Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 07.41

Un anno di Sputnik V, tra necessità e sfiducia

La sperimentazione di nuovi vaccini è stato fin dallo scorso anno uno dei temi che hanno accompagnato la pandemia e il contrasto al Covid-19. La Russia, tra molte perplessità, è stato il primo paese ad approvare un vaccino, lo Sputnik V, impiegandolo tanto come strumento di immunizzazione interna quanto, soprattutto come strumento di politica estera, in un momento di fragilità interna ed internazionale della Federazione Russa.

| Scritto da Redazione
Un anno di Sputnik V, tra necessità e sfiducia

La sperimentazione e le criticità dello sviluppo del vaccino russo

 Se in Occidente si è iniziato a parlare più frequentemente di vaccini verso il terzo o quarto trimestre del 2020, in Russia la ricerca e lo sviluppo di quello che poi sarebbe diventato lo Sputnik V erano iniziati già all’inizio dell’estate scorsa. Già all’inizio di luglio 2020, Kirill Dmitriev, direttore del Fondo Russo per Investimenti Diretti, il grande fondo sovrano specializzato nella ricerca in ambito sanitario, dichiarò che il Centro Nazionale di Ricerca di Epidemiologia e Microbiologia “Gamalayeva” e il Centro di Ricerca Scientifica di Stato “Vector” stavano registrando buoni risultati nello sviluppo di un vaccino contro il Coronavirus. Tra luglio e agosto, la Russia iniziò a spingere sulla sperimentazione su vasta scala, tanto da portarla a registrare lo Sputnik V nella seconda metà di luglio. La non linearità temporale appena proposta non è un refuso: si tratta piuttosto di una delle critiche che più volte è stata mossa contro il vaccino russo, ovvero di non aver seguito un iter sperimentale tradizionale, mettendo in dubbio la sua effettiva efficacia. Solitamente, infatti, un vaccino deve superare vari test e una sperimentazione su una larga porzione di popolazione e solo dopo riceve il via libera per poter essere registrato. La Russia, invece, ha provveduto ad accelerare i tempi burocratici per “vincere” quella che era vista come una corsa al vaccino, similmente alla corsa allo spazio degli anni ’60, da cui il nome del vaccino, che richiama quello del primo satellite lanciato in orbita dall’Unione Sovietica nel 1957, lo Sputnik appunto. Il vaccino Sputnik V, basato su una piattaforma di vettori adenovirali umani, fu quindi presentato all’Onu in occasione della 31esima sessione speciale dell’Assemblea generale sul coronavirus.

Al di là del rispetto o meno del percorso solitamente previsto, a settembre la Russia aveva già avviato la distribuzione del vaccino su larga scala, malgrado la comunità scientifica risultasse quanto meno scettica, se non ampiamente preoccupata, per il lancio del medicinale. Ciononostante, la comunità internazionale non si è espressa con un unico orientamento: l’India e il Brasile prenotarono rispettivamente 100 e 50 milioni di dosi di Sputnik V già nella seconda metà di settembre. Nel frattempo, all’interno della Russia stessa, dopo un’ottimistica partenza (100.000 persone vaccinate a novembre, con quattro milioni di dosi ulteriori disponibili per due milioni di persone entro la fine di novembre), la campagna di vaccinazione ha subito vari rallentamenti. A gennaio, i sondaggi rivelavano quanto segue: solo il 38% di cittadini russi si diceva pronto a vaccinarsi (a settembre la percentuale si aggirava tra il 37% e il 38%); tra le ragioni più gettonate per non vaccinarsi, c’era il desiderio di aspettare la fine delle sperimentazioni (30%) e la paura degli effetti collaterali (26%).

La percezione internazionale e la politica dei vaccini

Allo stesso tempo, la situazione è rimasta per molti mesi in uno strano equilibrio tra scetticismo all’interno del Paese e crescente interesse da parte di altri Paesi per approvvigionarsi col vaccino russo. Inizialmente, Kazakistan, Serbia e Uzbekistan si dimostrarono molto inclini a voler importare o collaborare per la produzione di Sputnik V. Ma presto la platea di “interessati” si allargò: Algeria, Venezuela, Argentina, Brasile, Turchia, tra gli altri. Ma anche in Unione Europea, a seguito dell’avvio delle campagne di vaccinazione con i tre vaccini occidentali Pfizer, AstraZeneca e Moderna, poco soddisfacenti (almeno in una fase iniziale), si iniziò a dimostrare interesse per la soluzione russa. Angela Merkel, Cancelliera tedesca, già nella seconda metà di gennaio disse di non voler chiudere a priori le porte all’utilizzo del vaccino russo, ma che sarebbe stata necessaria l’approvazione dell’EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco, il cui via libera è formalmente necessario per avviare una campagna di vaccinazione con un nuovo farmaco all’interno dei Paesi dell’Unione. Mosca presentò la richiesta di registrazione di Sputnik all’EMA il 20 gennaio scorso, ma ad oggi non ci sono stati sviluppi significativi su questo fronte.

Mentre, tra febbraio e marzo, moltissimi Paesi registravano ufficialmente Sputnik V, l’Unione Europea prendeva tempo. L’Ungheria, invece, facendo leva su una clausola di emergenza che ha reso valida l’autorizzazione per sei mesi anche senza l’approvazione dell’EMA, diventò il primo Paese dell’Unione Europea ad adottare unilateralmente il vaccino russo. Budapest ha giustificato la scelta per motivi legati ai “ritardi nella fornitura attraverso il programma UE”. L’iniziativa unilaterale ungherese ha procurato a Mosca una significativa soddisfazione ma anche un certo fastidio in seno alla Commissione europea, poiché la scelta di Budapest minava la strategia di solidarietà europea.

Negli ultimi mesi, il vaccino russo è stato descritto come un nuovo strumento diplomatico della Russia. Mentre in Unione Europea non si fermava la discussione riguardo la possibilità di acquistare ed utilizzare il vaccino russo. La Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Croazia hanno espresso interesse al riguardo, ma non sono i soli Stati membri ad aver preso in considerazione tale possibilità, la stampa e la diplomazia occidentale hanno messo in guardia sul ruolo che il vaccino potrebbe avere per la politica estera russa. A fine marzo, erano 39 i Paesi che avevano iniziato la somministrazione dello Sputnik V, mentre in Russia ancora stentava a decollare: solo il 2,7% dei 146 milioni di cittadini russi era stato vaccinato. A pesare erano e sono i problemi logistici, soprattutto legati alla cosiddetta catena del freddo, che fanno emergere il gap amministrativo tra centro e periferia. Mentre alcuni luoghi sul territorio della Federazione sembrano inaccessibili per il vaccino, Mosca, nonostante arrivi solamente al 4,6% di vaccinati, si erge a modello organizzativo, con un sistema digitale di prenotazione e centri di vaccinazione collocati anche nei supermercati.

La situazione è leggermente cambiata il 23 marzo scorso, quando il Presidente della Federazione russa Vladimir Putin si è sottoposto a vaccinazione. La prima conseguenza della vaccinazione presidenziale è stata sicuramente l’incremento della fiducia da parte della popolazione russa nei confronti del vaccino. Secondo un sondaggio del Levada Center era il 35% della popolazione quello disposto a sottoporsi alla vaccinazione prima di venire a conoscenza della dose somministrata a Putin, passata a circa il 57% nei giorni successivi. La pandemia però, in Russia, non si è fermata: quasi 5 milioni i contagiati e più di 100.000 i morti dall’inizio della pandemia.

A inizio maggio, la Russia ha reso noto di aver registrato una versione “light” di Sputnik V, ovvero una soluzione monodose con un’efficacia stimata dell’80% circa. Il dibattito in Europa è ancora lontano dal concludersi, ma in una campagna mondiale contro il Covid-19 è forse necessario prendere in considerazione ogni strumento potenzialmente utile ad arginare l’emergenza.

(Gianmarco Donolato, Geopolitica.info cc by)

Dal numero speciale di Matrioska – Osservatorio sulla Russia

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