Gentile direttore, la vicenda della “tassa” imposta ai vertici degli enti pubblici e delle società a controllo pubblico venuta negli scorsi giorni all’attenzione dell’opinione pubblica non dovrebbe essere relegata tra le polemiche estive precedenti la ripresa dell’attività politica ordinaria, ma meriterebbe un doveroso approfondimento.
La questione di cui parlo è quella relativa alla scoperta della presenza, nei regolamenti delle varie articolazioni territoriali del Partito democratico dell’imposizione, scritta nero su bianco, per cui i soggetti che vengono designati per svolgere incarichi di nomina politica nei vertici di questi enti e società, sono tenuti a versare una parte della propria retribuzione nelle casse del partito.
Che questa previsione esista è un fatto acclarato: chi tra gli esponenti locali del PD nega che venga poi effettivamente attuata sta negando le stesse regole interne che in teoria sarebbe chiamato ad attuare.
Appellarsi alla presunta trasparenza dei bilanci ha poco senso perché la questione non riguarda tanto la trasparenza di queste dazioni, che sono già formalizzate nei regolamenti nero su bianco con tanto di percentuali; né sarebbe in ogni caso dirimente se pensiamo che le varie associazioni e fondazioni che orbitano intorno al PD e ai loro vari esponenti ricevono finanziamenti che grazie a quella stessa legge che il PD ha approvato possono legalmente restare anonimi e godono anche di importanti detrazioni fiscali.
La questione peraltro non riguarda soltanto il Partito democratico: il PD è solo quello che ha avuto la sfrontatezza di formalizzarla nei suoi regolamenti, ma diversi elementi indicano che si tratta di una prassi diffusa probabilmente all’interno di tutti i vecchi partiti.
Si tratta di una questione che chiama direttamente in causa la politica nel suo rapporto con i cittadini. Il motivo per il quale i vertici delle società pubbliche sono nominati dalla politica è quello che a esse spetterebbe controllare il perseguimento di obiettivi politici che rappresentano quelli delle amministrazioni che i cittadini scelgono di eleggere. Queste prassi al contrario li riducono a ruoli il cui unico scopo è quello di distribuire denaro tra gli esponenti dei partiti e il partito stesso. In questo modo si interferisce gravemente con l’attività e la gestione di enti e società che si occupano di aspetti essenziali della vita dei cittadini, ovvero i servizi pubblici: trasporti, energia, acqua, gestione dei rifiuti, ma anche la salute se ricordiamo i casi di “invito” al versamento di quote alla Lega Nord per i manager delle ASL di area leghista, per non parlare delle società controllate dai Comuni che vanno a quotarsi in Borsa; si crea in questo modo di fatto una nuova
forma di finanziamento pubblico ai partiti all’insaputa di chi questo finanziamento lo eroga, ovvero
i cittadini contribuenti.
Che cosa hanno da dire i rappresentanti dei partiti e del PD in particolare su tutto questo? E i signori nominati e attualmente stipendiati dai consigli di amministrazione nelle numerose partecipale dei Comuni lombardi e della stessa Regione Lombardia come rispondono a chi gli domanda se sono stati scelti per la qualità del loro lavoro o per la garanzia del versamento di questa tassa?
Si tratta di una vergogna su cui occorre fare chiarezza senza indugi, perché venga rimossa il prima possibile. Per questo mi rivolgo direttamente agli esponenti territoriali del PD in Lombardia. Non sarebbe un ottimo segnale se fosse la nostra Regione la prima nella quale si modificassero i regolamenti interni, cancellando la scandalosa clausola ?
Danilo Toninelli Deputato MoVimento 5 Stelle