Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 13.50

L’EcoStoria 2 giugno 2017 , post scriptum

Pur recalcitranti all’auto-citazione, siamo costretti a rimandare i lettori all’incipit della cronaca, con cui salutavamo, con compiaciuto ottimismo, la manifestazione del 1 giugno, intitolata “Il sentiero della Costituzione”.

| Scritto da Redazione
L’EcoStoria 2 giugno 2017 , post scriptum

Quasi presentissimo l’agguato di una disillusione, mettevamo, però, le mani avanti: “Non c’è più niente (o quasi) che faccia delle ricorrenze un’occasione per rinsaldare i legami di identità e di condivisione. Hai voglia con le sfilate ai Fori Imperiali, con le Frecce Tricolori e, scendendo per li rami della Penisola, con le pur apprezzabili cerimonie di paese!

Si gonfiano i petti dell’orgoglio repubblicano e si placa la coscienza della testimonianza civile; ma non si va molto oltre il minimo sindacale.

La vera questione è costituita dalla consapevolezza di dover spostare il baricentro della memoria e della testimonianza dal bacino del passato/presente al futuro”.

Eccoti servito!

Meno di ventiquattrore dopo, nella medesima piazza maggiore, l’establishment dispensa alla ricorrenza della Repubblica esattamente quanto ci eravamo sentiti di esorcizzare.

Mancavano le “frecce tricolori”. Ma tutto il resto era al suo posto: inni, ottoni, vessilli, divise, retorica e, giustappunto, autorità. Insomma un combinato che, quando si tratta di piegare le celebrazioni in un senso non esattamente edificante, non manca mai.

Verrebbe, d’istinto, da chiedere al genio della lampada, presumibilmente annidato nella conformistica ragnatela del Viminale e prontamente corrisposto dall’ossequio del Viminale de noantri, cui prodest, nel momento attuale, un format celebrativo come quello cucito sulla festa della Repubblica 2017?!

Neanche ai tempi della nomenklatura sovietica si usava replicare, pari pari dalla piazza del Cremlino ai capoluoghi delle repubbliche sovietiche, la medesima cornice coreografica ed il medesimo discorso (unico).

Nella fattispecie (appunto) è stato il messaggio del Capo dello Stato, riletto, per disposizione ministeriale, dal Prefetto.

Tutto qui!

Ora c’è modo e modo per ispirare una celebrazione. La si può storicizzare; cioè consegnandola alla profondità  di un lontano cambio di passo nei destini della Patria.

O la si può anche attualizzare; cioè derivando, da quello snodo storico, motivi di riflessione sulla sua capacità di proiezione anche nei contesti contemporanei.

Volendo trarre spunto dalla cultura politico-istituzionale di scuola anglosassone, si può anche azzardare che, essendo il 2 giugno la festa della Repubblica in cui si identificano (o dovrebbero) tutti i cittadini, la massima magistratura potrebbe ispirare la propria performance a ciò che rappresenta per gli americani il “discorso sullo stato dell'Unione”.

Ora, non si postula, conoscendo bene la difformità delle prerogative istituzionali, che, nel suo messaggio d’indirizzo, il nostro presidente descriva dettagliatamente le condizioni generali della nazione sotto un profilo sociale, economico e politico, l'agenda governativa corrente, i progetti per il futuro e le priorità.

Ma cos’é il discorso di Mattarella,  se non una sorta di cahier di doléances, un’elencazione di criticità che gli italiani conoscono bene (senza disporre di elementi di valutazione circa la volontà e la direzione in cui operare).

Ben altra mano, quella dei grandi Presidenti (Pertini e Napolitano) che, in contesti di criticità, sapevano trasmettere consapevolezze, non sempre e non da tutti condivise, ma sempre ispirate da senso di appartenenza e di identificazione nei valori fondanti della Repubblica.

E sarebbe esattamente questo 2 giugno, più di ogni altro precedente, a dover, orientare la sua mission alla coscienza civile degli italiani. Quanto meno per rinverdire l’identificazione in comuni radici ed in comuni percorsi, di fronte ad un devastante smarrimento planetario,

Più dell’allarme sociale, derivante dalla constatazione di un inarrestabile processo di impoverimento e di allargamento della forbice delle impari condizioni di distribuzione della ricchezza, pesa la percezione di un’insicurezza conseguenza tanto della minaccia terroristica quanto dell’endemico basso tasso domestico nel rispetto della legge.

Oh, certamente le parole attinte dal messaggio presidenziale e riecheggiate pedissequamente nella nostra piazza maggiore rimandano ai permanenti valori dell’uguaglianza. Ma, si chiede ormai la gran parte dei destinatari dell’evocazione, chi vi deve provvedere? Se ogni giorno di più tali prerogative rappresentano poco più che una sinecura nelle ansie della classe dirigente.

Diciamolo con franchezza. Buona politica ed adeguata testimonianza civile costituiscono marce rara in tutto il mondo.

Una nomenklatura, manifestamente inadeguata rispetto ad una temperie tanto impegnativa, potrebbe risparmiarsi  quanto meno l’imbonimento retorico.

Abbiamo già trattato e continueremo a trattare in altra sede uno dei perni delle questioni epocali. Ma, indubbiamente, riteniamo di doverci fare interpreti dello sconcerto di fronte alla pervicacia con cui si armeggia attorno al mantra dell’accoglienza.

Specie quando è inteso come ficcante esortazione e narrazione auto assolutoria per chi fa parte della filiera chiamata a governarne gli effetti pratici.

Ci sono luoghi comuni così accettati da diventare dogmi di fede: metterli in dubbio provoca reazioni così esagerate da indurre alla conformistica adesione od al silenzio. Altrimenti si passerebbe per razzisti, per incapaci di solidarietà, misericordia e generosità, con una inattesa consonanza di vedute tra un pezzo della politica e i seguaci di Papa Francesco, il cui populismo è diventato una sorta di nuova Rivelazione sulla quale il neoclericalesimo pseudoprogressista giura appassionatamente.

Lungi da noi sia l’equazione migrazioni/terrorismo quanto le semplicistiche ricette postulate dai furbacchioni dei populismi per affrontare questioni complesse, com’è la preservazione della sicurezza dei cittadini.

E’ questa la priorità che dovrebbe scandire la gerarchia delle attività istituzionali.

Cremona, per troppo tempo considerata (erroneamente) un bacino tranquillo, ha collezionato negli ultimi anni un filotto di criticità all’evidenza di tutti.

A ciò ha concorso sia il combinato risultante dalla traslazione in sede locale di fenomeni ormai planetari  sia dinamiche prettamente domestiche.

Che fanno dubitare molto, nonostante l’abnegazione degli organi tecnici preposti alla sicurezza, della capacità di invertire un contesto manifestamente incontrollabile.

Se l’ansia maggiore dell’organo locale dell’amministrazione degli Interni è rappresentata dal pressing sulle istituzioni comunali per la metabolizzazione dell’inarrestabile ed incontrollato flusso migratorio, quali risorse restano per l’ordine pubblico?

Ci e vi risparmiamo una sia pure riassuntiva elencazione di queste criticità, che sono ben note tanto all’opinione pubblica quanto all’establishment genericamente considerato.

E’ del tutto evidente che le linee-guida della risposta delle istituzioni alla domanda dei cittadini di sicurezza promanano dagli organi centrali.

Non è per mettere il dito nella piaga; ma le conseguenze della gestione dei fatti del 24 gennaio, che misero a ferro e a fuoco la città, riemergono anche nelle piccole cose delle feste di quartiere che espropriano il diritto di serenità dei cittadini.

Nessuno postula l’impiego dei cingolati. E neppure la ghettizzazione/neutralizzazione dei centri di aggregazione giovanile. Ma, indubbiamente, la tattica flessibile fin qui adottata e seguita, se, da un lato, scarica interamente le conseguenze sull’azione della giurisdizione e delle forze dell’ordine (che hanno fatto miracoli), dall’altro, sembra affidarsi agli scongiuri. Un po’ “che non succeda più!” e un po’ “Speriamo che me la cavo”.

Che non succeda più nelle precedenti forme conclamate è veramente da auspicare (anche se non si intravvedono strumenti e propositi concreti in aggiunta agli auspici).

Ma che, in realtà, succeda pro die in forma attenuata e a piccole dosi appartiene ad una costatazione obiettiva, contrastante con le narrazioni rassicuranti.

Ci si consenta una considerazione finale. Di fronte alla sommatoria degli effetti dei fatti terroristici internazionali e dello sconcerto suscitato dall’assurdità degli avvenimenti di Piazza S. Carlo a Torino, il capo della polizia Franco Gabrielli ha già diramato la circolare che prevede la riunione urgente di tutti i comitati provinciali, dove il Prefetto, in accordo con le amministrazioni locali, riesamini l’elenco degli eventi previsti.

Vorremmo avvertire il dott. Gabrielli che a Cremona la convocazione del Comitato Provinciale per l'ordine pubblico e la sicurezza fu ritenuta superflua in costanza dei fatti di fine gennaio (imparagonabili a normali “eventi”)

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