Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 02.31

Pianeta Migranti. Ecco le parole dei politici che veicolano il razzismo.

Un richiamo serio al nostro paese è venuto da parte dell’altro commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi.

| Scritto da Redazione
Pianeta Migranti. Ecco le parole dei politici che veicolano il razzismo. Pianeta Migranti. Ecco le parole dei politici che veicolano il razzismo.

Pianeta Migranti. Ecco le parole dei politici che veicolano il razzismo.

Termini come “pacchia” in riferimento ai migranti, “taxi del mare” per le ong, “padroni a casa nostra” e altri… utilizzati da chi governa, mascherano concetti che disprezzano la dignità delle persone, falsificano la realtà dei fatti e trasmettono una narrazione di intolleranza e odio.

Un richiamo serio al nostro paese è venuto da parte dell’altro commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi.

Si sta diffondendo una cultura razzista, veicolata dal linguaggio di politici che cercano di rendere accettabili e normali fatti e situazioni che sono invece intrinsecamente violente. Abbondano le parole che etichettano, discriminano, che semplificano all’osso problemi complessi e li trasformano in slogan. Sono parole ed espressioni che sprigionano pulsioni latenti, sentimenti di rabbia e vendetta nei confronti  di chi è additato come il nemico che porta via il nostro benessere e la sicurezza. Parole che richiamano a un bisogno di ordine, di gerarchia, identificabile nel governo dell’uomo forte: un’esperienza già tragicamente, vissuta dal nostro paese.

Ribadire continuamente che siamo “padroni a casa nostra”, che “prima i nostri”, vuol dire rivendicare il diritto alla proprietà della terra in cui si è cresciuti, escludendo i diritti di tutti gli altri.

Definire le Ong “taxi del mare” vuol dire ignorare la tragedia dei naufragi del Mediterraneo col loro ingente carico di morti, per imporre l’immagine distorta di migranti che pianificano la loro traversata nella certezza di trovare una nave-taxi pronta a trasbordarli. Vuol dire ignorare che la legge del mare, le convenzioni internazionali impongono il dovere di salvare le vite in pericolo.

Del tutto fuorviante, definire le persone a bordo della nave Diciotti “palestrate” o “illegali”. In realtà, erano eritrei e somali, nazionalità che in Italia hanno il riconoscimento dell’asilo tra l’80 e 90% perché provengono da paesi con alta violazione dei diritti umani. Inoltre, secondo le regole internazionali non si può dichiarare a priori, senza valutare la domanda d’asilo, chi ha diritto o no allo status di rifugiato.

Parole e atti di impressionante disumanità è proclamare di rinviare i barconi dei sopravvissuti ai naufragi i Libia, dove sono documentate anche da parte dell’Onu, violenze odiose e torture raccapriccianti e inaudite.

Troppe sono le frasi inqualificabili per disumanità e violenza che però, fanno breccia

nell’opinione comune e accrescono il consenso dei leader politici che le pronunciano.

Un rapporto di Amnesty (2017-18) ha appurato che circa il 90% delle dichiarazioni dei politici sui social sono razziste e incitano alla violenza. Una recente ricerca dell’istituto Cattaneo di Bologna afferma che l’Italia è il paese che esprime il maggiore livello di ostilità verso l’immigrazione. Pertanto non c’è da stupirsi se da mesi prolificano attacchi fisici ingiustificati agli immigrati e se, quanti prestano solidarietà e soccorsi sono letteralmente coperti di insulti sui social, senza distinzione di persone e di ruoli: volontari, operatori umanitari, opinionisti, vescovi tutti nel mirino dei violenti.

L’alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, nella conferenza stampa del 14 settembre a Roma, ha avvertito “ il linguaggio politico non crei spazio per abusi e violenze a sfondo razzistico; il linguaggio è diventato aggressivo e dà spazio a sentimenti latenti in una società che ha già tanti motivi per essere insoddisfatta e che trasferisce questi sentimenti sui migranti!” In un simile clima di odio bene ha fatto il quotidiano online “La Ringhiera” di Taranto a chiudere “per odio” la sua redazione invitando a un periodo di riflessione silenziosa.

 

 

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