Sabato, 27 luglio 2024 - ore 03.31

I migranti al confine polacco e la reazione confusa dell’UE

Nelle ultime settimane l’agenda delle istituzioni europee è stata travolta da una nuova crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia. Il regime di Aljaksandr Lukashenka ha infatti spinto migliaia di persone al confine con l’obiettivo di destabilizzare l’Unione Europea oppositrice del governo autoritario di Minsk.

| Scritto da Redazione
I migranti al confine polacco e la reazione confusa dell’UE

Quando si parla di crisi migratorie ai confini dell’Unione Europea sono almeno due i piani da considerare: umanitario e politico. Dal punto di vista umanitario, come in quasi tutti i recenti casi, la situazione è terribile. Migliaia di migranti sono bloccati in mezzo al nulla, nella terra di nessuno su suolo bielorusso. Soffrono il freddo e la fame, schiacciati da un lato dal governo di Minsk che li spinge verso l’UE e dall’altro dai soldati di Varsavia schierati al confine polacco. Le testimonianze sono brutali e terribili. Uomini, donne e bambini muoiono ogni giorno impotenti e il loro destino è nelle mani di leader e governi stranieri. Si tratta di un’ovvietà dichiarare che queste persone vanno aiutate, ma il problema è il come e qui entra in gioco il lato politico della crisi.

Politicamente Lukashenka sta portando avanti un’azione estremamente cinica, ma efficace. Con il supporto più o meno dichiarato della Russia di Putin, Minsk sta colpendo l’UE dove è più fragile, ossia alle frontiere, trasformando i migranti in una vera e propria arma che Bruxelles storicamente non sa come fronteggiare. Nella notte tra venerdì 12 e sabato 13 novembre alcuni soldati dell’esercito bielorusso hanno addirittura tentato di distruggere la rete metallica con filo spinato polacca tentando di aprire con la forza una via di passaggio per i migranti, ma non certo per aiutarli umanamente. Inoltre, impossibile giudicare se con consapevolezza o meno, la Bielorussia ha deciso di colpire lo Stato membro nelle ultime settimane più isolato all’interno dell’UE a causa della questione dello stato di diritto: la Polonia. Nonostante questi dissapori interni, le istituzioni europee hanno reagito in maniera repentina allo scoppio della crisi schierandosi con decisione a fianco del governo polacco per difendere le frontiere dell’Unione. Se per una volta la reazione europea sembra essere tempestiva, le soluzioni proposte non appaiono coerenti e adeguate.

Innanzitutto, è interessante chiedersi il motivo per cui Frontex, ossia l’agenzia dell’Unione Europea deputata proprio alla protezione delle frontiere esterne dell’UE, non abbia assunto alcun ruolo e non sia nemmeno fisicamente in Polonia. La ragione è che il governo di Varsavia ha rifiutato categoricamente l’aiuto dell’agenzia europea. Includere il personale di Frontex nella gestione dell’emergenza significherebbe per la Polonia dover rispettare alcune regole fondamentali, come per esempio evitare i respingimenti e lasciare che i migranti vadano indisturbati in Germania. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki desidera avere pieno controllo nella gestione della crisi per due motivi. In primo luogo, la possibilità di non rispettare le regole che Frontex imporrebbe significa poter continuare a limitare l’ingresso dei migranti con l’esercito così da ridurre il malcontento dell’opinione pubblica: in questo momento per Varsavia è fondamentale non permettere a queste persone di varcare il confine, non importa con quali strumenti. In secondo luogo, questa crisi migratoria è un’ottima occasione per spostare l’attenzione di tutta l’Unione dai problemi polacchi con lo stato di diritto: più perdura l’emergenza più l’UE appoggerà il governo polacco ponendo in secondo piano le vicende politiche interne. Quindi, come in quasi ogni crisi in politica estera dell’UE, il piano interno si intreccia significativamente con quello esterno creando confusione e aggiungendo ostacoli all’azione di respiro europeo.

La strategia di Morawiecki sembra funzionare. Sia la presidentessa della Commissione europea Ursula Von Der Leyen sia il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno offerto pieno supporto al governo polacco. Michel è volato subito a Varsavia per incontrare il primo ministro polacco e ha pronunciato dichiarazioni forti definendo l’azione di Lukashenka un “attacco ibrido brutale alle frontiere europee”. Tuttavia, come spesso accade, l’unità delle istituzioni è solo negli intenti e non nelle soluzioni reali. Infatti, è subito sorta una contraddizione tra Michel e Von Der Leyen. Il presidente del Consiglio Europeo ha espresso il suo appoggio per il finanziamento alla costruzione di un muro alla frontiera orientale dell’UE avvalorando la possibilità di questa soluzione con citazioni di pareri legali. Invece, Von Der Leyen inizialmente non ha esitato a respingere con decisione la proposta di Michel considerando i muri una soluzione inefficace. Tuttavia, nel giro di poche ore la presidente della Commissione ha precisato che è pronta a finanziare le infrastrutture digitali di sorveglianza da collocare sui muri, se gli Stati membri pagheranno i muri stessi di tasca loro. La Polonia non ha atteso troppo prima di prendere tale decisione e lunedì 15 novembre il governo di Varsavia ha dichiarato ufficialmente di voler iniziare a costruire un vero e proprio muro al confine. In ogni caso, queste dichiarazioni multiple e incoerenti sulle barriere, alimentano la sensazione di confusione nel produrre una politica estera dell’UE. In questo modo l’azione dell’Unione si riduce ancora una volta solo a semplici sanzioni che probabilmente verranno approvate e che l’Alto rappresentante Josep Borrell ha già definito come inefficaci e non risolutive.

In realtà, il punto più interessante è proprio il mero fatto di considerare come valida l’opzione del muro. Questa scelta genera svariate riflessioni. Nel 2015 il governo ungherese di Viktor Orban aveva già avanzato tale proposta, ma la Commissione di Jean-Claude Juncker, insieme a quasi tutti gli Stati membri, l’aveva rifiutata categoricamente ricordandone non solo l’inefficacia ma anche l’incompatibilità di questa soluzione con i valori dell’UE. Oggi sono le istituzioni europee stesse che rispolverano la proposta di Orban trovando opposizione da parte di alcuni Stati membri, come l’Italia di Mario Draghi. Le istituzioni europee e i loro rappresentanti sembrano spingere per una inaspettata dose di puro realismo politico per fronteggiare tale crisi. Il passaggio dalle parole ai fatti è sempre molto lungo e scivoloso, ma sicuramente il tema è cruciale per il futuro della politica estera dell’UE e non solo per questa singola crisi. Il dubbio è, infatti, che Bruxelles non sia realmente in grado di produrre modalità di azione diverse ed efficaci per reagire a quei Paesi, come Bielorussia e Russia, che assumono senza problemi un ruolo assertivo nelle relazioni internazionali e che da sempre basano la loro politica estera sul puro realismo geopolitico. L’Unione Europea sembra trovarsi ancora una volta in una posizione di debolezza in cui non sa decidere se per la sua politica estera possano essere validi gli strumenti di potere che altri Stati impiegano o se sia utile e necessario lavorare su altri tipi di modalità d’azione per affermarsi come potenza globale di diversa natura.

(Giulio Petrillo, via Geopolitica.info cc by)

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