Martedì, 14 maggio 2024 - ore 21.16

Dimissioni di Marino Come mai siamo arrivati a tutto questo? Di Vincenzo Montuori

Marino è stato catapultato a Roma. Un sindaco che appariva un corpo estraneo rispetto alla città e, aggiungendo errori a errori, quando, per riparare al disastro di Mafia Capitale, si è azzerata la giunta e sono stati chiamati a fare gli assessori personaggi esterni, direttamente dal Parlamento, che nulla conoscono della situazione della città

| Scritto da Redazione
Dimissioni di Marino Come mai siamo arrivati a tutto questo? Di Vincenzo Montuori

Egregio direttore, la vicenda delle dimissioni del sindaco Marino a Roma pone in luce, a mio avviso, un problema di fondo che attraversa da anni la politica italiana e che merita qualche riflessione: si tratta del rapporto tra quadri nazionali dei partiti e i loro amministratori locali sul territorio (consiglieri regionali, sindaci, assessori). La questione riguarda non solo il Pd, il più grande partito italiano, ma anche tutti i principali partiti presenti in Parlamento; e ciò al netto delle colpe personali di Marino e del modo in cui il Pd cercherà di parare il colpo, sapendo benissimo che, all’orizzonte dei prossimi mesi, sia la destra di Meloni e di Salvini che il Movimento5 Stelle cercheranno di scalzare il partito dal governo di Roma, approfittando del marasma in cui esso versa e delle risultanze delle indagini sulla vicenda ‘Mafia Capitale’ che sono appena all’inizio. La domanda da farsi, secondo me, è: come mai siamo arrivati a tutto questo? Il problema di fondo è che non esiste più, da anni, un rapporto corretto e virtuoso tra i partiti sul territorio e le loro rappresentanze nazionali, quel problema emerso alla fine della prima repubblica, all’inizio degli anni Novanta, nei confronti del quale una prima risposta era stata, anni fa, la stagione dei ‘sindaci’. Se riflettiamo sull’esperienza amministrativa di alcuni sindaci di quella stagione, come Rutelli e Veltroni a Roma o Bassolino a Napoli, vediamo che si trattava di sindaci che avevano fatto carriera nelle istituzioni locali e che, a mano a mano, avevano acquisito visibilità, aldilà dei risultati ottenuti come sindaci; e ciò perché il sistema dei partiti, prima di ingaggiare un uomo politico a livello nazionale, lo ‘testava’ a livello locale; e ciò consentiva, in qualche modo, una selezione dei quadri: ricordo l’iter di Bassolino che, da responsabile della federazione napoletana del Pci, aveva fatto carriera per diventare uno dei sindaci più significativi dell’epoca, prima di diventare governatore della Campania e iniziare la sua parabola discendente, preso dalla bulimia del potere. Ma la considerazione si potrebbe ripetere per altri numerosi casi che dimostrano come un sindaco riesce bene laddove conosce il territorio in cui opera anche se vi ritorna dopo anni e anni di impegni nazionali: è il caso di Piero Fassino a Torino. La gestione del Comune di Roma è stata condotta fin dall’inizio o nella dimensione di una tribalizzazione neofeudale per bande (vedi la stagione del sindaco Alemanno) o a livello di sovraesposizione mediatica, come nel caso della giunta Marino, catapultando a Roma un sindaco che appariva un corpo estraneo rispetto alla città e, aggiungendo errori a errori, quando, per riparare al disastro di Mafia Capitale, si è azzerata la giunta e sono stati chiamati a fare gli assessori personaggi esterni, direttamente dal Parlamento, che nulla conoscono della situazione di Roma: un errore che ha condotto la città al punto in cui si trova oggi, invece di riorganizzare il territorio ed educare una nuova classe dirigente (e qui la responsabilità maggiore è del Pd). Stessa cosa si potrebbe dire di Napoli dove si è insediato un sindaco ex magistrato come De Magistris il quale, digiuno di politica, ha instaurato in città un clima da ‘rivolta permanente’ che ricorda per certi aspetti la stagione secentesca di Masaniello. La politica-spettacolo, insomma, richiede nomi e personaggi spendibili subito sul palcoscenico nazionale, anche a costo di promuovere figure dal dubbio profilo giudiziario come il governatore campano De Luca. Questo è lo stato dell’arte; e questo è il motivo per cui personalità di rilievo come Pisapia a Milano stanno bene attenti a non farsi coinvolgere nella trottola delle prossime candidature. Insomma, o i partiti della maggioranza di governo ricominciano a qualificare i quadri dai territori oppure la gestione della politica locale, e, prima o poi, (gli italiani ci hanno messo vent’anni a non fidarsi di Berlusconi ma alla fine lo hanno fatto) di quella nazionale, diventerà appannaggio delle forze radicali che curano quotidianamente i rapporti con i territori, siano la Lega o Fratelli d’Italia o il Movimento 5 Stelle.

Vincenzo Montuori (Cremona)

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