Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 11.06

Una stagione di indignazione globale di A. Lucia

| Scritto da Redazione
Una stagione di indignazione globale di A. Lucia

Tutto iniziò in Tunisia, il 17 dicembre 2010, quando l'ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco davanti al palazzo del governatore dopo che le autorità confiscarono le sue merci. Questo gesto disperato fu la scintilla di quella che in seguito venne chiamata "Primavera Araba" (proprio come la Primavera di Praga, nata dall'analogo gesto di Jan Palach in piazza San Venceslao nel 1969). Di lì a poco, a seguito del diffondersi della protesta contro il regime, il 14 gennaio il presidente Ben Alì fugge in Arabia Saudita e il governo viene destituito. In seguito scoppieranno proteste più o meno violente in tutti gli stati del Nord Africa e della penisola araba. In Egitto, il 25 gennaio iniziarono le manifestazioni in piazza Tahrir, violentemente arginate dal regime di Mubarak, poi costretto a dimettersi l'11 febbraio.  Cinque giorni dopo, in Libia, inizia una protesta che poi sfocerà in una sanguinosa guerra civile tra i ribelli (affiancati più tardi dalla NATO) e i "lealisti" fedeli a Gheddafi. Dopo la presa di Tripoli da parte delle forze rivoluzionarie, non si hanno più avuto notizie certe sulla posizione o le condizioni del "Raìs".
Sempre a febbraio iniziarono le proteste in Siria contro il regime di Assad, considerato uno dei più autoritari e repressivi di tutto il medio oriente, anche più di quello Egiziano e Tunisino. Regime che, chiaramente, non si è mai fatto scrupolo di esercitare una censura totale e di reprimere nel sangue le proteste: infatti nel corso dei mesi i cortei in piazza sono stati accompagnati da spari sulla folla, che hanno portato a un numero imprecisato di morti. Tutt'ora Assad è al potere.
Ma contemporaneamente alla rivolta libica e alle proteste siriane, in Europa nasce il movimento degli "indignados", prima in Spagna e subito dopo in Grecia, entrambi in aperta polemica contro le misure di austerità dei rispettivi governi, sull'orlo del baratro economico. Proteste che, tra l'altro, porteranno alle dimissioni del presidente spagnolo Zapatero.

E' recente la notizia che anche gli USA devono affrontare una protesta simile. E' quella conosciuta sotto il nome "Occupy Wall Street", una serie (tutt'ora attiva) di manifestazioni e occupazioni in numerose città statunitensi (New York su tutte) iniziata il 17 settembre a seguito dell'appello della rivista canadese Adbusters, supportata anche dal collettivo hacker Anonymous. Proprio New York, pochi giorni fa (il 1 primo ottobre), è stata teatro di una enorme mobilitazione che ha portato a bloccare il ponte di Brooklyn, e alla quale è seguito l'arresto di ben 700 manifestanti. Dal 3 ottobre poi la protesta si è estesa a Los Angeles, San Francisco, Boston, Memphis, Minneapolis e altre città piccole e grandi. E' chiaro che il motivo di questa protesta è un generale scontento verso l'ormai sempre meno sopportabile disuguaglianza economica: lo slogan ripetuto è "noi siamo il 99%", cioè il 99% della popolazione, quello che risente della crisi finanziaria, contrapposto a quell'1% che invece continua a speculare e accumulare guadagni a scapito della stragrande maggioranza dei cittadini.

E in Italia? Oggi 7 ottobre in ben 90 città ci sono stati (e ci sono mentre scrivo cortei, manifestazioni e sit-in di protesta: nella capitale, un esempio su tutti, sono state bloccate  la stazione ostiense e la linea B della metro. Come per "preparare il terreno" alla manifestazione della CGIL di domani a Roma e di quella di sabato 15 ottobre, la giornata europea della mobilitazione. Una giornata dove la società (veramente) civile si ritroverà a Roma, davanti al Parlamento per contestare l'incompetenza recidiva di un governo più preoccupato della troppa (secondo loro) libertà d'informazione che della crisi. Per contestare le manovre (perché di più d'una si tratta) economiche che non sono altro che nuovi tagli alle fasce deboli.
Ma anche come protesta globale contro questa classe politica e contro il marcio e gli "inciuci" che la mantengono in vita. E per potersi finalmente riprendere quel sacrosanto diritto di sovranità che è ormai un vago ricordo sbiadito, scritto su un vecchio libro a cui nessuno sembra dare più importanza.
Chissà che il vento non cambi davvero, questo 15 ottobre.

Alessandro Lucia

Video tratto da  il Fatto Quotidiano

1372 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria