LONDRA. Non ci sono file di giovani volontari desiderosi davanti agli uffici di reclutamento come 100 anni fa, e nessun giornale fresco di stampa va annunciando l’avvento della guerra. Ma, con le commemorazioni che hanno salutato le salve dell’inizio della Prima Guerra mondiale appena la settimana scrosa, si è tentati di chiedersi se stia rinascendo un conflitto globale. Non nel senso di una guerra su scala industriale, ma in altri modi insidiosi che vanno ridisegnando le nozioni di sovranità e legittimità come i vincitori hanno fatto dopo la Grande Guerra che si concluse nel 1918.
Da Aleppo a Tikrit a Kabul, da Tripoli, Gaza e Donetsk a Juba e Bangui, il conflitto si diffonde spargendo dolore e terrore. Una bomba sconvolge Mogadiscio. I cristiani, minacciati di morte, sono inseguiti da Mosul. Un generale americano muore in Afghanistan.
La checklist dello scontro quasi supera la memoria dei suoi predecessori: due giorni dopo la commemorazione dell’ingresso nella Prima Guerra mondiale della Gran Bretagna, il 4 agosto 1914, il Giappone ha commemorato il 69esimo anniversario del bombardamento di Hiroshima, il 6 agosto del 1945.
“Cosa abbiamo imparato esattamente da questi anniversari?” si è chiesto retoricamente in un programma radio Geoffrey Durham, un quacchero che si è fatto un nome come comico, contando otto guerre che si svolgevano mentre parlava. “È così che opera il militarismo? È così che la guerra risolve i problemi?“.
Nel 1914 i soldati europei, su entrambi i lati, marciavano verso campagne che avrebbero attanagliato le loro nazioni in una guerra totale, che si estendeva dalle fattorie e fabbriche fino al fronte. I giovani britannici, soffusi di patriottismo, chiedevano a gran voce il diritto di andare in guerra, quanto, in numero di gran lunga inferiore, giovani europei 100 anni dopo scivolano oltre i confini della fede per unirsi ai militanti islamici in Siria e in Iraq.
In confronto all’enorme conflagrazione della Prima Guerra mondiale, le micce di oggi possono sembrare solo tanti fuochi di paglia se messi a confronto con Ypres e la Somme. Ma, come il Times di Londra ha scritto in un recente editoriale, questi stessi conflitti “stanno plasmando il nostro mondo e lo rendono più pericoloso di quanto non è mai stato per decenni.”
Dopo la Prima Guerra mondiale, i vincitori riforgiarono la cartografia economica e politica, riallocando le risorse e le terre dei vinti. In questi giorni, la mappa viene ridisegnata – volenti o nolenti – dagli eventi sul terreno, sfidando i capisaldi della storia stabiliti nel XX° secolo, con i combattenti che lottano per un nuovo ordine.
La Russia ha semplicemente annesso la Crimea, ed è accusata dall’Occidente di fomentare la rivolta sul confine orientale dell’Ucraina. A Gaza, i militanti di Hamas si introducono attraverso i tunnel in Israele cercano di minare la promessa di una patria ebraica sancita dalla Dichiarazione Balfour del 1917.
Quando i combattenti islamici si sono riversati dalla Siria in Iraq per dichiarare uno stato islamico, hanno sfidato la geografia della sovranità imperiale e postimperiale che derivava dall’accordo Sykes-Picot raggiunto dai funzionari britannici e francesi nel 1916 per spartirsi l’Impero Ottomano. Obiettivo dei militanti? Ripristinare il Califfato islamico dei predecessori ottomani sbriciolatosi nella battaglia tra gli imperi del ’14-‘18.
I precursori della Prima Guerra mondiale iniziarono abbastanza innocuamente con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie, Sophie, a Sarajevo, cambiando per sempre un’era a volte paragonata a quella che oggi è percepita – come l’ha definita il Times di Londra – “un mondo connesso che mai rischierebbe un conflitto armato globale perché comprometterebbe la prosperità condivisa“.
Un secolo dopo, con i conflitti che si diffondono dalla costa atlantica dell’Africa alle lontane zone dell’Hindu Kush, i paralleli con il 1914 potrebbero non finire lì.
Gli europei non possono essere “certi di non stare facendo un picnic sullo stesso vulcano che anninentò i nostri antenati“, ha scritto il giornalista Matthew Engel sul Financial Times. “L’assassinio a Sarajevo, visto a suo tempo come un evento minore, era l’incarnazione della teoria del caos: il battito di un’ala di farfalla che ha scatenato un uragano“.
(Alan Cowell, via International New York Times, traduzione libera di Buongiorno Slovacchia)