andai a dormire.

L’indomani sarebbe stata una lunga, dura, faticosa, interminabile giornata.

A prescindere da cosa sarebbe successo.

Buonanotte.

Ore 6:47. Come al solito, suonava la sveglia.

Era arrivato, finalmente, il 9 aprile.

E, con esso, erano arrivate anche le Final Four di Montichiari.

Nessuna certezza, molti timori.

Troppo poco era il tempo passato dall’infausto fine settimana di Ravenna, anzi, dal tragico sabato vissuto al PalaDeAndrè di Ravenna, dove eravamo riusciti a buttar via la semifinale e probabilmente (visto quanto accaduto il giorno dopo) la Coppa Italia.

I rimpianti, l’immane delusione, le imprecazioni erano iniziati in semifinale a metà terzo set, erano proseguiti sul pullman, erano continuati in albergo e che anche adesso, mentre scrivo queste righe, non sono ancora finiti.

Aver incrociato le ragazze della Nordmeccanica Piacenza all’autogrill, averle viste più deluse di noi, non servì certo a mitigare la tristezza.

Non era più tempo per gli scherzi e non ci si poteva più nascondere. Il gioco diventava duro e solo ragazze coraggiose e con lo spirito combattivo delle amazzoni sarebbero state in grado di uscirne a testa alta.

I tifosi, almeno quelli sani di mente, non si aspettavano altro: solo uscirne a testa alta.

Affrontavamo tre delle più forti squadre d’Europa: Fenerbahce, Vakif, Dinamo Kazan (le altre due, Police e Eczacibasi, le avevamo affrontate nel girone …). Non proprio un’amichevole con la rappresentativa di San Felice.

Ognuno di noi era diviso in due stati d’animo contrastanti: da una parte la tranquillità di chi non aveva nulla da perdere (non eravamo certo noi, quelli obbligati a vincere), dall’altra la preoccupazione di fare mega-figuracce europee: la squadra e la società intera (posso aggiungere anche noi tifosi?) non lo meritavano di certo.

Ma in tutti quelli che quel sabato stavano entrando al PalaGeorge, in fondo in fondo, anche se minima, c’era la speranza (inconfessata ed inconfessabile, pena TSO immediato) che in quel fine settimana ci si trasformasse nel Davide che affronta e demolisce due Golia.

In gran segreto i gruppi di tifosi di Cremona e Casalmaggiore avevano organizzato una coreografia che, dicevano, avrebbe stupito tutti.

O meglio, pubblicamente avevano annunciato una stupefacente coreografia, ma i maledetti, non lasciavano trapelare nulla, aggiungendo così la curiosità di vedere cosa caspita avessero combinato (di Marina, Matteo, D’Artagnan & co. si poteva, e si può, dire tutto tranne che non abbiano fantasia) all’ansia pre-partita.

I tifosi Pomì, almeno quelli che conosco personalmente, sono appassionati di pallavolo, così il grosso dei Passione Rosa aveva stabilito di raggiungere Montichiari in tempo per poter assistere anche alla prima semifinale, quella tra Fenerbahce e Vakif.

Erano circa le 14.00 quando, dopo essermi improvvisamente ed inaspettatamente trovato in mano un pesantissimo scatolone contenente non ho mai capito cosa, diligentemente facevamo la coda per entrare.

I biglietti? Li avevamo da mesi.

All’interno del palazzo ci era stato assegnato il settore solitamente riservato alla tifoseria della squadra di volley femminile di casa (che in quell’anno militava anch’essa in serie A1: la Metallurgica Montichiari), che si trovava sul lato opposto a rispetto a quello da cui stavamo entrando.

Alcune incomprensioni sorte tra le società al momento della scelta dell’impianto di Montichiari come sede dell’evento, non incrinò minimamente i rapporti tra le tifoserie. L’amicizia (o almeno il rispetto, che tra le altre cose ho potuto constatare esistere tra quasi tutte le tifoserie di quasi tutte le squadre) fu davvero molto utile per poter risolvere alcuni problemi logistici relativi al deposito del materiale “coreografico”.

Dover (o poter) percorrere tutto il lato lungo delle tribune, mi permise di poter ammirare quello storico impianto che aveva visto le gesta di quella Gabeca Montichiari guidata dallo schiacciatore indiano Jimmy George (al quale è dedicato l’impianto) morto in incidente stradale, ma anche di tirare qualche accidente in più, sempre a causa di quel maledetto, pesante e misterioso scatolone.

Raggiunto il nostro posto a sedere la prima cosa che feci fu di liberarmi del mio fardello: non seppi mai cosa conteneva perché non è che mi capitò di perderlo di vista: decisi consapevolmente di perderlo di vista…

Intorno a me solo visi più o meno conosciuti. Quel sabato, al PalaGeorge, c’era un bel pezzo di PalaRadi.

Si stava ancora terminando di sistemare tutto ciò che serviva per la coreografia quando le due squadre turche iniziavano a fare riscaldamento.

A Cremona non ci si scorda di nessuno, figuriamoci di chi ti ha regalato un sogno. Fu quindi ovvio e naturale tributare una forte e rumorosa dose di applausi a Katarzyna Skorupa, la palleggiatrice dello scudetto.

La prima semifinale volò via senza particolari sussulti da parte del pubblico italiano, ma con il dispiacere (misto forse a sollievo, speranza e ottimismo..) che la squadra della nostra ex aveva perso e non avrebbe giocato la finale per la coppa: hai visto mai…..

L’organizzazione dell’evento aveva invitato un complesso musicale che si era posizionato nell’angolo opposto rispetto alla nostra tribuna.

Immagino che il suo compito dovesse essere quello di intrattenere musicalmente il pubblico durante l’intervallo tra le due semifinali.

Mai spesa fu più inutile.

Purtroppo (per loro), iniziarono a suonare nel momento in cui le Rosa fecero ingresso in campo per il preriscaldamento.

Quando la cesta dei palloni emerse dal tunnel che portava al campo dagli spogliatoi, seguita dalla squadra, nessuno più si accorse del complesso, nessuno più li sentì suonare.

Mancava più di un’ora all’inizio della semifinale, ma il tifo rosa si era già scatenato. “Tutti in piedi sul divano!!” avrebbe urlato qualcuno.

Non so se la band si arrese subito o cercò di continuare nel suo spettacolo (anche semplicemente per rispettare i doveri contrattuali): non si sentivano. I soli canti e cori che si sentivano erano quelli di incitamento alle Rosa.

A testimonianza del clima di rispetto verso l’avversario che circola tra i Passione Rosa, più volte fu ricordato di non fischiare, in realtà fu severamente proibito di fare il contrario, le avversarie in battuta, indipendentemente da ciò che avrebbero fatto i tifosi ospiti.

Ci fu anche il tempo per il (giusto) tributo ad Antonella Del Core che quell’anno giocava proprio nelle fila del Kazan.

Era l’ora di dare la seconda possibilità alla parrucca rosa. Quella parrucca che sembrava portatrice di ogni disgrazia (l’avevo inaugurata a Ravenna…). La indossai senza precauzioni, senza curarmi di chi era nelle mie vicinanze. Quando mi accorsi che occhi conosciuti mi guardavano era ormai tardi.

Bisogna anche ricordare che purtroppo (sportivamente parlando, perché tifosamente avrei dovuto scrivere per fortuna) a causa di mai sufficientemente spiegate motivazioni, la Dinamo si presentava senza due titolari.

In fianco a noi, in curva, proprio davanti alla scalinata che consentiva l’accesso alle gradinate, aveva preso posto il cameraman di Mediaset (le quattro partite erano trasmesse in diretta sui canali Premium).

Ci guardò e capì immediatamente, grazie alla sua esperienza, dove era capitato e a cosa stava andando incontro. Subito si aggiustò le cuffie posizionandole con cura sulle orecchie e si assicurò di mettersi nella condizione di non essere assordato, almeno non subito…

Quando, terminata la fase di preriscaldamento le due squadre si allinearono al centro del campo per gli inni ed il saluto, finalmente i presenti (e quelli che seguivano l’incontro in tv) poterono ammirare l’enorme e bellissimo bandierone che copriva interamente la curva del PalaGeorge.

Io lo vidi la sera, a casa, quando mi rigustai l’incontro.

Per chi non c’era, per chi non l’ha mai visto (mi spiace…), per dare un’idea delle sue dimensioni posso solo dire che la curva del palazzetto di Montichiari è lunga circa (forse poco meno) come le tribune dietro le panchine del PalaRadi.

Il bandierone (naturalmente rosa) la copriva interamente per la sua lunghezza e quasi interamente per la sua altezza. Gli unici spazi vuoti erano riempiti da cartoncini rossi, verdi e bianchi, così che sopra allo striscione si formò una bandiera tricolore.

Oltre che enorme era anche bello e pieno di significati.

Da una parte il Torrazzo di Cremona, dall’altra il Palazzo Comunale di Casalmaggiore, in mezzo una pantera che si avventava su un pallone da volley. “Due città, un solo amore: VBC Casalmaggiore”. Il testo scritto sotto alle immagini non lasciava dubbi.

Quando lo striscione fu abbassato, il rumore diventò assordante.

Ogni punto delle Rosa era accompagnato da boati.

In campo c’era la squadra che avevamo visto nei primi due set di Ravenna: perfetta, strabiliante, inarrestabile.

Se poi ti capita di vedere la Stefanovic che difende come un libero, capisci che quel giorno non ce n’è proprio per nessuno.

La storia, la statistica, l’albo d’oro, i numeri dicono che fini 3-0 per la VBC, le emozioni provate durante l’incontro dicono che i set giocati furono almeno trentuno, tutti conclusi ai vantaggi (mai sotto i 30), e che l’ultimo finì 41-39.

Bene. Il primo passo era stato fatto. Il nostro (dei tifosi) obiettivo era stato raggiunto: addirittura in finale, dopo un 3-0 al Kazan!

Ma un’inconcepibile (fino a poche ore prima) domanda cominciava a ronzarci in testa: “Cosa si sono messe in testa, queste qua?”

La domenica ci ripresentammo ai cancelli del PalaGeorge sempre verso le 14.00. Gli orari degli incontri erano anticipati rispetto al sabato e la finale per il terzo posto iniziava alle 14.30.

Subito ci fu uno scambio di saluti e applausi con i tifosi del Vakif che erano assiepati proprio sotto di noi, alla nostra destra.

Il cameramen era lo stesso del giorno prima, la cuffia era posizionata in modalità “riposo” con un orecchio libero. Era ancora molto, molto presto.

Terminata la “finalina”, la band, prima di iniziare ad esibirsi, riconobbe subito il successo del popolo rosa nello scontro tra “suoni” del giorno prima, e quando ci chiese di cantare con loro non ci risparmiò una frecciatina/omaggio: “Abbiamo sentito bene ieri, che la voce ce l’avete”

Si, insomma, un po’ cantammo con loro, ma non potevamo sprecare fiato ed energie per cose di così poco conto: c’era una finale da affrontare!

Come era successo il giorno prima, appena le rosa entrarono per il preriscaldamento, iniziarono i cori. Stavolta il cameraman non aspettò, come vide la prima ragazza entrare si aggiustò subito la cuffia e poi guardò verso di noi.

Esattamente come il giorno prima, la band diventò inutile.

Esattamente come il giorno prima, la miccia del tifo era stata accesa e non c’era speranza alcuna di poterci zittire.

Esattamente come il giorno prima si arrivò all’esecuzione degli inni nazionali e quello d’Italia fu cantato ad una sola voce da tutto il pubblico (che era più numeroso rispetto alle semifinali, forse qualcuno era impazzito come noi ed aveva lo stesso nostro strano, folle, inammissibile sogno).

Si diede il via alla meravigliosa coreografia con l’estensione sulla tribuna del bandierone, mentre negli altri settori venivano esposti mille altri più o meno piccoli striscioni inneggianti alla squadra ed alle giocatrici. Nessuna esclusa.

Mi trovai a rivedere mentalmente tutte le partite della CEV. Dall’esordio clamorosamente vincente e avvincente (2-0, 2-2, 3-2) a Istanbul, dalla sconfitta in casa con il Chemik dopo avere recuperato due set di svantaggio, ai due passaggi “facili” con l’Agel, all’importante e decisiva vittoria in Polonia, con la Piccinini che (infortunata) passava la maglia verde del libero alla Cecchetto che stava per sostituire la Sirressi messa ko da uno scontro con una compagna, all’ultima partita in casa con l’Eczacibasi che ci aveva consentito di arrivare primi in quello che era stato definito il girone più difficile.

Poi c’era stata la sorpresa.

Un freddo 28 gennaio si era trasformato in un caldissimo giorno. Il presidente l’aveva fatta grossa. Sorprendendo tutto e tutti aveva riportato le finali di coppa campioni femminile in Italia. Bisognò aspettare l’otto febbraio per sapere dove. Il Palaradi (purtroppo) non si dimostrò in grado di poter garantire gli standard richiesti dalla CEV e quindi non poté ospitare l’evento. Questo fatto scatenò stampa e tifosi e in quei dieci giorni furono fatte tutte le ipotesi possibili, dal Forum, al Palabanca, ogni palazzetto in Italia fu preso in considerazione e additato come probabile sede dell’evento.

E adesso eravamo lì, in finale. Da “sono lì solo perché le organizzano” a finalista. Era già un obiettivo centrato.

E ci si giocava la Champion’s. Certo, dall’altra parte della rete ci sarebbe stata un’altra squadra di “mostri”: il Vakifbank di Istanbul.

Furono tre set in cui la Pomì partì sempre con il piede giusto, riuscendo sempre a conservare quei 2-3 punti di vantaggio (salvo rarissimi momenti) che ti permettevano di poter fare l’errore senza subire delle gravissime conseguenze. Tanto per non partire male nemmeno nel terzo set, Barbolini fu quasi costretto a chiamare un “check” sul primo pallone giocato. “Vinto” anche quello.

Il terzo fu anche il set in cui ci fu un attimo di sbandamento, dovuto anche al fatto che per le avversarie era il set “della vita”, nel quale dovevano necessariamente dare il 110% per cercare di raddrizzare una partita compromessa.

E fu in quel momento che divenne famoso il coro “Chi non salta non ci crede”. Nessuno osò non saltare. Il palazzetto sembrava tremare. Mi sembra che anche qualche ospite “di lusso” non riuscì a star fermo e si mise a cantare e saltare.

È bello pensare che anche grazie a questo, la squadra riprese subito il controllo del parziale.

Gli ultimi istanti mi sembra di riviverli ora.

Terzo set.

24-22.

Non ci credevo, non ci potevo credere, non era vero.

In preda ad una crisi mistico/filosofico/esistenziale pensai quasi ad alta voce (o forse lo feci davvero ad alta voce, non mi ricordo: ero in preda alla crisi): “Come? 24 a 22? Ma non è vero, non possiamo vincere noi. Cioè, se facciamo punto, si va avanti lo stesso fino a quando vince il Vakif….”

E invece no. Dopo un breve scambio, la palla tornò dalla parte rosa del campo e la Picci chiuse i conti.

Erano le 19.10 (a proposito…. non si potrebbe a quell’ora, ogni 10 aprile, suonare le campane, sia a Cremona che a Casalmaggiore?)

E il palazzo esplose.

E non ricordo molto altro, se non che, finalmente, inaspettatamente ma orgogliosamente si innalzò il coro che ci accompagnò per tutto il seguente anno sportivo: “Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Europa siamo noi!”

Poi, improvvisamente, quasi magicamente, la coppa delle campionesse (si, si, proprio lei, non quella che avevamo a Bergamo qualche giorno dopo..) era tra noi, era in curva.

Artisticamente parlando, credo si faccia fatica a trovare una coppa più brutta, sicuramente era la più brutta che io avessi mai visto. Due pezzi di vetro (almeno, così sembrava) incastrati perpendicolarmente uno dentro l’altro. Ma in quel momento era bellissima, il più bel trofeo mai visto.

I miei ricordi mi portano a qualche ora dopo, quando tornai a casa (dopo un Milan-Juve deciso da Pogba, Presidente.. mi spiace) mi ritrovai sul divano a riguardare la partita, la prima di tante volte.

Memorabile una frase del cronista (Marcello Piazzano, con commento tecnico/tifoso di Rachele Sangiuliano) rivolto al suo collaboratore piazzato dietro alla panchina VBC durante un time-out “Spero che tu abbia sentito almeno in parte quello che ha detto Barbolini, noi, qui sotto riusciamo solo a sentire ‘la Pomì, lalallalà’…”

Cosa rimane di quei giorni?

A parte una mia foto sul fascicolo pubblicato qualche giorno dopo con i risultati della due giorni, quel fine settimana rimarrà scolpito nelle menti e nei cuori di tutti i presenti, ma anche di chi non c’era ed ha seguito il tutto dalla tv. Tifosi VBC o semplici appassionati.

Difficile dimenticarsi della passione che c’era sugli spalti di quel palazzetto.

Difficile dimenticarsi degli sguardi di chi stava giocando e si stava avvicinando all’impresa.

Difficile dimenticarsi delle occhiate impazzite che ci scambiavamo.

Difficile anche dimenticarsi di Lavarini (all’ora tecnico della Foppa) che si complimentava con noi tifosi fuori dal palazzetto (si, nel volley accade anche questo) e che scherzosamente ci invitava a festeggiare almeno per una settimana.

Difficile dimenticare …. Punto.

Così, cinque anni dopo, è doveroso rinnovare il “grazie” a chi, così tanto, ci ha fatto entusiasmare ed emozionare:

1) Lucia Bacchi

3) Carli Lloyd

5) Immacolata Imma Sirressi (L)

6) Giada Giadina Cecchetto (L)

7) Marianna Ferrara

8) Lauren Gibby Gibbemeyer

10) Carlotta Charly Cambi

12) Francesca Picci Piccinini

13) Rossella Olivotto

14) Margareta Meggie Kozuch

15) Jovana Jole TheWall Stevanovic

16) Valentina tiralaboma Tirozzi

18) Tereza Matuskova

Massimo Barbo Barbolini

Giorgio Bolzoni

Tutto lo staff

Ma soprattutto a lui, che più di ogni altro ci ha creduto ed ha fatto sì che tutto ciò potesse succedere: Il Presidente: Massimo Boselli (anche se è milanista… nessuno è perfetto).

Fonte pag FB VBC èpiù - Casalmaggiore

aprile 2021

 

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