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Terremoto in Irpinia, i 90 secondi che cambiarono faccia alla Campania

Domenica 23 novembre 1980, alle 19:34, un sisma di magnitudo 6,9 gradi della scala Richter colpì i territori di Irpinia e Basilicata, causando quasi 3mila vittime. Furono rasi al suolo interi paesi e migliaia di case rimasero danneggiate. A decenni di distanza resta la memoria di una tragedia italiana e dell’incredibile speculazione degli anni della ‘ricostruzione’, mai completata e sulla quale molto incise la longa manus della camorra.

| Scritto da Redazione
Terremoto in Irpinia, i 90 secondi che cambiarono faccia alla Campania

Bastarono solo 90 secondi per spezzare vite, cancellare, borghi, strade, storie, gettare intere famiglie in un incubo durato poi decenni. Novanta secondi di paura in cui sembrava che la terra volesse scuotersi di dosso case, alberi, persone. Il terremoto dell’Irpinia del 1980 è stato uno degli eventi più drammatici della storia del Mezzogiorno, d’Italia di cui, decenni dopo, ancora si scontano ancora i danni.  Il 23 novembre 1980 un sisma di magnitudo 6,9 gradi della scala Richter con epicentro tra i comuni irpini di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania, colpì la Campania e la Basilicata causando 2.914 morti, 8.848 feriti e 300mila sfollati.

Domenica 23 novembre 1980, ore 19.34:52

La terra tremò alle 19:34:52, di domenica, facendo sentire la sua eco in tutta la regione con danni smisurati in molti centri della provincia di Avellino, Salerno, Caserta e a Napoli, dove un intero palazzo crollò in via Stadera, nel quartiere Poggioreale, causando 53 morti. I comuni maggiormente colpiti furono quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna. Le linee telefoniche si interruppero e la portata catastrofica del fenomeno fu chiara solo dopo diverse ore.

https://it.wikipedia.org/wiki/File:Sismografo_irpinia.jpg

Foto wiki CC0

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«Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi». Così tuonava l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, commentando lo spettacolo di dolore e devastazione che per molti giorni si è presentato agli occhi dei soccorritori dopo il sisma. Il terremoto aprì presto lo scenario della ricostruzione. 30 miliardi di lire furono stanziati dal governo per erigere nuovi alloggi che ospitassero gli sfollati.

Nuclei familiari rimasti senza casa, sradicati e lasciati in attesa dei nuovi alloggi di edilizia popolare che nel frattempo venivano edificati nelle periferie grazie alla legge 219 per la ricostruzione. Legge alla quale si deve la nascita di casermoni nei rioni di Scampia, Ponticelli, Miano, Secondigliano a Napoli, il Parco Verde di Caivano, il rione Salicelle di Afragola, Monteruscello a Pozzuoli. Alloggi-tugurio spesso imbottiti d’amianto. E ora, a decennni anni dal quell’incubo, restano ancora visibili le tracce della calamità in alcuni paesi diventati ‘fantasma’ come i centri antichi di Conza, Apice e Melito Irpino. Mentre nei grandi centri restano a imperitura memoria stabili pericolanti da un trentennio retti da pali di ferro pluridecennali. E resta, sicuramente, la memoria di una ricostruzione che avrebbe potuto cambiare – in meglio – la faccia d’una intera regione e che invece si è tramutata in un formidabile affare per chi ha saputo approfittare, impunemente, di una tragedia nazionale.

(Angela Marino, Fanpage cc by nc nd)

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