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Distacco dei cittadini dalla politica. Colpa dei partiti di plastica di Evelino Abeni (Cremona)

I fan di Renzi sono orgogliosi, comprensibilmente, del 40,8 ottenuto dal Partito Democratico alle recenti europee; meriterebbe considerazione, però, il fatto che i voti realmente conseguiti sono circa un milione e mezzo in meno di quelli ottenuti dal Pci nelle politiche del 1976, con la percentuale del 34,4.

| Scritto da Redazione
Distacco dei cittadini dalla politica. Colpa dei partiti di plastica di Evelino Abeni (Cremona)

Signor direttore, in questi tempi dominati, purtroppo, dagli scenari tragici a livello internazionale, passano (comprensibilmente) in secondo piano quelli della politica italiana, non poco intrisi di miserie di vario genere. Rimane, e si aggrava, il quadro di degrado che la sta segnando e i cui sbocchi appaiono, a mio parere, sempre più preoccupanti ed incerti. Un quadro il cui connotato esemplare è rappresentato dallo scollamento fra istituzioni, partiti e cittadini (opinione pubblica). Scollamento che vede una delle più evidenti, plastiche espressioni nell’astensionismo elettorale, segnalato anche dalla ridotta partecipazione alle recenti elezioni primarie (esperienza che pare già in crisi). Per chi, come me, ha sulle spalle decenni di militanza politica, viene spontanea la ricerca di confronti con il passato, soprattutto riguardo al vissuto nella cosiddetta Prima Repubblica.

Ma, su questo piano, bisogna essere molto attenti a non farsi catturare da nostalgie che — se possono apparire gratificanti riandando con il pensiero a tempi in cui si era più giovani e vitali —possono portare a visioni superficiali quando non distorte rispetto alla realtà di quei tempi. Deve, dunque, porsi la domanda: i fenomeni negativi presenti nell’attuale situazione politica sono nuovi rispetto ad un passato meno recente? Oppure si trovano tracce di essi anche nella Prima Repubblica? A parer mio, il confronto con quel tempo non induce a troppo ottimistiche considerazioni: carenze, difetti, errori, gravi fatti di corruttela, malcostume, trasformismi erano ben presenti.

D’altra parte, se nella mia ormai lunga personale esperienza politica ho dedicato la stragrande parte del mio tempo e delle mie energie nelle battaglie politiche di opposizione, significa che ero tutt’altro che soddisfatto di quelle situazioni. Chi avesse dubbi sul confronto con quel periodo storico potrebbe documentarsi leggendo l’interessantissimo libro di Guido Crainz, ‘Storia della Repubblica’ edito da Donzelli, che documenta puntigliosamente fatti, situazioni che delineano scenari non propriamente splendidi. Certo, riflessioni potrebbero farsi sulla diversa dimensione e qualità dei fenomeni, che mi paiono peggiorati, pur a confronto di una Prima Repubblica che ha prodotto Tangentopoli. Ma ciò richiederebbe troppo spazio per delineare confronti. Voglio prendere in considerazione almeno, però, l’astensionismo elettorale, misuratore fondamentale della disaffezione verso la politica. Nel 1979 si paventava il manifestarsi dell’antipolitica perché la percentuale dei votanti alle elezioni politiche era scesa del 3% (restando di pochissimo sopra il 90%!) e più preoccupati ancora perché, un anno dopo, alle regionali era scesa, per la prima volta, al di sotto del 90%. Però, ancora nelle politiche del 1992, la percentuale dei votanti era dell’87,2%. Si faccia il confronto con gli sconfortanti dati odierni (i fan di Renzi sono orgogliosi, comprensibilmente, del 40,8 ottenuto dal Partito Democratico alle recenti europee; meriterebbe considerazione, però, il fatto che i voti realmente conseguiti sono circa un milione e mezzo in meno di quelli ottenuti dal Pci nelle politiche del 1976, con la percentuale del 34,4).

Cosa dimostra tutto ciò, a parer mio? Che le critiche, le contestazioni anche aspre nei confronti dei partiti sapevano o potevano convivere con una partecipazione, in taluni momenti anche intensa, alla vita politica ed istituzionale. Il malcontento veniva sostanzialmente ‘governato’ dai partiti, che erano in grado di fare da filtro rispetto alle tentazioni populiste. Questo grazie ad un radicamento che essi sapevano mantenere ancora nel territori. Ed anche in ragione di riferimenti ideali cui si ispiravano, pur se sovente scadenti in ideologismi schematici o eccessi di utopie. Uno scenario che è completamente saltato. Al radicamento sul territorio si sono sostituiti per lo più rissosi dibattiti televisivi ed una politica che appare sempre più di plastica ma duramente concreta nei suoi esiti. E vien da chiedersi, poi, se il superamento degli ideologismi dovesse comportare inevitabilmente l’abbandono di costruttive idealità. Quali rimedi possono essere messi in campo per affrontare la situazione? Non credo proprio che si rinvengano nelle riforme costituzionali che il governo intende attuare o in una legge elettorale sconcertante come quella approvata. Né mi paiono confortanti le immagini sempre più incombenti dell’uomo solo al comando e la crescente arroganza che si manifesta (non solo da parte di chi governa). Penso che vi sia bisogno di rilanciare valori, ideali che — senza mutuare da tragiche esperienze del passato — non siano destinati semplicemente a consumarsi nella quotidianità, ma sappiano delineare scenari rassicuranti per il futuro, mettendo in campo finalmente un’idea di società (problema non affrontato come si conviene neppure a sinistra).

Evelino Abeni (Cremona) 

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