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Non si arresta l’ondata di esecuzioni in Iran

| Scritto da Redazione
Non si arresta l’ondata di esecuzioni in Iran

A luglio sono stati messi a morte almeno 25 prigionieri. Domenica 1 luglio due uomini, condannati per traffico di droga, sono stati impiccati nel carcere di Rafsanjan, nel sud est dell’Iran. Con la stessa accusa, altri tre prigionieri sono stati messi a morte a Qazvin (a ovest di Teheran) e uno a Baft (nel sud est del paese) il 9 luglio. Il giorno successivo, due detenuti, ritenuti colpevoli di sequestro di persona, omicidio e abusi sessuali, sono stati impiccati a Zahedan, nel sud est dell’Iran. Appena 48 ore dopo, una donna, Safieh Gafoori, è stata messa a morte nel carcere di Shiraz. Gafoori è stata condannata per omicidio, ma secondo alcune fonti era innocente e aveva confessato sotto pressione. Nel corso della stessa giornata, due uomini sono stati impiccati a Yasoojand e altri tre, accusati di traffico di droga, hanno subito la stessa sorte nella prigione di Qazvin. Il 16 luglio tre prigionieri, condannati per stupro, vengono messi a morte nel carcere di Kermand. Il giorno successivo, il procuratore di Qazvin, annuncia: “Abbiamo impiccato tre detenuti colpevoli di narcotraffico”. Passano due giorni, e la macchina delle esecuzioni non si ferma: un detenuto viene impiccato in pubblico a Shiraz, un altro nel carcere di Zahedan, un altro ancora a Ilam. Il 22 luglio tre uomini, condannati per traffico di droga, sono messi a morte a Ishafan.
Fonte: Iran Human Rights
E intanto, a poche settimane di distanza dall’esecuzione di 4 attivisti arabi ahwazi, nei primi dieci giorni di luglio arriva la notizia di nuove condanne a morte contro altri 5 prigionieri politici ahwazi. Pochi giorni prima Iran Human Rights, insieme ad altre 14 ONG per i diritti umani, aveva pubblicato un comunicato di condanna dell’esecuzione dei 4 arabi ahwazi, esortando le Nazioni Unite ad agire.
Fonte: Iran Human Rights
Il prigioniero politico Houshang Rezaei è stato condannato a morte dal Tribunale rivoluzionario di Teheran con l’accusa di Moharebeh (inimicizia contro dio), a causa della sua collaborazione con un partito politico curdo dichiarato illegale. L’uomo era stato arrestato nella primavera del 2010 nell’Iran occidentale e condotto nel settore 209 della prigione di Evin, gestito dal ministero della Sicurezza. La condanna a morte è arrivata in seguito a un’udienza durata solo pochi minuti.
Fonte: Iran Human Rights
Narges Mohammadi, vice-presidente e portavoce del Centro dei difensori dei diritti umani (l’organizzazione fondata nel 2006 dal Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi) e prigioniera di coscienza dall’aprile scorso, è stata rilasciata martedì 31 luglio su cauzione. Le è stata concessa una “licenza per ragioni mediche”. Ne danno notizia il sito Melli Mahzabi (della Coalizione nazional-religiosa) e quello del Committee of Human Rights Reporters. Entrambe le fonti riportano che la cauzione versata sarebbe di 600 milioni di toman (l’equivalente di quasi 400mila euro). Melli Mahzabi  aggiunge che la durata del periodo di congedo sarebbe di 10 giorni. Narges Mohammadi, che soffre di paralisi neuromuscolari temporanee, era stata arrestata il 21 aprile 2012 per scontare una pena a 6 anni di prigione, dovuta alle accuse di “cospirazione contro la sicurezza nazionale per mezzo della partecipazione al Centro dei difensori dei diritti umani” e di “propaganda contro il sistema.”
Fonte: Iran Human Rights
Secondo l’Organizzazione per i diritti umani del Kurdistan (RMMK), il prigioniero politico Mohammad Sedigh Kaboudvand, che è stato in sciopero della fame per quasi due mesi nel carcere di Evin (Teheran), ha interrotto il suo sciopero a partire dal 24 luglio 2012. Kaboudvand aveva cominciato il suo digiuno il 26 maggio scorso, quando le autorità della Repubblica islamica dell’Iran gli avevano negato il permesso di recarsi in visita dal figlio Pejman, affetto da una malattia che i medici non sono ancora riusciti a diagnosticare.
Fonte: Iran Human Rights
Arrestato Nasour Naghipour, giornalista e attivista per i diritti umani: deve scontare una condanna a 7 anni di carcere. L’uomo, 29 anni, era stato arrestato la prima volta il 2 marzo 2010 a Qazvin, la sua città, con l’accusa di aver progettato il sito web dell’organizzazione Human Rights Activists of Iran.  Nel 2010 Naghipour trascorse 110 giorni in cella di isolamento, per poi essere rilasciato in libertà provvisoria dietro il pagamento di una cauzione di circa 100 mila dollari. Il giornalista è stato poi condannato perché ritenuto colpevole di far parte dell’organizzazione Human Rights Activists of Iran, di cui aveva solo progettato il sito web.
Fonte: Iran Human Rights
Parisa Hafezi, capo dell’ufficio della Reuters a Teheran, sarà processata il 30 settembre. L’accusa è aver definito un gruppo di atlete iraniane “terroriste”. Nel corso di quest’anno, l’agenzia di stampa ha pubblicato un dossier in cui si sosteneva che tremila donne ninja erano state addestrate a Karaj. Nel report si specificava che le esercitazioni erano mirate a “uccidere invasori stranieri” e si accusava il governo iraniano di addestrare assassini. Le atlete iraniane esperte di arti marziali, le cui immagini sono presenti nel dossier, hanno fatto causa alla Reuters. Subito dopo, le autorità iraniane hanno sospeso le attività dell’agenzia a Teheran e hanno intrapreso un’azione legale contro Parisa Hafezi. Finché il giudice non arriverà a una decisione, l’ufficio iraniano della Reuters dovrà rimanere chiuso.
Fonte: Iran Human Rights
È un vero e proprio grido di dolore il secondo rapporto che l’organizzazione studentesca Tahkim-e Vahdat ha presentato ad Ahmed Shaheed, Relatore speciale Onu sulla situazione dei diritti umani in Iran. Dal dossier emerge che circa 50 attivisti del movimento studentesco sono ancora in carcere. Moltissimi studenti – si legge nel documento – sono stati ripetutamente convocati dalle commissioni disciplinari delle varie università e sospesi dai loro corsi a causa delle loro opinioni politiche. Per la compilazione del rapporto sono state raccolte le testimonianze di 164 studenti, 142 dei quali sono stati identificati, mentre 22 hanno fornito informazioni scegliendo di mantenere l’anonimato.
Fonte: Iran Human Rights
E infine una buona notizia. Due medici iraniani, pionieri della lotta all’Hiv nel loro Paese, in passato incarcerati dalle autorità della Repubblica islamica, hanno ricevuto il premio “Elisabeth Taylor”, nel corso della Conferenza internazionale sull’Aids a Washington. I due fratelli, Arash e Kamiar Alaei, sono stati premiati dalla International Aids Society e dalla Foundation for Aids Research per il loro lavoro sulla prevenzione dell’Hiv e per il loro sforzo di sostenere i diritti umani dei sieropositivi. I medici erano stati incarcerati nella prigione di Evin, a Teheran, con l’accusa di sospetta cospirazione.
Fonte: Iran Human Rights
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