Martedì, 07 maggio 2024 - ore 00.54

Dal liberalismo al liberismo, per arrivare al liberalismo del terzo millennio | Rosario Amico Roxas

| Scritto da Redazione
Dal liberalismo al liberismo, per arrivare al liberalismo del terzo millennio | Rosario Amico Roxas

Non concordo con quanti assimilano liberalismo con liberismo, come se si trattasse di parenti stretti, oppure di discendenza diretta. Il liberalismo si è nutrito di capitalismo, ma nel rispetto delle regole, quando la società civile meritava di essere identificata come “civile”.

L’antitesi tra liberalismo e liberismo non nasce in epoca remota, ma si è accentuata con la disgregazione dell’ideale liberale, quando le differenze si fecero tali da porre i loro contenuti in antitesi fra di loro.

Il liberalismo educa gli uomini perché insegna loro ad auto realizzarsi, perchè l'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede; nel liberalismo è nucleo centrale la meritocrazia che risulta strettamente connessa a un'economia di mercato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto dal neo-liberismo targato Berlusconi.

Fu Benedetto Croce ad avviare un dibattito tra liberalismo e liberismo, allo scopo di  differenziare le libertà economiche dalle libertà civili, attribuendo alle seconde un rango nettamente superiore alle prime. La distinzione iniziale fu di carattere culturale, ma con dichiarata supremazia delle libertà civili, nel rispetto dell’altrui libertà che non deve essere sopraffatta in nome del mercato.

Qui si evidenziano talune differenze tra Croce ed Einaudi, ma nessuno dei due avrebbe nemmeno immaginato di veder mortificato l’ideale liberale come è accaduto con la “discesa” in politica  (il termine, usato dallo stesso Berlusconi, è proprio quello esatto, perchè mai, pur nella millenaria storia di Roma, la politica è scesa così in basso, al punto da dover ricorrere a Caligola per trovare un parallelo credibile)  di Berlusconi; fin dall’inizio del suo governo venne descritto come liberismo, volendo utilizzare un termine che è diventato dispregiativo e, per questo, antitetico al liberalismo.

Il liberalismo perse così i suoi contorni, fagocitato dal nuovo liberismo berlusconiano che fece scempio della libertà individuale e del rispetto delle altrui libertà, per dare spazio alla legge del più forte, del  meno dotato di scrupoli, con lo stimolo all’evasione fiscale, con l’abolizione del reato di falso in bilancio, con le turbative d’asta diventate metodo di attribuzione. La Stato promise  (e mantenne la promessa) il suo disinteressamento, per lasciare libero il mercato di regolamentarsi da solo, ma fece di più per incoraggiare tutto ciò che uno Stato democratico avrebbe identificato come reato penale: il liberismo berlusconiano  ha provveduto a tranquillizzare i suoi sostenitori, inventando sanatorie l’una dopo l’altra, condoni che premiavano gli evasori e punivano i redditi dipendenti, costretti a pagare alla fonte; quindi il massimo con lo scudo fiscale che permise il rientro dei capitali frutto di evasione fiscale e dei movimenti economici  che hanno dilatato a dismisura il debito pubblico, garantendo il diritto all’anonimato ottenendo in cambio la gratitudine (e la protezione) di tutte le mafie, anche quelle rinnovate con i colletti bianchi.

Liberismo assume oggi una valenza dispregiativa, che ai veri liberali ortodossi e proiettati verso “un liberalismo del terzo millennio”, non conviene nemmeno ricordare.

Oggi l’Italia intera è chiamata a pagare gli errori commessi in mala fede, che hanno arricchito pochi e depauperato la stragrande maggioranza del paese.

Il liberalismo può ancora partecipare, a pieno diritto, ad un nuovo risorgimento economico, politico, sociale ed etico, ma deve dialogare con le parti che fin ora sono state identificate come avversari, per promuovere una sempiterna “lotta di classe” a vantaggio della classe più opulenta.

Con la fine di Berlusconi, finisce il liberismo di mercato, dello Stato disattento, dei condoni e delle sanatorie, nonché delle leggi ad personam; finisce, praticamente “il capitalismo liberista” che dovrebbe poter essere sostituito dal “capitalismo sociale” che nasce dall’incontro (e non più dallo scontro)   del capitale-denaro con il capitale-lavoro, disposti, entrambi paritariamente, a collaborare nella solidarietà sociale.

 

Rosario Amico Roxas

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