Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 17.02

Coldiretti.L’ITALIA CHE VOGLIAMO” IN 10 PUNTI

| Scritto da Redazione
Coldiretti.L’ITALIA CHE VOGLIAMO” IN 10 PUNTI

Il documento della Coldiretti presentato al Forum Internazionale di Cernobbio
L’ITALIA CHE VOGLIAMO” IN 10 PUNTI
Il Presidente Marini: “Coldiretti sosterrà con decisione quelle figure
che nell’agire quotidiano si sono impegnate a favore dell’agricoltura,
condividendo il nostro modello di agroalimentare e la nostra idea di sviluppo
del Paese come chiaramente tracciato nel documento L’Italia che vogliamo”
E’ una proposta in dieci punti quella contenuta nel documento “L’ltalia che vogliamo”
presentato dal Presidente Sergio Marini in occasione del Forum Internazionale
dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio, davanti ad opinion leader, segretari
di partito, componenti del Governo e della società civile. Il Presidente Marini ha
ribadito che “Coldiretti sosterrà con decisione quelle figure che nell’agire quotidiano si
sono impegnate a favore dell’agricoltura, condividendo il nostro modello di
agroalimentare e la nostra idea di sviluppo del Paese come chiaramente tracciato nei
dieci punti nel documento L’Italia che vogliamo”. Ecco, in sintesi, la proposta della
Coldiretti, la nostra via allo sviluppo del Paese:
1. Un governo globale dei beni comuni
“E’ necessario che i decisori politici ne tengano conto mettendo ai vertici della loro
agenda la strategicità del cibo e promuovendo politiche che a livello globale
definiscano una regia di regole per i beni comuni come il cibo, l’acqua e il suolo”.
2. Più Europa
“E’ necessario lavorare alacremente alla costru-zione degli Stati Uniti di Europa,
dotando l’Unione di forti istituzioni politiche elette democraticamente, capaci di
orientare sia il cammino di integrazione iniziato, che di ricondurre le spinte disgreganti
in atto. Dal punto di vista del sistema agroalimentare italiano dobbiamo portare
pienamente “l’Italia in Europa”, facendo sì che la nuova Politica Agricola Comunitaria
riconosca il valore strategico del “modello italiano” e le sue straordinarie peculiarità,
consentendo che esso diventi patrimonio della comunità contaminando virtuosamente
il pensiero comunitario”.
3. L’Italia, una, sussidiaria e solidale
“Di fronte alla ripresa - dopo quasi un secolo - di forti squilibri nella distribuzione della
ricchezza prodotta e nel contesto di un necessario contrappunto federale il valore
della sussidiarietà diventa strumento cardine per gestire la semplificazione burocratica
e i principi di solidarietà sono indispensabili per superare le diseguaglianze. Al tempo
stesso quando pensiamo a “una” Italia facciamo riferimento alla pletora di livelli
amministrativi che ostacolano il dispiegarsi del potenziale dell’imprenditoria
nazionale”.
4. I nostri punti di forza
“Gli assets su cui il nostro Paese può e deve puntare, sono di natura materiale e
immateriale: patrimonio storico ed artistico, paesaggio, biodiversità, ricchissima
articolazione territoriale, originalità e creatività, gusto e passione, intuito e buonsenso.
Accanto a questi fattori, siamo stati capaci di sviluppare nel tempo un capitale sociale
che rimane fortissimo; resta viva una forte capacità di relazionarci e di fare comunità,
di innovare mantenendo in vita saperi antichi. Risorse che appartengono al Dna del
Paese e che garantiscono quel valore aggiunto inimitabile e non delocalizzabile al
“saper fare” italiano. La nostra agricoltura ha fondato su tali risorse il suo successo.
Se essa mette in luce elementi di competitività, distintività, innovazione ed eccellenza,
è perché ha saputo innovarsi ancorandosi al paradigma antico e non omologabile del
Paese”.
5. Il nostro modello di sviluppo: l’Italia che fa l’Italia
“L’Italia e il suo futuro sono legati invece alla capacità di tornare a fare l’Italia,
imboccando intelligentemente la strada di un nuovo modello di sviluppo che trae
nutrimento dai punti di forza a cui abbiamo già fatto riferimento. E’ nella nostra
capacità di trasferire nei nostri prodotti e nei nostri servizi il valore materiale e
immateriale della distintività italiana e nel rafforzare il nostro saper “fare rete” che
troveremo la forza e l’autorevolezza per riconquistare la giusta capacità competitiva,
anche nella dimensione globale”.
6. Le politiche necessarie
“Per accompagnare la crescita, abbiamo bisogno di “buona politica” e ciò significa in
primo luogo il ritorno a funzioni di mediazione intelligente fra ceti e interessi distinti e
contrastanti ai fini di perseguire un più ampio interesse di carattere generale, ciò che
si definisce “bene comune”. “Alla politica, fortemente deficitaria, chiediamo
un’operazione coraggiosa di verità, giustizia e legalità, aspetti la cui declinazione è
diventata in questi anni via via più opaca”. “E per la nostra agricoltura chiediamo un
impegno speculare, a servizio di ciò che stiamo perseguendo con il nostro agire
quotidiano:
- la verità, per garantire trasparenza ai cittadini consumatori e metterli in condizione di
conoscere ciò che va sulle loro tavole (lotta all’italian sounding, norme per
l’informazione ai consumatori, applicazione di quelle leggi approvate dal Parlamento
ma finite in un binario morto);
- la giustizia, per contrastare le posizioni di rendita e ridistribuire il valore aggiunto a
vantaggio di chi lo produce (sostegno ai nostri progetti di Campagna Amica e della
Filiera Agricola Tutta Italiana tesi ad accorciare e costruire nuove relazioni di filiera);
- la legalità, per impedire i fenomeni che minacciano il valore del marchio “Italia” (lotta
alla contraffazione e sofisticazione, condivisione della nostra denuncia sulle
Agromafie in stretta collaborazione con magistratura e forze dell’ordine)”.
7. La molla per tornare a crescere
“L’Italia è un Paese in cui le scelte economiche, politiche e sociali sono fortemente
condizionate da dimensioni emozionali. Elementi come “la fiducia” tendono a
ripercuotersi in maniera più che proporzionale sui comportamenti degli individui e
delle famiglie. In stagioni congiunturali particolarmente difficili, “la fiducia” diventa una
sorta di “molla” che se nutrita dal giusto orgoglio nazionale e messa in tensione va a
costituire un fattore rigenerativo, se trascurata si traduce in un ulteriore chiave
“depressiva”.
8. Far crescere il Pil con il benessere
“E’ tempo di ripensare lo sviluppo in una logica di benessere secondo principi di
sostenibilità, etica del lavoro e coesione sociale. Il Pil in tal caso è strumento e non
fine ultimo di una crescita sostenibile. Dentro al consumo di cibo c’è la cultura dei
territori, la tipicità e la creatività di tutta la gente che l’ha generato. Dentro al cibo c’è la
sicurezza alimentare che noi abbiamo garantito. C’è la qualità e la diversificazione
assicurata dalla lotta continua che facciamo per difendere la biodiversità. Si tratta di
tutta una serie di componenti immateriali che quando ci fanno stare a tavola ci fanno
stare bene al di là del Pil”.
9. Il valore della comunità
“La crisi ci ha fatto riflettere sulla necessità di investire su alcuni valori, che sono
anche essi durevoli, continuativi, che non conoscono erosione: la socialità, l’amicizia,
la famiglia, lo stare bene assieme, la spiritualità nelle sue varie espressioni culturali e
religiose, la solidarietà. Nella “prossimità”, che è elemento fondante della comunità,
c’è l’essenza, il concetto base del modello di sviluppo verso cui dobbiamo tendere; c’è
la chiave, per potersi integrare nel mare della globalizzazione senza smarrirsi,
conservando la solidità e la coerenza dei nostri modelli identitari e valoriali.
L’agricoltura multifunzionale e la produzione agroalimen-tare sono nello stesso tempo
generatrici e rappresentazione di questo modello, e la stessa impresa multifunzionale
è al centro di questo fare “comunità””.
10. Etica prima di tutto
“Una molteplicità di episodi in questi anni e mesi ha messo pesantemente a nudo le
debolezze del ceto politico nazionale e locale. Ciò da un lato ha generato una diffusa
indignazione all’interno dell’opinione pubblica, dall’altro ha dato vita a forme,
movimenti e pulsioni di sapore antipolitico”. “Tutto ciò rischia di produrre un
meccanismo di rimozione individuale: se la colpa è degli “altri”, le persone nel loro
quotidiano agire finiscono per sciogliersi da quelle responsabilità che pure hanno e
dovrebbero esercitare nella sfera pubblica e in quella privata. Se tuttavia in questi anni
c’è stato un venir meno dei valori di trasparenza, di verità, di assunzione di
responsabilità ciò, in taluni casi, ha investito anche le forze di rappresentanza. A volte,
infatti, è accaduto che esse abbiano espresso scarsa progettualità, bassa
propensione a rischiare, incapacità di essere punto di riferimento esemplare per i loro
associati, che siano rimaste prigioniere di logiche legate a rendite corporative. Ma
soprattutto ci è parso che esse non abbiano saputo fuoriuscire dalla logica
schiacciante del “presente” e a configurare quella proiezione in chiave futura di cui il
Paese ha bisogno. Che ciò sia il riflesso di una più generale miopia e assenza di
lungimiranza della classe politica, non è motivo di consolazione”.

 


 

 

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