Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 14.31

Alla scoperta delle ''città spugna'', una soluzione basata per gestire l’acqua

''L'acqua di superficie viene immagazzinata e messa a disposizione delle piante e, in caso di precipitazioni, lo spazio libero dei pori è disponibile per la ritenzione delle acque''

| Scritto da Redazione
Alla scoperta delle ''città spugna'', una soluzione basata per gestire l’acqua

“Climate alliance” è una delle più grandi reti di città europee dedicata alla lotta contro il cambiamento climatico. Di cosa ti occupi all’interno della rete?

«Sono un biologo e lavoro per Climate alliance Austria dal 2021. Da un anno e mezzo mi occupo di vari progetti riguardanti “soluzioni basate sulla natura” (Nature based solutions) e Nabi (Nature-based innovations for urban forest and rainwater management) è uno di questi. Per circa 17 anni mi sono occupato principalmente di progetti – sia a livello nazionale che internazionale – incentrati sulla mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, mentre negli ultimi due anni ho lavorato nell’ambito delle infrastrutture verdi e blu, della ritenzione delle acque (water retention) e delle “città-spugna” (sponge cities).

Climate alliance international ha un approccio olistico. Con quasi 2.000 membri distribuiti in oltre 25 Paesi europei, è la più grande rete di città europee dedicata all’attuazione di azioni climatiche eque ed efficaci e per questo, governi, Ong e altre organizzazioni stanno lavorando attivamente per combattere il cambiamento climatico, dai piccoli centri rurali alle città con milioni di abitanti.

Ecco perché il cambiamento climatico è una sfida globale: seguendo questa direzione, ad esempio, abbiamo promosso i principi e le pratiche dell’Alleanza per il clima sia nei comuni europei che nel bacino del Rio delle Amazzoni, dove le popolazioni locali praticano una silvicoltura sostenibile da millenni. In questo modo, abbiamo cercato di aiutare le popolazioni indigene.

Ogni città o distretto che aderisce all’Alleanza per il clima deve approvare una risoluzione comunale in cui si impegna a ridurre costantemente le emissioni di gas serra, con l’obiettivo di arrivare a una riduzione del 95% entro il 2050, in linea con le raccomandazioni dell’Ipcc (Integrated pollution prevention and control – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento).

Inoltre, i comuni aderenti si impegnano a intraprendere un’azione efficace e sostenibile per il clima in conformità con i principi dell’Alleanza per il vlima e adottando soluzioni basate sulla natura. Ogni realtà – diversa ed eterogenea – deve modellarsi in base alle proprie potenzialità facendo sempre particolare attenzione al risparmio delle risorse locali. Non esiste quindi una regola generica e valida per tutti perché ogni distretto è unico, è il bello della diversità. Significa che le soluzioni climatiche e le loro implementazioni cambiano da luogo a luogo ma, insieme, contribuiscono a fare la differenza».

Quali sono le questioni più urgenti in relazione al cambiamento climatico?

«Il preludio per una discussione su questo tema è questo: “Il cambiamento climatico è un fatto ed è causato dall’uomo”. Quindi, non abbiamo tempo per ulteriori discussioni o per dare spazio a millantatori. La seconda questione riguarda il fatto che tutti saranno colpiti dal cambiamento climatico, è solo una questione di tempo e per questo motivo dobbiamo rafforzare la nostra resilienza. Non possiamo affrontare il cambiamento climatico solo con soluzioni tecniche ma è necessario cambiare il nostro modo di vivere, cominciandodall’assetto sociale ed economico.

L’ultima questione che ne consegue è che dobbiamo guardare alla conservazione e all’efficienza delle risorse. Se ci concentriamo solo sul calcolo delle emissioni di CO2 equivalenti, alla fine non ci sarà d’aiuto perché ogni Paese troverà il modo di rendere più efficiente il bilancio. Dobbiamo quindi trovare un sistema per vivere in sintonia con la natura e in questo l’economia circolare non ha alternative».

Cosa significa “equilibrio climatico” (climate balance)? Perché è così importante e quali politiche e attività dovrebbero essere intraprese in relazione a questa questione?

«L’equilibrio climatico può essere inteso in modi diversi. Da un punto di vista sistemico, credo che dovremmo tornare al ripristino dell’equilibrio della CO2 tra l’atmosfera, la superficie terrestre e gli oceani. È un circolo naturale. C’è molto carbonio sulla terra, ma la maggior parte di esso è legato alle rocce come carbonio fossile. Negli ultimi centoquarant’anni, l’uomo ha scavato e bruciato queste sostanze e per questo ora non possiamo più permetterci di emettere tanta CO2. Per i prossimi anni, ci rimane solo un piccolo “budget” di CO2, se vogliamo raggiungere gli obiettivi di Parigi e questo stesso “budget” deve essere distribuito in tutto il mondo in modo equo lasciando il resto del carbonio fossile all’interno della Terra. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo cambiare il modo di vivere e di utilizzare le risorse, altrimenti rischiamo l’estinzione tra 200-300 anni. Anche se questo non è sempre popolare, le grandi decisioni in politica devono fungere da modello affinché la gente capisca che è arrivato il momento di cambiare il sistema».

Come potremmo cambiare questa situazione e qual è il ruolo della giustizia climatica in questo?

«Negli ultimi trent’anni l’economia ha cambiato molto la distribuzione globale delle risorse. Il problema è che ora l’economia su larga scala – e quindi le grandi aziende – domina la maggior parte del mercato e della politica a livello mondiale. Dobbiamo quindi ripensare le organizzazioni, i modelli, la mobilità, il modo di vivere e tornare a un’economia su piccola scala.

La giustizia climatica è una questione imminente e diventa ogni giorno più importante. Prima parlavo del budget di emissioni di CO2 che è rimasto per tutto il mondo. Per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi dobbiamo quindi anche discutere l’allocazione del budget rimanente di CO2 alle diverse regioni. Le nazioni industrializzate hanno già emesso abbastanza gas serra e dovrebbero lasciare la maggior parte della CO2 ai Paesi in via di sviluppo».

La “città-spugna” è una delle pratiche più efficaci di soluzioni basate sulla natura selezionate nell’ambito del progetto Nabi. Di cosa si tratta? Quali sono i suoi principali impatti in relazione al cambiamento climatico?

«Faccio un esempio di un territorio che conosco bene. Il cambiamento climatico sta colpendo le regioni orientali dell’Austria in modi diversi: da un lato, abbiamo grossi problemi di siccità e dall’altro, dopo un periodo di siccità, spesso grossi problemi di acqua piovana. Pertanto, la ritenzione delle acque è una questione molto importante per l’agricoltura e per l’acqua nelle città. Non possiamo certo avere “verde” senza “blu” nei nostri spazi urbani: l’acqua piovana è troppo preziosa e non deve più essere versata nelle fognature. Questo è anche uno dei requisiti fondamentali per poter piantare alberi nei centri abitati: grazie alle loro proprietà, gli alberi urbani sono un mezzo adatto a mitigare molte delle conseguenze del cambiamento climatico. Possono far evaporare un’enorme quantità d’acqua, proprio come un grande condizionatore d’aria naturale, anche se sviluppano queste proprietà solo dopo circa 30 anni. Purtroppo, la crescita delle radici è difficile nei terreni altamente compattati come sono quelli dei centri urbani odierni e spesso gli alberi devono essere abbattuti dopo pochi anni. Invece, grazie al principio della “città spugna”, lo spazio per le radici degli alberi viene notevolmente ampliato anche sotto le superfici pavimentate. L’acqua di superficie viene immagazzinata e messa a disposizione delle piante e, in caso di precipitazioni, lo spazio libero dei pori è disponibile per la ritenzione delle acque. Si tratta quindi di un sistema innovativo utile per la salute degli alberi e alla base delle infrastrutture blu e verdi»

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