Amnesty accusa l’Australia per rifugiati abbandonati sull’isola di Manus
RIFUGIATI SULL’ISOLA DI MANUS: AMNESTY INTERNATIONAL ACCUSA L’AUSTRALIA DI ABBANDONARLI A UNA VITA D’INCERTEZZA E PERICOLO
In un nuovo rapporto Amnesty International ha accusato il governo australiano di aver abbandonato centinaia di rifugiati e richiedenti asilo sull’isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, lasciandoli in una situazione che somiglia più a una forma di punizione che di protezione.
Il rapporto, intitolato “Punizione, non protezione. Il trattamento dei rifugiati e dei richiedenti asilo da parte dell’Australia in Papua Nuova Guinea” denuncia come, dopo che a novembre sono state sgomberate a forza da un centro di transito sull’isola di Manus, queste persone sono state trasferite in strutture nuove ma inadeguate dove la violenza da parte della comunità locale costituisce una minaccia costante.
“Spostare rifugiati e richiedenti asilo da una situazione infernale a un’altra non è una soluzione bensì il mero prolungamento della sofferenza di queste persone disperate. I nuovi centri sull’isola di Manus non solo mettono a rischio la loro incolumità ma sono anche privi dei servizi essenziali”, ha dichiarato Kate Schuetze, ricercatrice di Amnesty International sul Pacifico.
“Invece di trovare ulteriori modi per venir meno alle sue responsabilità e aggirare il diritto internazionale, il governo australiano deve porre fine alla sua ostinata politica di crudeltà e diniego e fare l’unica cosa legale e sicura: portare queste persone sulla sua terraferma e fornire loro la protezione di cui hanno bisogno e diritto”, ha aggiunto Schuetze.
Da un campo insicuro a un altro
Dal 31 ottobre 2017, l’Australia ha via via sospeso tutti i servizi nel primo centro di detenzione dell’isola di Manus, dove dal 2013 aveva inviato centinaia di uomini nell’ambito della sua illegale politica di “esternalizzazione della procedura”. A seguito delle pacifiche proteste e del rifiuto di lasciare il centro di detenzione, la polizia di Papua Nuova Guinea ha sgomberato con la forza il centro e, alla fine di novembre, ha trasferito gli uomini in tre nuove strutture.
Le ricerche di Amnesty International, basate su interviste a 55 richiedenti asilo e rifugiati, hanno rivelato che le nuove strutture sono tutt’altro che sicure e non risolvono i problemi di fondo della politica di “esternalizzazione della procedura”.
Negli ultimi anni parecchi rifugiati sono stati aggrediti da abitanti di Manus ma le autorità locali non hanno aperto alcun procedimento giudiziario. Le nuove strutture offrono ancora meno protezione rispetto a quella originale: sono più vicine alla città di Lorengau e sono prive delle minime infrastrutture protettive, come le recinzioni.
Molti rifugiati hanno detto ad Amnesty International di non uscire mai dai centri per paura di essere aggrediti o rapinati. A causa della mancanza di indagini sui precedenti casi e del derivante clima d’impunità, non hanno fiducia nelle autorità locali.
Joinul Islam, 42 anni, originario del Bangladesh, ha raccontato: “Non vado mai a Lorengau perché è un posto molto pericoloso. Tre mesi fa ci sono andato e qualcuno mi ha accoltellato a un braccio. Mi hanno rubato il telefono cellulare e i soldi…”
Il clima nei confronti dei rifugiati è ostile. I proprietari dei terreni hanno più volte eretto posti di blocco e vi sono state risse tra i fornitori dei servizi ai centri e gli abitanti.
Nelle ultime settimane la rivalità tra due agenzie di sicurezza ha aumentato la sensazione di pericolo. Agenti di un’agenzia locale hanno impedito l’accesso a parte delle nuove strutture a quelli di un’agenzia posta sotto contratto dal governo australiano, creando confusione su chi abbia la responsabilità di proteggere i rifugiati.
“I rifugiati ci hanno raccontato di essere stati aggrediti e rapinati sia sull’isola di Manus che nella capitale Port Moresby. La polizia non ha fatto nulla, neanche nei casi più gravi di violenza. In sintesi, Papua Nuova Guinea non costituisce una soluzione sicura e sostenibile per i rifugiati che l’Australia vi trasferisce”, ha sottolineato Schuetze.
Il 21 gennaio 2018 l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha sottolineato che “sebbene non sia in vigore un coprifuoco ufficiale, la polizia locale ha invitato tutti i rifugiati e i richiedenti asilo a rientrare nelle loro strutture entro le 18 per ridurre i rischi per la loro sicurezza”.
Danni continui
Il trauma psicologico della detenzione prolungata è una costante nella vita dei rifugiati: l’88 per cento di loro soffre di disordine da stress post-traumatico. Ciò nonostante, i nuovi centri sono serviti solo da un piccolo ambulatorio e da un ospedale pubblico, del tutto inadeguati alla situazione.
I rifugiati restano soggetti a forti limitazioni alla loro libertà di movimento. La maggior parte di loro non può lasciare le strutture e sopravvive con una diaria minima che non basta a coprire i costi del cibo, delle medicine o altre spese.
Le autorità di Papua Nuova Guinea non forniscono ai rifugiati uno status ufficiale né documenti d’identità e di trasporto. Trovare un impiego stabile, essenziale dal punto di vista dell’integrazione, è impossibile. Altrettanto lo è trovare un’abitazione, a causa dei costi e delle costanti minacce di violenza.
L’Australia deve fornire una soluzione concreta
Dopo quasi cinque anni, l’Australia non ha ancora presentato soluzioni praticabili e sostenibili per i rifugiati che ha trasferito contro la loro volontà a Papua Nuova Guinea. I rifugiati sono di fatto costretti a scegliere tra tornare nei loro paesi d’origine o spostarsi in un ambiente altrettanto violento come quello di Nauru.
Pochi fortunati, 83 in tutto, hanno vinto il “biglietto della lotteria” del reinsediamento negli Usa, ma si tratta di un processo lento e arbitrario che non è a disposizione di tutti.
“Il governo australiano deve porre fine alle sue politiche crudeli di detenzione oltremare e portare immediatamente sulla terraferma o trasferire in un paese terzo sicuro tutti i rifugiati e i richiedenti asilo”, ha dichiarato Schuetze.
“Nel breve periodo, le autorità di Papua Nuova Guinea e Australia devono fare il possibile per assicurare l’incolumità dei rifugiati. Devono garantire che le loro necessità di base siano soddisfatte e che la loro sicurezza non sia a rischio”, ha concluso Schuetze.