Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 11.23

DANTE ALIGHIERI IN DIALETTO CREMONESE (2) | Sergio Marelli

Volendo rendere omaggio alla memoria di Sergio Marelli (1925-1996), appassionato traduttore in dialetto cremonese della “Divina Commedia” di Dante Alighieri, dopo aver riportato la versione del Primo Canto dell’Inferno da lui trascritta in vernacolo urbano, continueremo in tale disamina, portando ora l’attenzione dei lettori sul Terzo Canto della grande opera, riguardante “Il vestibolo d’Inferno”.

| Scritto da Redazione
 DANTE ALIGHIERI IN DIALETTO CREMONESE (2) | Sergio Marelli

 DANTE ALIGHIERI IN DIALETTO CREMONESE (2) | Sergio Marelli

 Volendo rendere omaggio alla memoria di Sergio Marelli (1925-1996),  appassionato traduttore in dialetto cremonese della “Divina Commedia” di Dante Alighieri, dopo aver riportato la versione del Primo Canto dell’Inferno da lui trascritta in vernacolo urbano, continueremo in tale disamina, portando ora l’attenzione dei lettori sul Terzo Canto della grande opera, riguardante “Il vestibolo d’Inferno”.

TÈERS CÀANT DEL “DIVINO POEMA”.

L’Anticàmera de l’Infèerno. Dàante, che ‘l è rivàat davàanti a le pòorte de ‘l Infèerno, el se stremìs per le paròole che gh’è scrìt insìma. Virgìilio el ghe dìis de vìighe mìia paüüra, che l’endarà dèenter inséma a lüü.

  Apèena dèenter gh’è en gràn cincél: j è adrée a traversàa l’Anticàmera de l’Infèerno, dùa gh’è j óombre de chéi che in italiàan i ciàma “Ignavi”. Che sarès àan chéi ch’ìi stà sèemper fóora da töti i cašéen e i ciàpa màai pušisiòon.

  Dòpo i rìiva in sö la rìiva de ‘l Acheróonte, indùa Caróonte, el traghetadùur, el céerca sèensa riesìighe de paràa jà Dàante, che intàant ‘l è cascàat in tèra tramurtìit, perché gh’è s’ciupàat en teremòt. (Nostro riassunto)

 

L’ANTICAMERA DELL’INFERNO. Dante, che è arrivato davanti alle porte dell’Inferno, s’impaurisce per le parole che vi sono scritte. Virgilio gli dice di non aver paura, (e) che l’avrebbe seguito. Appena dentro c’è una gran confusione: stanno attraversando l’Anticamera dell’Inferno, dove ci sono le ombre di quelli che in italiano chiamano “Ignavi”. Che sarebbero pure quelli che se ne stanno fuori da tutti i contrasti e (che) non prendono mai posizione. Dopo giungono sulla riva dell’Acheronte, dove Caronte, il traghettatore, cerca senza riuscirci di allontanare Dante, che intanto ruzzola in terra tramortito, perché è scoppiato un terremoto.

 

IL VESTIBOLO D’INFERNO – GLI IGNAVI

“Per me si va nella città dolente,

per me si va nell’eterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore:

fecemi la divina potestate,

la somma sapienza e il primo amore.

Dinanzi a me non fur cose create,

se non eterne, ed io eterno duro.

Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.

Queste parole di colore oscuro

vid’io scritte al sommo d’una porta;

per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”.

Ed egli a me, come persona accorta:

“Qui si convien lasciare ogni sospetto;

Ogni viltà convien che qui sia morta.

Noi siam venuti al luogo, ov’io t’ho detto

Che tu vedrai le genti dolorose

c’hanno perduto il ben dello intelletto.”

E poi che la sua mano alla mia pose

con lieto volto, ond’io mi confortai,

mi mise dentro alle segrete cose.

 

L’ANTICÀMERA DE ‘L INFÈERNO

Per mé se và in d’i paées dulèent*,                            *sofferenti

‘l è scrìt in sö la pòorta töta vèerta

e sùura ‘l préesi, fra la perdìida gèent

e... lasèe ògni speràansa! “Stùm a l’èerta,”

ghe dìghi “perché chì, tégnel a mèent,

na vòolta dèent, ’l è tà’me na mòort cèerta!”.

El rispóont: “Dàame na màan, véame adrée,

te vedarèet, che prèst turnarùm fóora!”

El badüel che gh’ò sentìit, sübit didrée

de chéla pòorta, sòo gnàan dìi. “Ma vóot che móora?”.

Cercùm de tiràase jà de chéesta bòora”.

Ghe fòo töt cerìit de la paüüra.

 

L’ANTICAMERA DELL’INFERNO. Per me si va nei paesi sofferenti,/ è scritto sulla porta tutta aperta/ e per di più, fra la gente perduta/ e ... lasciate ogni speranza! “Stiamo all’erta”,/ gli dico “perché qui, ricordalo, una volta dentro, è come una morte certa!”./ Egli risponde: “Dammi una mano, vienimi dietro,/ tu vedrai, che presto ritorneremo fuori!”/ La confusione che ho sentito, subito dietro di quella porta, non so dire. “Ma vuoi che (io) muoia?”./ Cerchiamo di tirarci fuori da questa  bora”. Gli dici tutto pallido dalla paura.// (Traduzione nostra).

 Sergio Marelli traduce, o meglio sintetizza, il canto dantesco con parole che spesso non si trovano nel Dizionario del Dialetto Cremonese del 1976 (da ora in poi DDDC), come ad esempio dulèent, nel senso di dolorante, doloroso, sofferente. Nel contempo va ricordato che l’Autore proviene da Olmeneta, luogo conservativo per eccellenza del vernacolo locale, dove il termine per indicare chi si lamenta per il dolore veniva un tempo pronunciato col termine udulèent.   E quindi per aferesi (caduta di una lettera o sillaba al principio di una parola) l’antico udulèent diventa dulèent. Così com’è avvenuto per il vocabolo vèerta (aperta), comunemente usato anche oggi, semplificazione dell’omologo aggettivo davèerta. Una espressione ripresa nel canto, tipica ed originale cremonese, è quella scandita con le parole sùura ‘l préesi, nel senso di “per di più”, “inoltre”, “oltre a ciò”.  

  Nella quarta riga abbiamo inoltre l’esortazione a stare attenti con stùm a l’èerta (stiamo all’erta), che in cremonese si affianca all’omologo significato di andar cauti con altre espressioni come stùm a la gàta o stùm indrée.

  L’indicazione tégnel a mèent, presente in quinta riga, usata dal Marelli per tradurre il verbo italiano “ricordati”, ha il suono di una squisitezza semantica. Va precisato che il dèent per dire “dentro”, che leggiamo nel verso successivo, è una apocope, ossia è quella figura grammaticale per la quale si toglie una lettera o una sillaba  in fine di parola. In questo caso il termine che è stato semplificato e ridotto è dèenter. Sulla stessa riga del termine precedente troviamo inoltre un vocabolo che vorremmo sempre trovare scritto e mai vissuto nel dolore, ossia na mòort cèerta (una morte certa).  Tale termine evocativo del fine vita, e così ridondante nel viaggio dantesco, non ha dovuto aspettare il Covit 19 per esprimere tutte le varianti esplicative della morte in dialetto cremonese, soprattutto attraverso i modi di dire pregni da sempre di una dimensione metaforica: andàa a mòort (non far volentieri qualcosa, derivato dal dover partecipare per forza ad un funerale); vìighe la mòort in cóor (avere la morte nel cuore, nel senso di sentirsi afflitti), el pàar la mòort ingùurda (sembra la morte ingorda, pensiero riferito a chi è emaciato, scarnito); fàa la mòort de’l sórech (fare la morte del topo, ossia morire annegati).

  Singolare il fatto che dà na maàn, espressione che abbiamo incontrato alla settima riga de L’Anticàmera de ‘l Infèerno, significante l’aiuto che Virgilio chiede a Dante, col semplice arricchimento in dialetto cremonese di una enne (-n-), ossia dàaghen na màan, è indicativo del voler incitare a dare una man di botte ad un altro. Segue poi quel véame adrée, vienimi dietro, che è dolce e poetico ed amicale in sé.

 Virgilio tranquillizza poi Dante in modo preciso e sereno: “Prèst turnarùm fóora (Presto torneremo fuori)”, che sembra come un augurio rivolto pure ai lettori di oggi,  nel momento in cui vorremmo tutti uscire presto dai tormenti e dai dolori creati da quella creatura infernale che è il Virus che ci sta perseguitando. Anche il successivo termine badüél è riferito a quel che i due visitatori avvertono oltre la porta dell’Inferno, ed è un termine trasferibile anch’esso ai nostri giorni, in riferimento alla gran confusione, traducibile anche con cašéen (casino), avvenuta nella gestione complessiva mondiale dell’emergenza che stiamo vivendo.

  “Ma vóot che móora?”, chiede e si chiede Dante, pure a nome nostro, di fronte a quel che egli sta avvertendo con sensato timore. Ed anche qui l’Alighieri manda un segnale a tutti noi oggi: “Cercùm de tiràase jà de chéesta bòora”. Ossia cerchiamo tutti insieme, solidali ed uniti, a tirarci via da questo vento impetuoso e nefasto, e provare a mettere da parte gli steccati e i pregiudizi onde proseguire il cammino così periglioso nell’Inferno dei nostri giorni. Certo, per evitare la pandemia, non possiamo in chiave cautelativa darci la mano l’un con l’altro, ma di sicuro, in questa terribile faccenda dei giorni nostri, possiamo metterci di sicuro la testa ed il cuore.

Presentazione curata da Agostino Melega (Cremona)

1870 visite

Articoli correlati

Petizioni online
Sondaggi online