Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 23.16

UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada

Tutti siamo rimasti sorpresi da quanto avvenuto nel sud di Israele, con il feroce attacco di miliziani di Hamas contro Israele

| Scritto da Redazione
UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada

UN PO’ DI STORIA ISRAELE E PALESTINA | Giancarlo Corada

 Tutti siamo rimasti sorpresi da quanto avvenuto nel sud di Israele, con il feroce attacco di miliziani di Hamas contro soldati e civili, e dalla successiva terribile reazione di Israele.

Il fatto è che siamo portati a vivere gli eventi solo nel presente, senza pensare che è il passato a spiegare gran parte di quanto succede oggi. Sempre. Nella vita personale come nella storia più in generale. Oddio, non tutto si spiega con il passato. Vi sono tante variabili del momento che determinano un fatto piuttosto che un altro. Ma la storia passata è un elemento che incide tantissimo. Conoscerla e capirla orienta le scelte e quindi favorisce un futuro piuttosto che un altro. Il dominante “Presentismo” fa danni alla conoscenza ma più ancora al nostro futuro. Tracciamo, quindi, con il massimo di obiettività possibile, una sintesi della storia recente di quell’area del mondo.

Dobbiamo partire dal 1896 quando Theodore Herzl (1860-1904), un intellettuale ebreo ungherese naturalizzato austriaco, avanza alle Nazioni europee, in un libro dal significativo titolo “Lo Sato ebraico”, la proposta di fondare uno Stato ebraico in una delle loro Colonie oppure in Argentina. Herzl, che aveva seguito in Francia come giornalista il caso Dreyfuss (un ufficiale francese ebreo accusato ingiustamente di tradimento), motiva l’idea con l’esistenza di un forte e pericoloso antisemitismo in Europa.

L’anno successivo precisa la proposta indicando la Palestina come destinazione ideale, anche se afferma di considerare valide anche altre indicazioni. Nasce così il movimento sionista (il termine indica il popolo ebraico), che inizia da subito ad organizzare l’ immigrazione degli ebrei in Palestina, l’area corrispondente grosso modo ad Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza. Quell’area era allora colonia dell’Inghilterra che, insieme alla Francia, controllava il Medio-Oriente ed il Nord Africa. Tra la fine dell’ 800 e l’inizio del ‘900 non furono molti i coloni ebrei a trasferirsi in quelle terre. Nè l’Inghilterra vedeva di buon occhio tale immigrazione, per i contrasti che ne potevano nascere con la popolazione locale. Fu la Prima Guerra Mondiale a cambiare le cose, per la precisione nel 1917 quando il ministro degli esteri inglese, Arthur Balfour, pressato dalla comunità ebraica internazionale, affermò che il Regno Unito non era contrario a che si creasse “un focolare nazionale ebraico” in Palestina.

La “Dichiarazione Balfour”, osteggiata dagli arabi, diede l’avvio ad un più consistente arrivo di coloni in Palestina, soprattutto da quei Paesi europei dove, con il passare degli anni, si accentuava l’antisemitismo e la repressione antiebraica. Fino ad arrivare alle orribili teorie razziste del nazismo ed alla pratica dei Campi di sterminio. I sopravvissuti presero in gran numero la via della Palestina. E’ da sottolineare che non solo dalla Germania fuggivano gli ebrei, ma dall’Italia, dalla Francia, dalla Polonia, dall’Ungheria e da altri Paesi dove i fascisti avevano aiutato i nazisti nello sterminio. Nel 1945 nazismo e fascismo erano crollati, ma gli ebrei un po’ non si fidavano un po’ erano affascinati dalla prospettiva di un ritorno alla Terra Promessa e di uno Stato autonomo. Stato, Israele, che effettivamente nasce nel 1948. L’anno precedente l’ ONU aveva approvato una risoluzione che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati, uno ebraico ed uno palestinese. I palestinesi e gli Stati arabi dell’area rifiutano la divisione. Il 1948 vede la prima guerra fra Israele ed i Paesi arabi. Contro ogni aspettativa Israele vince ed occupa più o meno la metà della Palestina “britannica”. Si accentua il dramma dei palestinesi, spesso cacciati dalla terra ove vivevano da tempo immemorabile.

Intanto era nato un movimento di resistenza palestinese, diviso in vari gruppi. La più parte di questi si unì, nel 1964, nell’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina, ben presto guidata da Yasser Arafat. Le tensioni sfociano nella “guerra dei sei giorni” (5-10 giugno 1967), vinta, contro Egitto, Siria e Giordania, da Israele, che dimostra grande capacità militare, “intelligence” di qualità e la duttilità necessaria per approfittare delle divisioni e debolezze degli avversari. E’ in questa occasione che Israele occupa la Cisgiordania (in antecedenza parte della Giordania), la Striscia di Gaza ed il Sinai (parte dell’Egitto) e le alture del Golan (Siriane). Come si vede, le zone massicciamente abitate da palestinesi erano prima sotto il controllo di Giordania ed Egitto. Ora il controllo di Israele è totale e genera ulteriori contrasti, che sfociano, nell’ottobre del 1973, nella “guerra del Kippur” (dal nome della festa religiosa ebraica dell’espiazione e del digiuno).

Gli Israeliani sembrano all’inizio soccombere, ma alla fine prevalgono. L’esigenza di trovare comunque una soluzione si fa strada nell’area e fra le Grandi Potenze. Nel 1979 l’Egitto firma una pace separata con Israele, che restituisce la penisola del Sinai ma non Gaza (per questa pace il presidente egiziano Anwar al-Sadat sarà nel 1981 assassinato da estremisti islamici). Neppure l’ OLP di Yasser Arafat accetta la sconfitta ed avvia una dura contrapposizione ad Israele nei territori occupati, partendo soprattutto dal Libano. Allora gli israeliani invadono ed occupano il Libano fino a Beirut. In Libano vi erano enormi Campi profughi di palestinesi. I miliziani falangisti cristiano-libanesi (milizia cristiana di estrema destra), con il sostanziale avvallo degli Israeliani, entrano nei due Campi di Sabra e Chatila e compiono una strage di circa tremila civili che indignerà tutto il mondo. Nei Campi (in Libano, in Giordania, in Siria, in Egitto) e nelle zone occupate matura la rivolta . Nel 1987 si ha la prima Intifada (rivolta): giovani e giovanissimi palestinesi si ribellano agli occupanti tirando sassi.

La durissima reazione dei militari scuote le coscienze anche in Israele. Sono molti, soprattutto intellettuali, a prendere posizione a favore di una politica di pacificazione e convivenza. Espressione di questa linea è il governo di Itzhaak Rabin. Nel 1993 Rabin ed Arafat si stringono la mano, davanti al Presidente americano Jimmy Carter ed avviano un processo di pace per giungere alla nascita di uno Stato palestinese. Per questo vincono il Nobel per la pace. Due anni dopo, però, Rabin è assassinato da un fanatico estremista israeliano, contrario al processo di pace. A cavallo del secolo la situazione ed i rapporti fra i due popoli peggiorano ancora. E’ la seconda Intifada, con numerosi morti da entrambe le parti. Nel 2005 Israele si ritira unilateralmente dalla Striscia di Gaza (pur mantenendo il controllo del mare, del cielo e dei confini) e l’anno dopo, a sorpresa, Hamas vince le elezioni. Comincia uno stillicidio di azioni e reazioni: lanci di razzi, incursioni, bombardamenti. L’Autorità palestinese, limitata alla Cisgiordania, senza più un capo carismatico come Arafat (deceduto nel novembre 2004), ha perso progressivamente ruolo ed influenza. A livello internazionale l’ONU ha inviato soldati (tra cui molti italiani) nel sud del Libano, come forza di interposizione. Ed ha ribadito, l’Onu, in più occasioni la teoria dei “due Popoli, due Stati”. Di fatto, il mondo è sembrato dimenticarsi della “questione palestinese”.

Oggi si torna a dire che senza una soluzione vera di tale questione il Medio-Oriente non troverà la pace e molti Paesi, soprattutto occidentali, torneranno a vivere la stagione del terrorismo. E la soluzione non può che essere il riconoscimento da parte araba del diritto di Israele ad esistere e da parte israeliana il riconoscimento del diritto dei Palestinesi ad avere un proprio Stato assolutamente autonomo e sovrano. Molti, compreso il sottoscritto, non amano molto una divisione su base etnica e religiosa. L’ideale sarebbe un unico Stato democratico, che rispetti i diritti di tutti e dove le divisioni siano sociali, politiche e sempre non violente.

Oggi questa soluzione è impraticabile. E’ difficilissima anche l’altra, ma più realistica. La diplomazia, più che la politica, è l’arte del possibile. L’importante è fare passi, anche piccoli, ma nella direzione giusta.

 Gian Carlo Corada 

Cremona 20 ottobre 2023

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