Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 12.51

Istat, la legge di Bilancio alla luce dello scenario demografico italiano

| Scritto da Redazione
Istat, la legge di Bilancio alla luce dello scenario demografico italiano

Il presidente dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), Gian Carlo Blangiardo, è intervenuto in audizione presso la V Commissione del Senato e della Camera, proponendo alcuni contributi conoscitivi su diversi temi affrontati nel disegno di legge di Bilancio. Proponiamo di seguito, integralmente, lo stralcio riguardante lo scenario demografico. Il testo completo dell’audizione è disponibile qui.

Lo scenario demografico del nostro Paese è caratterizzato da una significativa crescita della sopravvivenza e da un altrettanto marcato calo della natalità, con un conseguente invecchiamento della popolazione molto più rapido rispetto al resto d’Europa.

Anche alla luce di queste dinamiche, il disegno di legge di Bilancio prevede alcuni interventi a favore delle famiglie, tra cui il potenziamento dell’assegno unico familiare per i nuclei con tre o più figli (art.65) e l’incremento per l’indennità per congedo parentale (art. 66).

Le dinamiche demografiche e il calo della natalità

La pandemia ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti di una dinamica demografica già in fase recessiva sin dal 2014. L’eccesso di mortalità registrato nel 2020 è stato, del resto, accompagnato dal dimezzamento dei matrimoni e dalla forte contrazione dei movimenti migratori.

Nel 2021 e nei primi mesi del 2022, la nuzialità ha mostrato segnali di ripresa, non riuscendo tuttavia a tornare ai livelli del 2019. Il calo dei matrimoni, e la conseguente diminuzione di nuovi coniugi, ha ristretto il numero di potenziali genitori, indicando possibili ripercussioni negative sulle nascite anche nei prossimi anni, in un Paese dove la natalità deriva ancora prevalentemente da coppie coniugate.

Durante il 2020, gli effetti negativi sulla natalità – almeno quelli riconducibili alla pandemia – si sono visti unicamente negli ultimi due mesi, in relazione alla forte caduta dei concepimenti nel bimestre marzo-aprile 2020. Il crollo delle nascite osservato nel corso del 2020 (-3,6% rispetto al 2019), particolarmente accentuato tra le donne con meno di 30 anni, è dovuto solo in parte limitata alla pandemia; il clima di incertezza innescato dal primo lockdown potrebbe infatti avere contribuito al rinvio dei piani di genitorialità e all’evidente calo registrato a dicembre 2020: -10,7%.

Il crollo delle nascite si è poi protratto in modo più marcato nei primi sette mesi del 2021, per poi rallentare verso la fine dell’anno. I dati provvisori dei primi nove mesi del 2022 mostrano una spinta al ribasso fino al mese di aprile, con il massimo valore negativo nel mese di marzo (-10,8% sullo stesso mese del 2021) e una ripresa nei mesi estivi, non ancora sufficiente a far registrare una variazione positiva rispetto all’anno precedente (-2,2% sul totale dei nati gennaio-settembre 2021).

Nel 2021, le donne residenti in Italia hanno espresso un livello di fecondità media pari a 1,25 figli, lo stesso valore osservato nel 2001, seppure in un contesto completamente differente, e i nati della popolazione residente sono stati 400.249, circa 4,5 mila in meno rispetto al 2020 (-1,1%).

Anche nel 2021 si osserva dunque un nuovo superamento al ribasso del record di denatalità. La denatalità ha avuto ripercussioni sui nati in corrispondenza di tutti gli ordini di nascita; i primogeniti nel 2021 presentano, rispetto al 2008, un calo del 34,5%, superiore a quello registrato per i secondogeniti o per i nati di ordine successivo (- 26,8%). Prosegue e si rafforza l’aumento dei nati fuori dal matrimonio: sono 159.821 nel 2021, pari al 39,9% del totale, laddove erano solo il 10% nel 2001 ed erano saliti al 35,8% nel 2020.

Nel 2021, sono 939.171 le famiglie con più di 3 figli (598.950 se i figli hanno da 0 a 21 anni); rispetto al computo degli individui, il numero di figli in famiglie con 3 figli e più è di 3 milioni (poco meno di 2 milioni quando i figli hanno tra 0 e 21 anni).

Popolazione e previsioni sul futuro demografico

La popolazione residente è in riduzione costante dal 2014, quando risultava pari a 60,3 milioni. Al 1° gennaio 2022, secondo i primi dati provvisori, la popolazione scende a 58 milioni 983 mila unità: nell’arco di 8 anni la perdita cumulata è pari a 1 milione 363 mila.

Di tale ammontare complessivo, i comportamenti demografici emersi nel corso del solo anno 2021 sono responsabili per un calo di 253 mila unità. Nello scorso anno, la variazione relativa della popolazione è stata dunque pari al -4,3 per mille, in moderato miglioramento rispetto al 2020 (-6,8 per mille).

Scomposta nelle singole componenti, tale variazione si deve a un saldo migratorio con l’estero pari a +2,7 per mille, a un ricambio naturale pari al -5,2 per mille e, infine, alle voci riguardanti le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) responsabili di un -1,7 per mille.

Le nuove previsioni sul futuro demografico del Paese, aggiornate al 2021, confermano la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 mln nel 2030, a 54,2 mln nel 2050 fino a 47,7 mln nel 2070. Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050.

Entro 10 anni in quattro Comuni su cinque è atteso un calo di popolazione, in nove su 10 nel caso di Comuni di zone rurali. Sarà in crescita il numero di famiglie, ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Ci saranno, inoltre, meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.

Focus: il ricorso ai nidi e ai servizi integrativi per l’infanzia

Favorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione delle donne al mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere.

In Italia resta ancora molta strada da fare per garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico: i tassi di frequenza del nido crescono infatti all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie e sono decisamente più alti se la madre lavora e se i genitori hanno un titolo di studio elevato.

Dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, permangono ampi divari a sfavore delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei Comuni più piccoli. Alla fine del 2020, il Nord-est e il Centro Italia consolidano la copertura dei posti disponibili rispetto ai bambini sotto i tre anni sopra il target europeo del 33% (rispettivamente 35% e 36,1%); il Nord-ovest è sotto l’obiettivo ma non è distante (30,8%), mentre le Isole (15,9%) e il Sud (15,2%), che pur registrano un lieve miglioramento, sono ancora lontani dal target. A livello regionale, i livelli di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento (37,9%). Anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia dal 2019 hanno superato la soglia del 33% (rispettivamente 35,3% e 34,8%), in coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%.

In termini di offerta pubblica sui posti complessivi, la maggior parte delle regioni meridionali ha una quota di posti nei servizi educativi a titolarità comunale inferiore al 50% e una spesa media dei Comuni per bambino residente ben sotto il valore nazionale. Le regioni del Centro-nord che hanno superato il 33%, invece, hanno un’offerta pubblica molto consistente e radicata e, anche quando le quote di pubblico sono inferiori al 50%, i livelli di spesa dei Comuni sono comunque alti, non solo per la gestione dei nidi comunali, ma anche per il convenzionamento con i servizi privati.

di Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat

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