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Una mattina d’agosto del ’44 la strage di Sant’Anna di Stazzema Vittime 560 innocenti

La verità non va mai in prescrizione Resistenze come baluardo estremo ad inauditi eccidi, nefandezze, atrocità

| Scritto da Redazione
Una mattina d’agosto del ’44 la strage di Sant’Anna di Stazzema Vittime 560 innocenti Una mattina d’agosto del ’44 la strage di Sant’Anna di Stazzema Vittime 560 innocenti Una mattina d’agosto del ’44 la strage di Sant’Anna di Stazzema Vittime 560 innocenti

Ante scriptum: se ne consiglia la lettura e  se ne sollecita la memoria a tutti quegli uomini i quali: “….nonostante i molti torti e le dolorose vicende della nostra storia, abbiamo un mirabile e ininterrotto filone di resistenze, che li riscatta da quel servilismo, che spesso viene loro rinfacciato e che, purtroppo al pari del vizio, è sempre più clamoroso della virtù”. Così “riprendeva” gli italiani quell’animo ‘incheto’ di don Primo nell’aprile del 1955. “Resistenze” come baluardo estremo ad inauditi eccidi, nefandezze, atrocità.  

Stato: Italia, penisola del Mediterraneo

Luogo: Sant'Anna, frazione di Stazzema (Toscana)

Obiettivo: Civili, indistintamente civili

Data: mattinata del 12 agosto del 1944

Tipo: Fucilazioni di massa, orrenda

Morti:560 totali di cui 130 bambini

Responsabili: tedeschi della 16ima SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS"; collaborazionisti fascisti (guidano le SS al villaggio e alle case)

Motivazione: Atto terroristico premeditato

Monumento alla memoria: Ossario di Sant'Anna di Stazzema.

Ritorna, e sempre più prepotente, un’altra vergognosa indicibile vicenda della Storia conosciuta da tutto il mondo come la “mostruosa vergogna”. Guardare al passato perché non si ripeta in futuro. La lezione della Storia non va mai dimenticata. Si corre sempre su di un filo, il “Filo della memoria”. Da queste profonde convinzioni ognuno di noi deve trarre vigore per dar vita ad un itinere migliore, soprattutto i nostri giovani. Un eccidio programmato al dettaglio, per terrorizzare la popolazione e isolare i partigiani. L'eccidio di Sant'Anna fu un crimine contro l'umanità commesso dai soldati tedeschi della 16ima SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", comandata dal generale (Gruppenführer) Max Simon, il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese. Il giorno precedente, l'11 agosto 1944, la divisione aveva commesso già l'eccidio della Romagna.

Gli avvenimenti.

All'inizio dell'agosto 1944 Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come "zona bianca”, ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell'estate, aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all'alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant'Anna mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant'Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case.

In poco più di tre ore vennero massacrati 560 civili, di cui 130 bambini, donne e anziani. I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima più giovane, la neonata Anna Pardini, aveva soli 20 giorni. Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante una sorella miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell'ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone.

Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico), come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia. Infatti si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la popolazione, la loro volontà e tenerla sotto controllo grazie al terrore. L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.

Breve testimonianza di don Giuseppe Evangelisti.

Nelle prime ore del pomeriggio, gli uomini, tornati dai loro rifugi, e gli altri pochi sopravvissuti, provvederono a soccorrere i feriti, a trasportarli all’ospedale da campo di Valdicastello e a dare sepoltura ai resti, per lo più carbonizzati, dei cadaveri in fosse scavate negli orti. Ricorda don Giuseppe Evangelisti: “La scena che maggiormente dava sgomento era quella della piazza della chiesa: una massa di cadaveri al centro, con la carne quasi ancora friggente; da una parte il corpo di un bimbo sui tre anni, tutto enfiato e screpolato dal fuoco, con le braccia irrigidite e sollevate come per chiedere aiuto, ed intorno lo scenario delle case che mandavano ancora nell’aria bagliori e scoppiettii, la chiesa con la porta spalancata, lasciava vedere un grande braciere al di dentro, fatto con le panche e i mobili, e nell’aria il solito fetore di carne arrostita che levava quasi il respiro e che si espandeva a tutta la vallata. La sepoltura di queste salme fu fatta il giorno 14 e vi presero parte una trentina di volontari venuti dalla Culla. Fu un lavoro abbastanza difficile e rischioso, specialmente per i grandi nuvoli di mosche, le cui punture avrebbero potuto causare infezioni mortali. Non avevamo maschere, non avevamo disinfettanti. Avevamo solo una piccola bottiglia di alcool e un po’ di cotone per tamponarci il naso. Anche qui un episodio che ci commosse tutti: fra quei cadaveri c’era una famiglia numerosa, quella di Antonio Tucci, un ufficiale di marina oriundo di Foligno, ma di stanza a Spezia, che con vari sfollamenti si era ritrovato quassù. La sua famiglia era composta da 8 figli (con età da pochi mesi fino a 15 anni) e la moglie. Mentre si stava apprestando la fossa, ecco arrivare il Tucci correndo e gridando come un forsennato, per buttarsi tra quel groviglio di cadaveri: “Anch’io con loro!» urlava. Bisognò immobilizzarlo finché non si fu calmato. Rimase per qualche giorno come semipazzo. I cadaveri della piazza della chiesa furono 132, fra cui 32 bambini. Altri 8 cadaveri erano dietro il campanile e pare fossero quelli che i tedeschi avevano prelevato in basso per portare le munizioni”.

Nei giorni immediatamente successivi i sopravvissuti, temendo che i nazisti potessero tornare al paese per completare l’opera di annientamento della piccola comunità, si rifugiarono nei ricoveri di fortuna offerti dagli anfratti delle montagne. Per più di un mese, nascosti in grotte, in piccoli metati, nelle gallerie delle vicine miniere, come bestie ferite, ignari di quanto accadeva in Versilia, accompagnati dallo sgomento delle violenze subite, circa 180 persone sopravvissero fra gli stenti, con ortaggi raccolti durante la notte negli orti abbandonati. Dopo il mese di settembre, con l’arrivo degli alleati, i superstiti fecero ritorno al paese, nelle poche case rimaste integre, o in quelle ricoperte con la paglia per superare i rigori dell’inverno. Solo dalla fine del 1945, con la Liberazione e la fine del conflitto, fu possibile avviare la ricostruzione del paese. Si ricavarono le travi necessarie dai castagni, furono riattivate le fornaci per produrre la calce, si recuperarono dalla cava d’ardesia le piastre per ricoprire i tetti.

Per cancellare i segni più evidenti del dramma che si era consumato, vennero stuccati i fori dei proiettili sulla facciate delle case, riverniciato l’interno della chiesa, tolte le canne dell’organo mitragliate dai nazisti. Furono opere dettate dall’esigenza, fortemente sentita dagli abitanti del paese nel periodo immediatamente successivo alla strage, di dimenticare l’accaduto e ricreare le condizioni per una vita normale.

 Altrettanto forte fu il desiderio di dare degna sepoltura alle vittime. Nel 1945 il Comune di Stazzema bandì un concorso per onorare, con un Monumento Ossario, i martiri dell’eccidio. Molti dei superstiti premevano affinchè il Monumento fosse eretto sulla piazza della chiesa, teatro di uno degli episodi più efferati della strage. Prevalse però l’esigenza di rendere visibile l’opera dai monti circostanti, dalla valle e perfino dal litorale tirrenico. Fu pertanto scelto il Col di Cava.

Nel 1947 cominciarono i lavori di edificazione del Monumento Ossario, dove vennero traslati i resti delle vittime dalle fosse comuni. Il Monumento venne inaugurato ufficialmente il 12 agosto del 1948, nel IV Anniversario della strage.

Post scriptum: si consiglia vivamente la visione del bellissimo film “Miracolo a Sant'Anna”, girato nell’anno 2008 interamente in Italia e diretto da Spike Lee, a tutti:  “…..i puri di cuore, soprattutto a coloro i quali, imperituri e orgogliosamente temprati nello spirito, giammai si lasceranno soggiogare da qualsiasi regime totalitario”. VIVA L’ITALIA LIBERA!

Giorgino  Carnevali (Cremona)

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