Attraverso il Green deal proposto dalla Commissione Ue, l’Europa punta a diventare (entro il 2050) il primo continente al mondo a impatto climatico zero: un progetto ambizioso che prevede ingenti investimenti, pari a 1.000 miliardi di euro solo nei prossimi dieci anni, eppure con le attuali regole di bilancio europee non tutti tra i primi attori chiamati a capitanare la transizione – ovvero gli Stati membri – potrebbero mettere in campo le risorse necessarie. Il Patto di stabilità e i due regolamenti che ne disciplinano l’applicazione rispettivamente da 9 e 7 anni (Six e Two Pack) rappresentano una camicia di forza per le spese pubbliche: nata nel cuore della recessione per contenere l’incremento dei deficit e debiti pubblici, si sono dimostrati inefficaci a contrastare la crisi economica ed è tempo di rivederli: la Commissione ha dunque presentato ieri un riesame dell’efficacia del quadro di sorveglianza economica, aprendo un dibattito pubblico sul suo futuro.
Un percorso che si preannuncia già irto di ostacoli, date le divergenze in materia tra gli Stati membri, con il nord Europa che preme per non allentare la morsa sui conti. La stessa Commissione Ue da una parte sottolinea che «l’economia europea ha registrato sette anni di crescita ininterrotta» e che ad oggi «nessuno Stato membro è soggetto al braccio correttivo del patto di stabilità e crescita, la cosiddetta procedura per i disavanzi eccessivi, a fronte di 24 Stati membri nel 2011. Tuttavia – aggiungono da Bruxelles – il potenziale di crescita di molti Stati membri non è tornato ai livelli pre-crisi e il debito pubblico rimane elevato in alcuni di essi». In particolare la Commissione riconosce che «l’orientamento della politica di bilancio a livello nazionale è stato spesso pro ciclico (cioè tendente ad accentuare la crisi economica, anziché contrastarla, ndr). Inoltre la composizione delle finanze pubbliche non è diventata più favorevole alla crescita, con gli Stati membri che scelgono sistematicamente di aumentare la spesa corrente anziché proteggere gli investimenti». Pur addossando l’intera responsabilità agli Stati membri per questi dati di fatto, la Commissione in questo modo riconosce implicitamente l’inefficacia delle proprie normative in materia.
È dunque ora di cambiare. «Le politiche economiche in Europa devono affrontare le sfide odierne, che sono palesemente diverse da quelle di un decennio fa – argomenta Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’Economia – La stabilità resta un obiettivo essenziale, ma vi è l’altrettanto urgente necessità di sostenere la crescita e in particolare di mobilitare gli enormi investimenti che servono per affrontare i cambiamenti climatici. Dobbiamo inoltre elaborare politiche di bilancio più anticicliche, tenuto conto dei vincoli crescenti con cui deve confrontarsi la Bce. La complessità delle nostre regole, infine, rende più difficile spiegare ai nostri cittadini cosa dice “Bruxelles” e nessuno di noi dovrebbe accettare una situazione simile. Attendo con interesse un dibattito reale su questi temi nei prossimi mesi».
Il motore del confronto, come riconosce esplicitamente la Commissione, sta proprio nella transizione ecologica: «Questa revisione è stata condotta nel contesto delle ambizioni stabilite nel Green deal europeo, per rendere l’Europa il primo continente neutro dal punto di vista climatico. Ciò include la rivalutazione dell’adeguatezza delle attuali clausole di flessibilità, al fine di facilitare il giusto tipo e livello di investimento preservando la sostenibilità del debito. Il “bilancio verde” potrebbe anche svolgere un ruolo nel migliorare la qualità delle finanze pubbliche e nel contribuire a realizzare gli obiettivi del Green deal europeo. Tuttavia, è troppo presto per dire se la revisione porterà allo sviluppo di tali strumenti». Dipenderà, come sempre, dagli sforzi politici messi in campo per raggiungere l’obiettivo.