Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 04.21

EDUCARE A RIPARARE | VINCENZO ANDRAOUS, PAVIA

Il carcere irrompe nell’esistenza di ricchi e poveri, di furbi e di poveracci, e se non stai attento rischi di diventare un pezzo di edilizia penitenziaria.

| Scritto da Redazione
EDUCARE A RIPARARE | VINCENZO ANDRAOUS,  PAVIA

EDUCARE A RIPARARE | VINCENZO ANDRAOUS,  PAVIA

Ci sono nella vita di ognuno momenti obliqui in cui può accadere di imboccare un vicolo cieco e non riuscire più a fare marcia indietro se non aiutati. Non accade sempre e non a tutti ma può succedere.

Allora il carcere irrompe nell’esistenza di ricchi e poveri, di furbi e di poveracci, e se non stai attento rischi di diventare un pezzo di edilizia penitenziaria.

Chi sbaglia paga è vero, ma questa dicitura securitaria a basso prezzo ma neppure tanto, dovrebbe quanto meno possedere alcuni crismi di equilibrio e di giustizia giusta, la pena dovrebbe rispettare la dignità di una persona ristretta, e non solo perchè il dettato costituzionale  lo impone, ma perché inchiodare un colpevole come un innocente ed è tutto dire, in una dimensione di violenza, illegalità, sopruso, significa creare le condizioni di una rieducazione di facciata, alimentando una dimensione di disperazione, dove chi è disperato rimane una persona che non vede ne’ sente di avere più speranza.

Questo molok incomprensibile ingrossa le fila di una recidiva inaccettabile, soprattutto consente il nascondimento di una incapacità a riappropriarsi di scopo, utilità e ruolo dell’istituzione carceraria, ciò non fa altro che rendere la sicurezza una parola valigia in cui fare stare dentro tutto e il contrario di tutto, con l’aggravante di non poco conto, di non incidere positivamente sull’interesse collettivo che ricerca sicurezza ma soprattutto rispetto di ognuno per la giustizia.

Il carcere non può significare un mero contenitore, di cose, di oggetti, di numeri, ritengo davvero sbagliato e altrettanto disonesto perpetrare una volontà neppure tanto celata a far si che la prigione venga intesa in questa maniera, dimenticando intenzionalmente la persona. Tenendo ben presente che in galera ci può finire tuo figlio, tua madre, tuo padre,  non soltanto il delinquente incallito, ma il meccanico come il dottore, il tutore dell’ordine e l’adolescente con la cultura del bicipite, insomma, sarà bene pretendere che ciascuno faccia il suo per davvero non solo rispettando le norme, le leggi, e facendole rispettare, ma comunque rimanendo umani.

Un carcere come quello attuale che di fatto vieta persino il diritto di sentirsi utili, responsabili, avere delle prospettive, figuriamoci riappropriarsi di vista prospettica, di un progetto, un percorso, una strada ove ricominciare, ripartire,  tant’è che al recluso manca persino il senso di questa ulteriore e arbitraria privazione. La pena consiste nel privare della libertà, non è uno scaracco alla speranza.

Questo agire è fatale, perché quel detenuto non è in una situazione di attesa, dove il tempo serve a ricostruire e rigenerare, bensì, egli è fermo a un  tempo bloccato, al momento del reato, a un passato riprodotto a tal punto, che tutto rincula a ieri, come se fosse possibile vivere senza futuro, come se delirare fosse identico a sperare. La pena prima o poi ha un termine e sarà necessario domandarsi perché ci è sufficiente sapere chi entra ma non ci domandiamo invece cosa esce dal carcere. Eppure da una galera dovrebbero uscire persone migliori.

VINCENZO ANDRAOUS,  PAVIA

 

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