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Cremona e le sue strade. Via Guido Grandi di Laura Bosio.

| Scritto da Redazione
Cremona e le sue strade. Via Guido Grandi di Laura Bosio.

Cremona e le sue strade. Via Guido Grandi di Laura Bosio.
E’ una delle strade più antiche della città, e corre da via Jacini fino all’incrocio con via Milazzo, dove poi si trasforma in via Trecchi e di lì arriva fino al Cittanova. Un tempo, essa, arrivava fino al Cittanova, e solo recentemente, dal 1938, l’ultimo tratto è stato rinominato come “via Trecchi”.
La storia di questa strada è piuttosto complessa. Innanzitutto è bene ricordare che si tratta di una via piuttosto antica e che ha cambiato nome parecchie volte nel corso della storia. Il suo primo tratto, quello fino a via Oscasali, a partire dal 1277 era denominato Strata Sancti Cristofori, prendendo il suo nome dalla chiesa di San Cristoforo, che sorgeva di fronte a via del Consorzio, e che fu soppessa nel 1755. Nel 1751 il secondo tratto risultava chiamarsi contrada Santa Margherita, nome preso da un’altra chiesa, essa esistente a tutt’oggi, all’angolo con via dei Rustici. I due tratti vennero unificati nel 1871, con il nome di Guido Grandi.
La via è tutt’altro che lineare: lungo il suo percorso si allarga e si restringe varie volte, e incrocia diverse altre direttrici: via del Consorzio, via Colletta, via Oscasali e sinistra; via Capra, piazza Sant’Agostino e via Breda a destra.

La via porta con sé anche diversi segni particolari. Sulla casa che fa angolo con via Jacini, ad esempio, appare una lapide dedicata al maestro di musica Nicola Bassi.
Guido Grandi è un personaggio che non passa certo inosservato: ad esso spetta infatti il primato assoluto tra i cremonesi che si distinsero nella prima metà del Settecento.
Egli nacque a Cremona il 1o ottobre del 1671 da Pietro Martire, ricamatore in oro, e Caterina Legati. Originariamente il suo nome era Francesco Lodovico, ma egli lo mutò in Guido quando entrò, all’età di 16 anni, nell’Ordine camaldolese a Classe di Ravenna.

La famiglia, di condizione modesta, si era sempre distinta per la sua religiosità. Guido studiò prima con il sacerdote Pietro Canneti, poi nella scuola locale dei gesuiti, dove si dedicò allo studio della retorica. Qui, studente di filosofia, nel 1687 conobbe Giovanni Girolamo Saccheri, matematico gesuita, che all’epoca insegnava latino e che lo introdusse alle scienze filosofiche. Fu verso il Natale del 1687, a soli 16 anni, che Grandi entrò nel monastero camaldolese di S. Apollinare in Classe a Ravenna. Dopo il noviziato completò gli studi filosofici, e si dedicò con passione alle lettere e alla storia. Poiché i novizi erano esclusi dalla locale Accademia dei Concordi, diretta da Pietro Canneti, con alcuni condiscepoli ne fondò una, denominata "dei Gareggianti”. Grandi nel corso dei suoi studi scrisse anche (1691) un'opera di teoria musicale. Verso la fine del 1692 fu inviato a Roma, in San Gregorio al Celio, per seguire un corso di teologia. In seguito fu ammesso alla celebre Accademia dell’Arcadia. Le notizie sulla sua permanenza a Roma non sono certe. Sembra che abbia studiato diritto canonico.

Nel 1694 Grandi divenne magister, ma gli fu negato un insegnamento. Fu poi nominato lettore di filosofia nel monastero fiorentino di Santa Maria degli Angeli, dov'era insegnata la matematica. E fu proprio in questa occasione che Grandi si avvicinò a questo tipo di scienza: scoprì Euclide e presto procedette da solo, studiando Apollonio, Pappo e Archimede.
Dapprima, dunque, la sua matematica non incluse l'algebra recente, la geometria analitica e ancor più l'analisi. Con la matematica pura coltivò le applicazioni: tra 1699 e 1700 mostrò buone conoscenze in ottica, meccanica, astronomia. Presto preparò la nuova versione del trattato di armonia scritto a Ravenna. Successivamente fu incaricato di insegnare la matematica nel monastero.
Intanto, preparando i corsi di filosofia, conobbe i Principia cartesiani, che divennero struttura portante del suo insegnamento, distinguendolo da un altro filone "moderno" nella cultura toscana: l'atomismo gassendiano. Nel 1697, insegnando ancora la matematica, passò dalla cattedra filosofica a quella teologica. Tuttavia la sua passione per la matematica era oemai esplosa, e continuò a dedicarvisi.
Nel 1699 ebbe la possibilità di portare a termine il suo primo lavoro scientifico. L'opera, recensita negli Acta eruditorum (il corrispettivo dei moderni giornali scientifici), iniziò a renderlo noto in Italia e all'estero, tanto che il granduca Cosimo III volle conoscerlo. Nel tardo 1699, chiamato di nuovo a Roma in S. Gregorio per leggere teologia, iniziò una delle corrispondenze più ampie, quella con Tommaso Ceva, matematico del collegio gesuitico di Milano.
Nel maggio 1700 il granduca offrì a Guido Grandi una lettura straordinaria di filosofia a Pisa, dove restò per sempre, rifiutando offerte delle Università di Torino e Padova. Divenne un personaggio influente. Grandi faceva riferimento al modello cartesiano e avviò la filosofia al passaggio da studio astratto a studio fisico a crescente componente matematica. Inserì nei corsi meccanica, ottica, idraulica e astronomia. Si distinse negli studi matematici e scientifici. La sua prina pubblicazione nel settore, la “Quadratura circoli et hyperbolae per infinitas hyperbolas et parabolas quadrabiles geometrice exhibita”, apparve a Pisa nel 1703. Un lavoro che lo introdusse negli ambienti scientifico-matematici di tutto il mondo.

Altra opera di spicco di Grandi furono le quattro “Dissertationes Camaldulenses”, nelle quali ripercorse le origini del proprio ordin. Queste opere destarono però reazioni soprattutto in rapporto a fatti di grande valenza devozionale, che lo misero in rotta con l’ordine stesso. Per tutelarlo, nello stesso 1707 Cosimo III (che aveva incoraggiato la stampa delle Dissertationes) lo nominò suo matematico, poi anche suo teologo; nel 1715, poi, lo fece nominare, da Clemente XI, abate della provincia toscana. Infine, nel 1717, il papa lo fece abate di San Michele a vita per premiarne le consulenze in materia fluviale allo Stato pontificio.

Nel maggio 1709 Newton fece associare Guido Grandi alla Royal Society, che così si aggiunse alle accademie cui apparteneva: l'Arcadia, l'Etrusca di Cortona, quella milanese dei Vigilanti di Clelia Del Grillo Borromeo, i Fisiocritici di Siena. Inviò testi anche all'Istituto delle scienze di Bologna e tenne lezioni nella Crusca e nell'Accademia fiorentina.
Nonostante il lustro scientifico, Grandi non fu tentato dalla mondanità: le fonti parlano di vita ritirata, di una piccola cerchia di amici e poca cura di sé. La convinzione della superiorità della matematica tra le attività intellettuali, mai celata, gli creò ostilità. Anche allievi, pur riconoscendo doti e meriti, lo criticarono o se ne allontanarono.

Grandi era ormai il maggior matematico del Granducato, ma fu osteggiato dal matematico Alessandro Marchetti, cattedrato a Pisa.Egli criticò in pubblico la Quadratura, e tra i due seguirono parecchie critiche e controcritiche, che si protrassero nel corso degli anni.
Con la De infinitis infinitorum, et infinite parvorum ordinibus disquisitio geometrica (Pisis 1710) provò la realtà degli ordini di infiniti e infinitesimi. Il solo altro scritto edito da Grandi fu la soluzione di problemi meccanici di un "Prete Studiapesi canonico perugino. Nel 1714, morto Marchetti, ne prese la cattedra di matematica, che seguitò a insegnare anche nel monastero. Tenne la cattedra fino alla morte.

Ammesso nel 1705 nel Collegio fiorentino dei teologi, Grandi insegnò anche in teologia. Posto da Cosimo III a sovrintendere alle acque del Granducato, interventi e pareri gli tolsero tempo ed energie per la ricerca di base.
Grandi fu coinvolto nella questione del Reno nel 1716, quando fu nominato perito di parte pontificia in una visita alle acque del Ferrarese. Nel 1717 fu a Roma per discuterne i risultati; nel 1719 fu ancora perito pontificio in una nuova visita che, con intervalli, si protrasse fino al 1721 senza un accordo.

Nel 1718 publicò a Firenze tre volumi di “Opere di GalileoGalilei nobile fiorentino, primario filosofo, e matematico del serenissimo gran duca di Toscana”, opera che fondò l'immagine illuministica di Galileo.
Tra 1722 e 1723 ebbero anche avvio vicende che, se riproposero Grandi  al centro di dibattiti scientifici e culturali anche al di là delle Alpi, consolidarono i giudizi negativi di alcuni e gli procurarono amarezze. Dal 1729 Grandi viaggiò spesso come visitatore.
Secondo gli storici Grandi produsse anche un certo numero di testi falsi: in particolare è certo che attorno al 1730 egli produsse falsi sofisticati, su temi diversi: un fatto con pochi analoghi nella cultura italiana per livello dell'autore, finezza di esecuzione, effetti.
Dal 1737 patì crescenti disturbi della memoria. Grandi regolò anche i rapporti con l'Ordine: lasciò il governo di San Michele, finanziò lavori nel monastero e destinò 2.700 scudi alla biblioteca, cui legò i propri libri e carte, ottenendo da Clemente XII di farla dipendere dall'università e affidandone la cura a un discepolo
Nel maggio del 1742 le sue condizioni di salute si aggravarono e il 26 giugno fu colto da "deliquio" nella chiesa del monastero; morì il 4 luglio. Fu sepolto nella stessa chiesa, dove gli fu eretta un'edicola sepolcrale con un busto in marmo e un'epigrafe.

Laura Bosio


 

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