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I vent’anni di storia del voto degli italiani all’estero

| Scritto da Redazione
I vent’anni di storia del voto degli italiani all’estero

Il referendum è uno straordinario strumento di democrazia diretta ed in base al tipo di leggi a cui si riferisce può essere ordinario o costituzionale, come nel caso della chiamata alle urne dello scorso fine settimana per ridurre di un terzo del numero dei parlamentari, poiché andrà ad incidere sugli articoli della Costituzione Italiana che regolano il numero di parlamentari come ricorda il Corriere dell’Italianità. E anche il numero degli eletti all’estero, che verranno parimenti ridotti: i deputati passeranno da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4.

Il voto degli italiani all’estero è un diritto previsto dalla Carta Costituzionale e, precisamente, dall’articolo 48, secondo il quale la legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività.

Questo diritto ha quindi origini lontane, ma solo dal 2001 – a seguito della Legge Tremaglia – il suo esercizio è diventato davvero effettivo, poiché i cittadini italiani non sono più costretti a tornare in patria per poter esercitare il voto; l’unica eccezione in tal senso era prevista dal 1979, per le elezioni del parlamento europeo, che permettevano ai connazionali residenti in uno stato membro dell’unione di manifestare la propria preferenza direttamente nel paese di residenza.

La prima occasione in cui gli italiani all’estero hanno potuto manifestare il loro voto senza tornare in Italia è stata nel 2003 in concomitanza con due referendum; questo evento ha davvero cambiato la percezione degli emigrati italiani circa la politica nazionale e il reale contributo che il loro pensiero poteva dare all’amministrazione del proprio paese di origine.

Nel 2003 i voti dei connazionali all’estero non portarono alcun effetto concreto, poiché non fu raggiunto il quorum e, di fatto, non provocarono alcuna modifica alle leggi in vigore che attenevano alla possibilità di reintegrare i lavoratori illegittimamente licenziati e una previsione tecnica inerente gli elettrodotti, ma ciò non toglie la straordinaria valenza dell’atto politico concesso al cittadino italiano, addirittura nato all’estero e magari mai tornato in Italia, di dire la sua, poiché interpellato direttamente dallo Stato.

La legge 459 del 2001, fortemente voluta dal senatore Mirko Tremaglia, si applica solo alle elezioni parlamentari ed ai referendum; non anche, quindi, alle elezioni amministrative, regionali, comunali o riguardanti il parlamento europeo. La grande innovazione contenuta nella norma è la possibilità per gli italiani di continuare a tornare in Italia per esercitare il voto accompagnata dalla previsione di un voto per corrispondenza organizzato dalle ambasciate e dalle reti consolari dei paesi di residenza.

Dal 2016 è addirittura prevista la possibilità di esercitare il voto all’estero da parte dei connazionali che si trovano temporaneamente al di fuori dei confini nazionali, ma se per un periodo superiore a tre mesi e previa apposita richiesta al comune ove c’è l’iscrizione nelle liste elettorali.

A parte questo ultimo caso, davvero particolare, il requisito necessario per votare a mezzo posta è l’iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, che tutti gli emigrati conoscono con la sigla A.I.R.E. e permette di usufruire di molti servizi consolari.

Nel mondo è ovunque possibile esercitare il voto italiano con un’ unica eccezione, spiegata direttamente dal Ministero dell’interno sul proprio sito istituzionale; si legge, infatti, che “non possono votare per corrispondenza gli elettori italiani residenti in Stati con i quali il Governo italiano non ha potuto concludere accordi per garantire che il diritto di voto si svolga in condizioni di eguaglianza, di libertà e di segretezza, oppure in Stati la cui situazione politica o sociale non garantisce, anche temporaneamente, l’esercizio del diritto di voto secondo tali condizioni”.

Ma come avviene in pratica il voto a mezzo corrispondenza? Le ambasciate e i consolati sono incaricati di inviare agli elettori un plico entro 18 giorni dalla data delle elezioni contenente materiale informativo, il foglio su cui esprimere il voto e due buste, una dove inserire la votazione e l’altra da usare per rispedire la stessa al mittente.

Entro il giovedì precedente all’elezione italiana le ambasciate ed i consolati devono spedire il materiale elettorale ricevuto preoccupandosi di inserirlo in una valigia diplomatica che viaggerà per via aerea alla volta dell’Italia e precisamente a Roma presso l’Ufficio Centrale per la Circoscrizione Estero (U.C.C.E.).

Le buste pervenute in ritardo presso le rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero e che, quindi, non avranno trovato posto nella valigia diplomatica, dovranno essere distrutte.

Il procedimento è evidentemente piuttosto laborioso e forse fragile in certi suoi passaggi, ma ci sarà forse modo di migliorarlo in futuro grazie alla digitalizzazione, ma al momento non c’è traccia di proposta in tal senso.

In caso di manomissioni, alterazioni o truffe sono previste sanzioni penali ai sensi della legge italiana, che in caso di voto per corrispondenza vengono raddoppiate. Esiste, poi, una norma particolare che colpisce chi vota per corrispondenza ed anche nel seggio di ultima iscrizione anagrafica in Italia: in questo caso l’elettore infedele sarà colpito da una condanna che prevede la reclusione da uno a tre anni e la multa da 52 a 258 euro.

(askanews

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