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AccaddeOggiCremona #9-9-1943 Il SACCHEGGIO Caserme|E.Serventi

In quel pomeriggio del 9 settembre 1943, una volta espugnate dai tedeschi, le caserme cremonesi vennero lasciate libere al saccheggio.

| Scritto da Redazione
AccaddeOggiCremona   #9-9-1943 Il  SACCHEGGIO Caserme|E.Serventi

AccaddeOggiCremona   #9settembre 1943 Il  SACCHEGGIO delle Caserme di Ennio Serventi

 In quel pomeriggio del 9 settembre  1943, una volta espugnate dai tedeschi,  le caserme cremonesi vennero lasciate libere al saccheggio. E’ certa la depredazione:  alla caserma “COL DI LANA” di via Brescia, alla caserma COLLETTA nella via omonima, alla caserma MANFREDINI di via Bissolati

Del sacco alla caserma “Col di Lana” abbiamo prevalentemente delle testimonianze indirette:  il ricordo di Tassi e Maccagni che, bambini, abitavano nei pressi del complesso militare..

Tassi abitava in via Endertà separata dalla caserma da un muro di confine. Ricorda come dalle case di quella via in molti andarono e non tornarono a mani vuote.

Simile ma con qualche articolazione in più il racconto della Maccagni: bambina abitava al Borgo Loreto, ricorda come il materasso sottratto alla “Col di Lana” venne, nel cortile, disfatto e  la lana recuperata  filata con il filarello, strumento, a quel tempo, presente in  quasi tutte le case.  Manualmente,con i “ferri da calza”, il filato venne trasformato in pesanti  ruvide calze e corpetti invernali. Dice che  i suoi famigliari  pur avendo le stesse necessità di sopravvivenza degli altri vicini di casa, “eticamente” non si resero partecipi di  quella spoliazione.

 Tadioli, anche lui bambino ed abitante al Borgo Loreto, andò, con altri ragazzi alla caserma di via Brescia. Non sa dire il perchè si diedero da fare a smontare dalle brande i teli che, tesi fra una sbarra l'altra, avrebbero dovuto sostenere i corpi di quanti  si fossero  coricati. IL giorno dopo, indotto dalla voce circolante che i tedeschi avrebbero fatto il giro delle case per punire chi fosse stato trovato in possesso di materiale asportato, tornò alla caserma e riconsegnò, non sa dire a chi, i teli.

Una signora dalla quale non mi feci dare il nome, mi raccontò: “abitavo a san Felice ed attraverso i campi arrivai alla caserma. Me ne tornai con un cuscino e qualche coperta”.

 Alessandro Marescotti di Lugo di Romagna in “Intervista a mio padre”, Voltana 2003”, ci da questa descrizione:

. “…..e così arrivai in via Vallerana 1, mi misi il mio vestito grigio, quello che mi aveva portato mia mamma. Quindi ritornai alla mia caserma ( la “Col di Lana” di via Brescia. Ai cremonesi era nota come il “casèermòon”) per prendere la roba personale. La caserma non era presidiata da nessuno, era alla mercè della gente. Ricordo un fatto molto particolare. UN uomo sulla quarantina entrò in caserma con me, si scelse un moschetto e se lo mise in un sacco. LO portò via”.

 IL MIO RICORDO DEL SACCHEGGIO ALLA MANFREDINI

“ Non so da dove arrivasse la gente che, in un batter d'occhio ed improvvisa, comparve nella strada. Tutti camminavano con passo svelto dirigendosi verso la porta della caserma. Ebbi l'impressione che seguissero dei caporioni. Questi, quelli che comunque marciavano nelle prime file, rivolti a quanti dai bordi della strada osservavano quell'inconsueto afflusso,  lanciavano inviti perchè  si unissero a loro.  Della nostra  via penso che non andò nessuno, riconobbi solo un adulto che abitava al piano terreno della casa dove io abitavo  e qualche ragazzino.  LE grandi ante spalancate non opposero resistenza, i tedeschi lasciarono fare ed i cortili  invasi. A giudicare da quello che la gente, tornando, teneva nelle mani,   la caserma, almeno nelle camerate e nelle cucine,  venne svuotata  da ogni cosa che fosse trasportabile mentre  i  nostri soldati, quelli che alla mattina l'avevano difesa, prigionieri erano ancora rinchiusi nelle scuderie. Ci sarebbe da vergognarsi ancora! Per un tempo che non so quantificare la Manfredini  fu sottoposta al saccheggio.   Dopo tre anni di guerra alla gente mancava quasi tutto quello che era indispensabile per vivere, qualsiasi cosa poteva essere  utile e tutto venne asportato, compreso l’inutile. La gente arrivata correva, andava svelta e si chiamava, consapevole  e timorosa che il tempo di quell’illusoria  occasione  non sarebbe durato a lungo. Era un andare e venire, un via vai di quanti frettolosi sopraggiungevano incrociandosi con quelli che, arrivati prima,  già se ne andavano con qualche cosa fra le mani,  Affacciato alla prima finestra della caserma, quella più prossima alla via “Vachina” che in quella parte di fabbricato le finestre erano due, un tale in maglietta bianca  a maniche corte, con ampia gestualità e con la voce incitava chi ancora era nella strada ad affrettarsi. Dalla finestra venivano buttati oggetti poi raccolti da chi stava nella strada  IL signor L…........ che abitava nel cortile.

 Ed era il padre di bambine con le quali  giocavo, andava verso casa cercando  di non fare traboccare dalle secchie  che teneva una per mano,il vino del quale erano piene. Sorridente rispondeva alle battute  ironiche  che la gente, incrociandolo, gli rivolgeva. I fratelli Giorgio e Roberto M.........  scendevano per il vicolo dove abitavano nella casa che fu anche di sant' Omobono. Il più grande si era caricato sulle spalle un mobile con specchio e cassetti che poteva  essere stato parte dell’arredamento della barberia  della caserma. IL fratello, più piccolo, non ricordo cosa portasse, ma aveva anche lui le mani occupate. Arrivavano dalla “Colletta” che stava subendo la stessa sorte della “Manfredini”, incrociandomi mi dissero: “ vai c’è anche  Enrico”.  MI diressi veloce verso casa per chiedere il permesso d’andare e ne ricavai un minaccioso “guai a te!”.  IO ed Enrico siamo fratelli di latte, sua madre allattò anche me, il padre, partigiano in valle Susa,  venne ucciso nel corso di un rastrellamento al quale partecipò  anche una   brigata nera cremonese mandata su quelle montagne a dare la caccia a partigiani cremonesi. Enrico    abitava alla estremità della strada, verso la piazzetta  di Santa Lucia. Anni dopo mi raccontò  che lui alla caserma Colletta si era  dato da fare con un aggeggio gigantesco che poteva essere stato o la batteria di una orchestrina o la gran cassa di una banda. Non riuscendo a sollevarlo, aveva tentato di fare  rotolare quell’immenso tamburo come si faceva per gioco con i cerchioni in disuso delle biciclette. Poi , per  le difficoltà incontrate e per l'intervento dissuasivo di un adulto,  aveva lasciato perdere.   Della  casa dove abitavo solo il sig. L.........., quello del vino,  aveva partecipato al saccheggio. Nel cortile circolavano, sussurrate, parole di rimprovero. A seguito dei tedeschi ricomparvero i fascisti. IL giorno dopo si sparse la voce che questi avrebbero fatto un giro nelle case per  recuperare la refurtiva e punire  chi si era dato al saccheggio.   La sarta del secondo piano, non certamente favorevolmente incline al fascismo, ebbe parole di apprezzamento per quella intenzione.  Ma non ne fecero niente.

 IL  SACCHEGGIO NEL RICORDO DI “FIU”

Si legge in: Danilo Montaldi, “Autobiografie delle leggera”, Einaudi editore, Torino 1961 pag.259

 “Succede l'8 settembre del '43 e tutti vanno a caserme e io anch'io perchè il Pinella conosce un austriaco, un atleta da circo equestre, che si chiama Josef. Con lui andiamo dai Preti e beviamo. Nel casino che c'è ci mette piantoni alla caserma Manfredini, ci comanda lui. E' un capo,un atleta,e aveva sempre al collo un foulard alla zingaresca. Manda due di sopra, e noi sotto, e in via Vacchina piovono materassi, coperte e lenzuola, tutte le comodità.Carichiamo sul rimorchio, e via, vendiamo tutto a Vescovato.Ma ci prendono sempre per il collo, i commercianti. Qualche giorno dopo vedrai che ti chiavo, dico io. Così, dopo, spartiamo i soldi.”

I SACCHEGGI. L'ATTEGGIAMENTO DEI TEDESCHI

Si legge in: CLAUDIO PAVONE; Una guerra civile, Bollati Boringhieri editore, Torino 1991,pag.17.

 [..] “IL quadro era spesso completato dai saccheggi ai danni di depositi civili e sopratutto militari. […] I tedeschi talvolta minacciavano la fucilazione ai saccheggiatori, talaltra erano loro stessi a spingere al saccheggio [..] era per loro un ulteriore modo di vendicarsi dell'alleato che li aveva abbandonati” ed a Cremona anche combattuti armi alla mano.

  L'atteggiamento dei tedeschi riguardo ai saccheggi nelle caserme cremonesi sembra uniformarsi  alla seconda delle ipotesi formulate da Claudio Pavone. A chi accorre alle caserme spinto “da elementari necessità di sopravvivenza” si affianca chi va per vendere le cose asportate e spartirsi i soldi. Rimane sempre da capire come ha fatto a diffondersi per la città la notizia che gli istituti militari, dopo la sconfitta dei nostri soldati, erano lasciati liberi  alla depredazione. La comparsa dell'austriaco Josef, che ha contatti con la “leggera” e forse con la malavita, che si fa capo di una specie di banda induce a pensare che anche questi siano stati gli strumenti usati dai tedeschi  per indurre la gente ai saccheggi. 

Ennio Serventi (Cremona)

 

 

 

 

 

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