Pretendere che la sola Europa risolva l’emigrazione clandestina, le minacce dell’ISIS, la crisi economica, operando da sola, con la guida autarchica della Germania, ha già mostrato tutti i suoi limiti.
I problemi attuali che investono il vecchio continente, sono globali e globalmente devono essere affrontati, coinvolgendo l’intero pianeta, già rappresentato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Ma l’ONU ha dimostrato di avere fallito nei suoi compiti istituzionali, a causa di preliminari progetti che hanno fornito l’occasione per fomentare scontri bellici, più che risolverli.
Tutto cominciò con la posizione-chiave dello Stato di Israele che lo rese un avamposto strategico in tutto lo scacchiere medio orientale, pesantemente sostenuto dagli USA e dagli alleati del Regno Unito. Ma questo diritto non può e non deve essere esercitato contro, altrimenti diventa prevaricazione. Di questo atteggiamento prevaricatorio e persecutorio nei confronti dei palestinesi si è reso conto anche l’inviato speciale di Kofi Annan, e vicesegretario generale dell’ONU, l’algerino Lakahdar Brahimi, nell’aprile del 2004, quando il presidente israeliano Ariel Sharon in un isterico discorso dichiarò di sentirsi svincolato dall’impegno di non uccidere il leader palestinese Arafat. L’inviato dell’ONU avrebbe dovuto valutare le possibilità di una risoluzione che mettesse fine alla guerra infinita che Israele sta conducendo contro il popolo palestinese; Brahimi ha dovuto ammettere che:
-la politica di dominazione e sofferenza imposta al popolo palestinese dal governo israeliano e l’appoggio americano a questa politica avvelena tutto il Medio Oriente e ha ripercussioni anche in Iraq, Iran e Afghanistan;
-Anan si dissociò dalle dichiarazioni del diplomatico algerino, sostenendo che avrebbe espresso una opinione personale. Lakhdar Brahimi rincarò la dose; dopo un colloquio a Parigi con Chirac, rilasciò la seguente dichiarazione;
Dire che Israele avvelena tutto il Medio Oriente è un fatto, non un’opinione. E’ un sentimento condiviso da tutti i paesi nella regione.
Da queste discordanze si evince la ragione del fallimento dell’ONU, diventato un apparato burocratico controllato dagli americani, i quali, dai tempi di Reagan non pagano la quota annuale di Paese membro dell’ONU (pari al 25% dell’intero ammontare del bilancio dell’ONU), ma pretendono di continuare ad esercitare il diritto di veto, riservandosi il diritto di decidere al di fuori e contro le risoluzioni dell’ONU e contro le decisioni del Consiglio di Sicurezza; rifiutando di riconoscere l’autorità della Corte Penale Internazionale e, di conseguenza, dell’ONU stessa.
L’ONU, sorta sullo sfacelo della Società delle Nazioni, travolta dalla seconda guerra mondiale, è dotata di una Carta Costitutiva sovranazionale, significa che ha un potere superiore a quello delle singole Costituzioni dei Paesi membri.
I punti centrali che dovrebbero qualificare l’attività dell’ONU sono i seguenti:
- mantenimento della pace e della sicurezza internazionale;
-garanzia della eguaglianza e della indipendenza di tutti i popoli;
-sviluppo della cooperazione tra gli Stati nel campo economico, sociale e culturale;
- tutela dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali;
-impegno a risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale;
-impegno ad astenersi da ogni atto di aggressione e dall’uso della forza armata contro l’indipendenza di altri Stati.
Non uno di questi obiettivi è stato raggiunto dall’atto costitutivo approvato e sottoscritto il 26.VI.1945 a San Francisco dalle prime 49 nazioni aderenti.
Questi punti cardine dell’atto costitutivo dell' ONU, si scontrano con l’impianto bellico dell’industria americana e con la pretesa di gestire il monopolio energetico del pianeta, elementi che fanno della guerra il solo mezzo per imporsi, anche contro le risoluzioni dell’ONU.
Con l’ammissione all’ONU ogni Stato diventa ipso facto aderente allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia; ma, come ho già scritto, nell’articolo pubblicato sul New York Times del settembre del 2002 a firma del Presidente Bush viene disconosciuta l’autorità della Corte Penale Internazionale, che non può essere estesa agli USA e, conclude, “che noi non riconosciamo”.
Dal 1945, non c’è stata guerra, guerriglia, colpo di Stato, rivolta di Palazzo nel mondo che non trovasse negli USA, la nazione ispiratrice e fornitrice di armi.
Il connubio USA-Israele, sostenuto dagli inglesi e da altre nazioni europee, i cui capi di Stato o di governo sentono prepotente il bisogno di allearsi con il più forte, ha formato una miscela potentemente esplosiva; esattamente l’opposto di ciò che occorrerebbe per fare, finalmente, scoppiare la pace.
Nel momento culminante dell’offensiva coloniale inglese contro i palestinesi (1936-1939) che erano insorti contro la colonizzazione ebraica avvenuta con il sostegno dell’Inghilterra, Winston Churcill rese la seguente dichiarazione di fronte alla Commissione di inchiesta Peel (dal nome del suo presidente, conte William Robert Wellesley Peel, già sottosegretario della guerra con W. Churchill e successivamente Ministro dei trasporti), che era stata chiamata ad indagare sui tragici fatti che accadevano in Palestina e che elaborò un piano di spartizione del territorio per porre fine alla lotta fra Ebrei e Arabi:
Io non accetto che il cane nella mangiatoia abbia il diritto definitivo sulla mangiatoia, sebbene possa essere stato sdraiato là per moltissimo tempo. Io non ammetto questo diritto. Io non ammetto, per esempio, che sia stata fatta una grande ingiustizia agli Indiani Pellerossa d’America, o alla popolazione negra d’Australia. Io non ammetto che sia stata fatta una ingiustizia a questi popoli per il fatto che una razza più forte, una razza di grado superiore, una razza più sofisticata, mettiamola così, sia arrivata ed abbia preso il loro posto.
Conoscendo il rituale dell’itinerario mentale angloamericano, non mi sorprende più di tanto che Churchill, in quel preciso momento storico (era il 1937), non abbia fatto alcun cenno alla crudele realtà che si stava verificando nella Germania nazista, dove un altro popolo, che si riteneva di razza più forte e di grado superiore, stava imponendo la propria supremazia, rivendicando la propria superiorità, con quell’olocausto del popolo ebreo, che resterà nella storia come una grande macchia del mondo occidentale.
La sofferenza degli ebrei nei mattatoi di Auschwitz e Treblinka fu stata provocata, infatti, da un popolo occidentale, che si riteneva di razza superiore; per quei crimini efferati il conto è stato presentato agli Arabi palestinesi, mentre l’Occidente, che tali crimini aveva perpetrato, come risarcimento, si prendeva cura di armare e finanziare gli Arabi ebrei, divenuti, avamposto dell’Occidente in Palestina, dimentichi delle loro antiche origini, peraltro rivendicate per ottenere la loro Patria, che geograficamente e storicamente è uno Stato dell’Asia Minore, nel Vicino Oriente, appartenente alla stirpe Semita.
L’esistenza dello Stato di Israele, pur legittimato dalla esigenza di riconoscere una Patria ad un popolo che da sempre ha vestito gli abiti della vittima e del perseguitato, si è trasformato in un crogiolo, dove si mescolano diritti riconosciuti e prepotenti arroganze, dove l’esercizio del potere sconfina nell’arbitrio e nella prevaricazione.
Formatosi lo Stato di Israele, l’avido leader Ben Gurion iniziò le sue tresche per dilatare il territorio israeliano a spese dei palestinesi. Si accordò con il re di Giordania Abdullah per spartire tra di loro il territorio che le NU avevano destinato ai palestinesi; il sovrano hascemita, che era stato posto sul trono dagli inglesi, accettò di impadronirsi della Cisgiordania, mentre il restante territorio venne inglobato da Israele. Il popolo palestinese era stato tradito da una associazione tra inglesi, israeliani e un sovrano arabo; tale associazione si prese beffa del piano di ripartizione dei territori stabilito dalle NU. Anche il consiglio di sicurezza, opportunamente ammaestrato dagli angloamericani, non intervenne, lasciando al proprio destino la massa instabile dei Palestinesi, condannata a restare un popolo di profughi.
Già nel 1951 si delineava la volontà del governo israeliano di imporre nel territorio solo la propria volontà; ciò rese politicamente insostenibile l’atteggiamento del governo israeliano. Ben Gurion aveva progettato di sottoscrivere un accordo con il sovrano hascemita Abdullah, in modo da ufficializzare i diritti sui territori.. Un palestinese, sempre nel 1951, sparò al sovrano hascemita di fronte alla moschea al-Aqsa, a Gerusalemme. La morte di Abdullah mandò in fumo i piani espansionistici di Ben Gurion.
La cronaca di quegli anni in Palestina si intreccia con quella di altri Paesi che non avevano ancora trovato un assetto definitivo. E’ di quegli anni, 1952, la rivolta dei Liberi Ufficiali egiziani, che pose termine alla dinastia di Muhamad Alì.
L’ultimo discendente, il corpulento re Faruk, ben lieto di essere sopravvissuto alla rivolta, levò le ancore del suo battello personale verso la Costa Azzurra, dove animò la locale dolce vita.
L’affermazione dei Liberi Ufficiali, che avevano la dichiarata impronta nazionalistica, servì a riscaldare gli animi di tutti i popoli arabi, nei quali il sentimento nazionalistico è sempre stato preponderante. L’espansionismo colonialista inglese veleggiava velocemente verso una frettolosa ritirata da quei territori, dove erano dichiaratamente maltollerati. Il nazionalismo arabo iniziava ad affermarsi, ma il nazionalismo non è la soluzione del problema arabo, è il problema stesso, perché chiude ogni possibile varco a qualsiasi dialogo. Oggi, invece di programmare un tavolo internazionale di concertazione paritaria, si sta cercando di mortificare il nazionalismo arabo, con il risultato di favorire e promuovere l’associazione con il fondamentalismo religioso, già in corso di realizzazione con il sedicente Stato islamico dell’ISIS.
Questa fusione ha già formato una miscela drammaticamente esplosiva.
Gli inglesi, in ritirata dallo scacchiere Medio Orientale, lasciavano il loro avamposto in Palestina ben difeso da Ben Gurion .
L’esempio dei Liberi Ufficiali egiziani ispirerà il movimento degli ufficiali iracheni alla fine del primo atto della Guerra del Golfo, quella di Bush senior.
Smessi gli abiti delle vittime, gli israeliani, non più popolo ebreo, trasformatisi in avamposto dell’Occidente, imponendo l’umiliazione permanente della popolazione palestinese e degli arabi confinanti, hanno indossato i nuovi abiti dei carnefici.
Israele è così diventato il punto di partenza e di riferimento per ogni occasione di perenne conflittualità nello scacchiere mediorientale, che rende un grande servizio solo alle lobbyes americane delle armi , che sono, peraltro, per la maggior parte nelle mani degli ebrei d’America.
Il mondo intero, rappresentato nell’Assemblea delle Nazioni Uniti e nel suo Consiglio di Sicurezza, ha mostrato la propria incapacità a contrastare l’espansionismo ebraico e la sua volontà a sottomettere quei palestinesi che, prima dell’arrivo degli ebrei, occupavano quelle terre.
Gli storici del presente, quelli attaccati al carro del più forte, trascurano di elencare i patimenti che i palestinesi devono subire, ma sono prontissimi a schierarsi come capofila nel gridare contro un presunto antisemitismo quando sono gli israeliani a subire gli eventi tragici di questa faida fratricida. Riportando il termine “antisemitismo” come un ritornello alla moda, si dimostra solamente di ignorare la storia o di volerla, strumentalmente, usare a proprio uso e consumo.
La speranza di Bush di risolvere la questione palestinese transitando per Baghdad e imponendo la sua logica del terrore, si è dimostrata fallimentare.. L’impegno bellico angloamericano ha permesso a Sharon di calcare ulteriormente la mano contro i palestinesi con la creazione del nuovo muro della vergogna.
Il groviglio inestricabile di interessi contrapposti non fa che autoalimentarsi: la trionfale affermazione di Bush sulla portaerei Lincoln “missione compiuta”, in un intervallo della guerra del Golfo, si è rivelata un bluff.
I sacchi grigi con i cadaveri dei soldati americani, partiti per vincere una guerra non combattuta, giunsero in America avvolti nella bandiera a stelle e strisce, documentando che la guerra preventiva, già vinta sulla carta, si era trasformata in una guerra infinita, combattuta strada per strada; contro questo tipo di guerra la potenza tecnologica dell’esercito USA è assolutamente impotente e impreparata. Non siamo ancora all’esempio del Vietnam, ma siamo molto vicini all’esempio del Libano e della Somalia, da dove l’invincibile esercito delle guerre non combattute ha dovuto ritirarsi di fronte alla quotidianità della guerra combattuta.
Ora è l’ISIS che tiene sotto scacco l’intero Occidente, America compresa, frutto infamante di quelle guerre scatenate per l’approvvigionamento del petrolio.
Il prelievo continuo di petrolio iracheno, senza alcun controllo ufficiale, riempie le casse dei petrolieri, non quelle della Casa Bianca e dell’Amministrazione; ma, forse, questo G.W. Bush lo sapeva benissimo, essendo lui stesso uno dei maggiori petrolieri USAS.
Anche il problema degli sciiti è stato sottovalutato; essendo avversari storici di Saddam, l’ingenuità o ignoranza storica degli americani e di G.W. Bush in prima persona e della sua consulente per la Sicurezza Condoleeza Rice, aveva fatto immaginare che sarebbero stati i naturali alleati degli invasori angloamericani.
Il rapporto tra sciiti e sunniti è un problema che gli stessi iracheni stanno affrontando successivamente alla guerra scatenata da Bush; l’aspetto più urgente era, per entrambi, quello di cacciare fuori dal territorio nazionale quei soldati che agivano come forza di occupazione, senza minimamente preoccuparsi di sostenere la popolazione civile, usando, come abbiamo visto, la tortura come sistema.
Hanno pensato ad abbattere le statue di Saddam e a distruggere i libri di quella storia interpretata dal regime del rais, ma non hanno pensato a costruire gli ospedali distrutti, le scuole, i quadri di reggenza di una sia pur minima pubblica amministrazione.
L’esercito di Saddam non fu mai sconfitto, si liquefece e non può più essere utilizzato, neanche per esercitare il controllo del territorio. Non hanno nemmeno pensato a riempire la pancia degli Iracheni, tenuta a digiuno da 12 anni di embargo voluto dagli stessi angloamericani.
Il bipolarismo voluto dagli angloamericani impedì anche la ricerca di una terza via; non è stata lasciata alcuna possibilità di scelta: o con angloamericani o contro di loro, in una guerra anomala, figlia delle mille contraddizioni che distinguono tutti i paesi mediorientali.
La gente comincia a convincersi che la guerriglia anomala, la lotta contro le truppe di occupazione, sia una guerra giusta; solo accettando la verità si potrà comprendere l’origine e la ragion d’essere del terrorismo che minaccio l’Occidente.
Il fallimento del dopoguerra, dopo un “cessate il fuoco” dichiarato unilateralmente, sta allontanando sempre più l’ipotesi di una adesione alla democrazia, confermando solamente l’arroganza del potere della coalizione che si è dichiarata vincente, ma solo sulla carta, perché la guerra continua, ma alle condizioni di un avversario che non si è mai dichiarato sconfitto.
La palude nella quale si è impantanata la guerra in Iraq nasconde traffici e interessi oscuri, a danno del popolo iracheno, che, della propria ricchezza, non vede altro che le guerre per impadronirsene. Anche l’operazione in Afghanistan è miseramente fallita: dopo due anni dalla caduta dei talebani regna il caos più assoluto. I finanziamenti promessi per la ricostruzione non sono arrivati, gli aiuti promessi hanno fatto la fine di tutte le promesse americane; manca assolutamente tutto. I guerriglieri dominano il campo, mentre i militari della nuova democrazia vivono asserragliati nei fortini.
Quando intervengono i bombardieri americani, scaricano le loro bombe sulle scuole, facendo scempio di bambini, come è avvenuto nel novembre 2003 a Gazni e in un villaggio a Sud dell’Afghanistan, con oltre 20 bambini straziati dalle bombe “intelligenti”; così la popolazione afgana si augura che non intervengano.
Si stanno verificando tutti i moniti che dal mondo intero si erano levati contro le guerre preventive, si trattava di moniti lanciati da esperti militari, di guerre e di strategie, per loro era facile dedurre le conseguenze, che si sono puntualmente verificate
Si sta avverando anche il monito del Papa, certamente non esperto di strategie militari, ma espertissimo di Umanità, quell’Umanità che il pragmatismo americano ha escluso dalla sua grammatica dell’interesse materiale a tutti i costi, per sostituirla con la logica dell’imposizione della propria strategia, con l’uso della forza, la ragione della forza, appunto !
Avrebbe dovuto essere l’ONU a impedire questo “suicidio” del mondo occidentale, per questo l’ONU ha fallito.
Rosario Amico Roxas