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Cremona Galimberti nega la registrazione dei figli a due donne che si sono sottoposte a fecondazione eterologa

Il fatto Doppia maternità richiesta da due coppie. ‘No’ del sindaco alla registrazione dei figli. L’istanza, in vista del parto, presentata da due donne che si sono sottoposte a fecondazione eterologa e dalle loro compagne Galimberti le ha incontrate e si è appellato alla legge e alla sua coscienza di cattolico: «Con sofferenza non posso dare il mio assenso»

| Scritto da Redazione
Cremona Galimberti nega la registrazione dei figli a due donne che si sono sottoposte a fecondazione eterologa

Cremona Galimberti nega la registrazione dei figli a due donne che si sono sottoposte a fecondazione eterologa

Il fatto Doppia maternità richiesta da due coppie. ‘No’ del sindaco alla registrazione dei figli. L’istanza, in vista del parto, presentata da due donne che si sono sottoposte a fecondazione eterologa e dalle loro compagne Galimberti le ha incontrate e si è appellato alla legge e alla sua coscienza di cattolico: «Con sofferenza non posso dare il mio assenso»

La lettera del Sindaco alle due donne con la quale motiva il suo NO alla registrazione dei figli.

Gentili Signore, ho ricevuto la vostra richiesta di registrazione per il riconoscimento della doppia maternità. In assenza di una legislazione nazionale l’eventuale decisione di registrare non è legalmente possibile, anche se so che la giurisprudenza in proposito è in evoluzione.

Ho chiesto ai tecnici del Comune di preparare una nota giuridica che accompagni la mia posizione e che allego alla presente. Si tratta quindi di una scelta che il Sindaco assume senza una copertura normativa certa e coinvolge pertanto, in modo particolare, le sue personali convinzioni e la sua visione di società. Mi permetto quindi di condividere con voi alcune riflessioni che motivano la mia decisione.

Esistono legami di affetto e di amore che coinvolgono persone anche dello stesso sesso e si tratta di legami cui chiedere la responsabilità e il dovere del prendersi cura vicendevole e cui garantire allo stesso tempo quei diritti importanti che ne permettono la realizzazione. Il riconoscimento delle unioni civili va in questo senso. Penso che tale riconoscimento sia giusto. Ed è legittimo e anche bello che a l l’interno di questi legami possano nascere il desiderio, l’esigenza, l’aspirazione, il bisogno di maternità e di paternità.

Ma, e questo è vero per tutti e in tutte le situazioni che viviamo, tali sentimenti si confrontano sempre con i limiti del nostro essere umano, dettati spesso dalle condizioni oggettive, anche fisiologiche.

Questi limiti non sempre e per forza devono essere superati e non sono necessariamente un male, ma possono essere occasioni per verificare ciò cui si aspira e per realizzare sempre il meglio. È per me altrettanto vero che desideri, esigenze, aspirazioni, bisogni personali non sempre devono o possono rappresentare diritti generali cui dare risposte, ma occorre capire quali conseguenze determinano su altre persone o quali ricadute sul senso di comunità, in termini di prassi e di mentalità.

So che queste convinzioni possono essere controcorrente e forse non condivise da molti, ma nella mia vita spesso queste parole si sono rivelate vere in fatti, eventi, relazioni, incontri. Per la realizzazione di un’aspirazione alla paternità o maternità da parte di coppie omossessuali esistono pratiche che personalmente ritengo sbagliate.

La maternità surrogata penso non sia per nulla rispettosa dell’idea stessa di maternità e delle persone coinvolte. Se una madre porta in grembo un figlio e lo cura nelle prime settimane, instaura con lui un legame profondissimo. Immaginare che tale legame si sciolga o si ricomponga in modo differente in seguito alla stipula di un accordo, che comprende anche un corrispettivo economico, per cui il figlio passerà alla coppia omosessuale, mi sembra irrealistico e profondamente errato. È un uso del corpo della donna che non ritengo giusto ed è una pratica che trascura legami profondi e intimi connaturati alla maternità, determinando u n’idea di relazione più improntata alla strumentalità che alla gratuità del rapporto. Il generare la vita, gesto ‘piccolo ’che riguarda intimamente ‘solo ’ poche persone, in realtà tocca l’essenza più profonda di una comunità, la sua radice, la sua capacità di essere generativa e quindi viva. La pratica citata ha una ricaduta profonda sull’idea stessa di società e, a mio avviso, con prospettive per nulla positive sia nei confronti delle donne che dello sviluppo della comunità stessa. Altre pratiche mi lasciano perplesso. Guardando ad aspetti così antropologicamente fondanti come il dare la vita, mi chiedo che cosa significhi usare del corpo di un uomo per fecondare una delle due donne della coppia. Anche se anonimo, un padre esiste e penso che sia corretto considerarlo. Su questo tema, delicato e complesso, che vale anche per coppie eterosessuali, sono aperto al confronto e lo auspico, ma nutro dubbi e perplessità.

Poiché in un confronto come questo penso sia serio e corretto essere aperti e trasparenti, pongo attenzione anche ad un altro tema. So che educare un figlio con affetto e cura dipende dalle capacità, sensibilità, umanità delle persone che lo crescono. E queste capacità sono presenti in molti e in molte esperienze, da cui io e mia moglie possiamo certamente imparare.

Ma, pur con questa consapevolezza, che è anche ragione di dubbio e di ricerca per me, non penso sia giusto trascurare una domanda che a me appare centrale, oggi in particolare, nell’epoca storico-culturale che stiamo vivendo: la differenza di genere nell’azione di crescita dei figli è un valore che occorre promuovere? La mia esperienza, anche di educatore, mi ha portato alla personale convinzione che la presenza di un padre e di una madre è un valore importante nel l’azione educativa e penso che insieme occorra affrontare la domanda senza che diventi oggetto di battaglie ideologiche, né tanto meno portatrice di un giudizio su storie e vicende personali, ma per tutti occasione di confronto e di approfondimento per il bene della comunità e dei suoi figli. Certo sono consapevole che il figlio che lei porta in grembo è e deve essere al centro dell’attenzione; non verranno sicuramente meno per lui i diritti che tutelano lui come ogni bambino della città, che è poi figlio dell’intera comunità.

E per lui e per tutti i figli della nostra comunità il nostro impegno è massimo e senza sosta. Resta il fatto che certamente una legislazione, complessa da ottenere, è necessaria e il vuoto normativo va colmato. Ma il  fatto è che, al momento, questa legislazione, che sappia anche distinguere tra le diverse pratiche, non esiste. Pertanto un gesto come quello che mi chiedete di fare rappresenta un avallo a tutte le pratiche e per questo, dopo una lunga e anche sofferta riflessione, non posso in coscienza dare il mio assenso per i motivi che sopra ho ricordato.

La vostra richiesta domanda a me e a tutti di darci il giusto tempo per pensare a questioni così rilevanti e dovrebbe permettere alla società di affrontare questi temi in un modo che, sempre, deve essere approfondito e civile. Ho chiesto di potervi incontrare, perché, nella differenza delle posizioni, l’incontro può essere portatore di senso e indica un rispetto profondo e, sono sicuro, reciproco delle persone coinvolte e delle storie vissute.

Grazie, GIANLUCA GALIMBERTI SINDACO DI CREMONA

Agosto 2018

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