Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 13.55

CR Pianeta Migranti. Il cibo per i paesi ricchi divora le foreste e costringe a fuggire.

Soia, carne, cacao, olio di palma e altro… le foreste scompaiono anche a causa loro.

| Scritto da Redazione
CR Pianeta Migranti. Il cibo per i paesi ricchi divora le foreste e costringe a fuggire.

Pianeta Migranti. Il cibo per i paesi ricchi divora le foreste e costringe a fuggire.                                   

Soia, carne, cacao, olio di palma e altro… le foreste scompaiono anche a causa loro.

 Le migrazioni dipendono da una varietà di ragioni: conflitti, persecuzioni, mancanza di diritti civili e politici, povertà, insicurezza alimentare. Anche la deforestazione e l’accaparramento delle terre rientrano tra i fattori che deteriorando seriamente l’ambiente, provocano crisi umanitarie e costringono alla fuga le popolazioni locali.

Tra il 2015 e il 2020, ogni due secondi, il mondo ha perso circa 51 milioni di ettari di foreste, pari a un’area dalle dimensioni di un campo da calcio.

Entro il 2050, in America Latina, nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale, regioni in cui l’accaparramento delle terre e la deforestazione giocano un ruolo centrale, si prevede che oltre 143 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare. Basti pensare che tra il 2017 e il 2018, la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 13,7% cancellando più di 7.900 km quadrati di foresta.

L’80% della deforestazione del mondo è causata soprattutto dalla produzione intensiva di materie prime per l’agricoltura industriale che produce carne bovina, largamente consumata anche in Europa.

Praticamente, il cibo per i paesi ricchi sta divorando le foreste del pianeta. Soia, olio di palma, cacao, carne, avocado e altro… sono i responsabili di una distruzione senza precedenti. La deforestazione dell’Amazzonia, oltre che per scopi estrattivi, serve a soddisfare la richiesta crescente del mercato di carne e soia.  “Il problema è di portata internazionale: negli ultimi 10 anni, la produzione di soia nello stato del Rondônia (Brasile) è triplicata e in buona parte è destinata all’esportazione. Tanto che l’area è minacciata anche dal mega-progetto “Corridoio Nord”, che prevede la costruzione di strade, ferrovie e porti per aumentare la capacità logistica dei trasporti di soia verso il mercato globale” come sostiene Martina Borghi, della campagna “Foreste” di Greenpeace Italia.

E l’Italia, nel 2020 con oltre 48 mila tonnellate di soia proveniente da Rondonia, è stata tra i primi cinque principali importatori a livello internazionale, secondo Greenpeace.

Stiamo decimando le foreste per far posto all’agricoltura massiva e industriale. Ciò significa che i consumi del mondo benestante mettono in ginocchio le foreste del Pianeta.

Se la produzione di soia distrugge le maggiori foreste del Sudamerica, l’olio di palma -che finisce nelle merendine e nel biodiesel- mangia le terre dell’Indonesia; le piantagioni di cacao in Costa d’Avorio sconfinano fino nelle aree protette dove vivono elefanti, ippopotami e coccodrilli.

Non va dimenticato che il disboscamento impoverisce pure i terreni e ne riduce la fertilità;  aumenta la desertificazione nei climi aridi, l’erosione dei suoli, le frane e gli smottamenti nei climi piovosi e collinari, l’inquinamento degli ecosistemi acquatici (a causa del dilavamento delle acque). Le conseguenze sono un grave degrado ambientale che rende impossibile sopravvivere e le popolazioni fuggono.

In molti Paesi del mondo il numero di migranti per cause ambientali supera quello dei migranti costretti a fuggire per causa di guerre o persecuzioni razziali o religiose. Secondo i dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre (2020) il numero di sfollati a causa di conflitti è stato pari a 9,8 milioni di persone, contro i 30,7 milioni di sfollati per cause ambientali. E secondo  l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite il trend di crescita è allarmante a causa anche degli effetti dei cambiamenti climatici.

E’ pertanto importante i  profughi/migranti ambientali ottengano un riconoscimento  giuridico a livello internazionale in quanto il loro status non è contemplato nella Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951 e quindi restano senza diritti.

 

 

 

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