Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 13.35

La fabbrica,le caramelle e la Giusi

| Scritto da Redazione
La fabbrica,le caramelle e la Giusi

G.C.Storti.La fabbrica,le caramelle e la Giusi
Gli esami di stato terminarono a fine luglio del ‘ 70 ed ai primi di novembre eravamo già in fabbrica. Io alla Sperlari di Cremona, Gigi all’Alfa Romeo di Milano.
Come perito industriale mi fu assegnato il compito di tempista. Dopo un breve corso di tre giorni, sull’uso del cronometro , sulle lavorazioni e sulle modalità di rlevare i tempi, fui mandato nel primo reparto.
Il tempista era odiato dagli operai. Nel corso ci avevano detto che quando segnavamo i tempi di fronte ai lavorartori dovevano  segnare a fianco, nella apposita tabella,  fare la stima e togliere  dal  10 al 20% del tempo registrato in quanto gli operai  ritardavano appositamente le  lavorazioni.Noi studenti, provenienti dal movimento studentesco, avevamo una venerazioni per gli operai, per “ la classe”, come allora si diceva. Gli operai, con le loro lotte,  erano la spina dorsale della sinistra comunista e quindi di per sé andavano venerati e stimati.Era quello il mio primo lavoro e quindi avrei dovuto sentirmi  orgoglioso, invece mi vergognavo del ruolo che mi era stato  assegnato: appunto  quello di fare il tempista
L’immagine del reparto fu grandiosa. Almeno una  ventina  fra donne e ragazze sulla linea di imballaggio delle caramelle.
Il capo mi fece percorrere, al suo fianco, la linea, con stile militare, almeno due-tre volte. Mentre ascoltavo il capo il mio viso guardava leggermente  dall’altro il basso il viso di quelle donne e di quelle ragazze.
Le loro facce mi sflilavano davanti come delle diapositive in rapida successione. Del viso mi rimaneva impresso solo il colore dei capelli, la forma , a volte il naso  quella delle labbra con l’aggiunta di  eventuali segni particolari o smorfie.
Avrei dovuto passare in quel reparto almeno una settimana per rilevare i relativi tempi di lavoro.
Tutte erano vestite con un grembiule  bianco  abbottonato sul davanti.
Come nel vecchio film di Ciaplin facevano movimenti limitati e brevi. Si giravano verso destra, rispetto al nastro, per raccogliere su un tavolo, posto di lato le scatole delle caramelle che riponevano ritmicamente. La collega, con  una paletta a misura , raccolglieva le caramelle e le riponeva nalla scatola. L’altra chiudeva la scatola, in genere un cofanetto di metallo variamente colorato e dipinto, riponendola sul nastro fino a chi la prendeva per deporla nello scatolone.
Io dovevo misurare in quanto  tempo confezionavano un quintale di caramelle e prendere i tempi di ogni singola operazione. Si  chiamava lavoro di micro-organizzazione. In rapporo ai tempi rilevati i sindacati poi contrattavano il cottimo, cioè una quantità di danaro aggiuntivo in rapporto alla produzione.
Durante questo lavoro, oltre che misurare i tempi , dovevamo individuare correzzioni da proporre per la disposizione delle scatole, i movimenti delle braccia, delle mani ecc.
Quando il capo mi lasciò solo cominciai  il lavoro.
Il lavoro era organizzato sulle otto ore al giorno. Quattro al mattino ( dalle 8 alle 12) e altrettante  al pomeriggio ( dalle 14 alle 18). Durante la pausa o si andava alla mensa aziendale, poco distante , o a casa o in libertà dove si voleva.
Sul turno delle  quattro ore era prevista una pausa ,ogni due ore, di dieci minuti per i bisogni fisiologici ( ed una sigaretta…allora si fumava molto).
Se quindi le ragazze dovevano stare  bloccate alla linea per due ore consecutive, io per due ore dovevo, con la tabella , il  cronometro e la biro  andare su  da un lato e giù dall’altro della linea.
Nel mio camice  grigio iniziai così il  lavoro di controllo . Le ragazze, per la verità le operaie, erano disposte dieci da una parte della linea, che assomigliava ad un lungo tavolo di lavoro, e dieci dalla parte opposta. Erano perfettamente allineate in modo tale che a me, che andavo su e giù da una parte all’altra , quando vedevo  il dietro della persona in piedi  non potevo notare  il viso della ragazza di rimpetto perfettamente allineata. Vedevo cioè  o il loro viso e  l’intero busto o l’intero posteriore della persona.
La capo linea girava anchessa in modo , apparentemente molto disordinato, da una parte  all’altra della linea intervenendo qua e là ad aggiustare, sistemare, rimproverare, gratificare ecc.
Dovevo stare serio  ma l’intera scena era molto buffa.
Vedevo la faccia di una con le sue smorfie e la gamba della sua ridimpettaia alzarsi per grattarsi l’altra.
Vedevi di lato due, tre, quattro gambe alla volta che si grattavano l’altra lascinado la ciabatta o lo zoccolo in terra.
Alla sera del primo giorno le sapevo riconosere tutte, per nome, dal dietro.
Non potevo sorridere apertamente, ma i miei occhi lo davano a vedere. Così mi dissero   poi.
Il pomeriggio e la mattina successiva lavorai con intensità. Al terzo giorno dovevo infatti andare in direzione con il primo resoconto.
Quel mezzogiorno pioveva. Non avevo l’ombrello. Arrivai al Cavallino con qualche minuto di ritardo.
In saletta oltre a me ed alla Giusi c’erano 40/50 persone della Sperlari. La Giusi era seduta in un tavolo a sei. Un posto era libero. Con un cenno mi indicò il posto. Agli altri mi presentò con il “ nuovo tempista” , il bello disse. Arrosii !! ….Salutai con un cenno della mano e con un ciao.
Non ordinammo, mangiammo quella che era già predisposto. Mentre si inforcava la pastasciutta, maccheroni buonissimi al ragù di fegatini di pollo,  mi fissava con i suoi occhi.
Capii solo allora che aveva 10 anni più di me.
Non portava la fede. Tutti la salutavano scherzosamente e le chiedevano della  bambina.  Lei aveva preso sul serio il mio invito. Fra il primo ed il secondo scambiammo due battute sul reparto. Il tono era scherzoso. Dopo il caffè uscimmo sotto il porticato della trattoria a fumare una sigaretta. Mi disse subito che non era sposata e che a casa aveva una bambina di dieci anni e che non mi poteva prendere sul serio.
All’uscita delle 18 aveva smesso di piovere. Inforcai la mia vespa 125  e presi la stada del bar di piazza S.Paolo.
La rividi la mattina in fabbrica. Durante la pausa per il caffè parlai con  la Nerella al mattivo ed al pomeriggio con la capa.
La  sera mi fermai vicino alla casa della Giusi.  Si fermò al mio cenno di saluto. La invitai subito fuori per una  cena in pizzeria. Mi indicò il venerdì sera, alle 19.30, presso la pizzeria Marechiaro.
Con alcuni amici  , una decina, da un paio d’anni, avevamo preso in affitto, in Via Brescia, due stanze nei vecchi stabili a ringhiera. Alle stanze era assegnato anche un bagno esterno sulla loggia.
Erano stanze che ci servivano sia per fare riunioni politiche che incontri privati o festine.  Erano addobbate con dei manifesti sia politici che di cantanti, films, pubblicitari ecc. L’arredo era semplice. Delle turche predisposte da  divano, delle stuoie sul pavimento e molti molti cuscini di diverse dimensioni. Non vi era un colore prevalente, ma macchie di colore.  Le luce, si dicevano psichedeliche, era collegate al giradischi ed cambiavano intensità in rapporto al tipo di musica ed al volume utilizzato. La raccolta dei dischi era la più varia. Essenzialmente erano disponibili dei 45 giri. Da quelli di grido, a tutti gli altri. Ognuno ne portava  e li lasciava. Un tavolino, un fornello a gas ed un piccolo frigorifero completavano l’arredo delle due stanza. Dappertutto molti pasacenere, per lo più pieni di mozzicone. La pulizia  dei  locali veniva fatta saltuariamente e da chi  utilizzava le stanze. La prenotazione delle stanze per incontri prevedeva il versamento di un contributo…per le spese.
Avvertii i ragazzi di lasciarmi libere le stanze per la domenica.
La mattina  feci un salto a pulire. L’ambiente puzzava all’inverosile  di fumo. Aprii le finestre, svuotai i posaceneri pieni, scopai anche  i tappeti sul pavimento alla meglio, feci  la polvere, sistemai i divani, scelsi i primi dischi, misi in frigorifero un paio di bottigliette di coca, due aranciate, una bottiglia di pinot,una decina di pasticcini. Recuperai dei bastoncini aromatici di incenso ed aromi vari , chiusi le finestre e la porta e  me ne andai a casa  per una doccia e per il pranzo. Quella domenica mattina piovigginava un poco. L’appuntamento con la Giusi era alle 14.30 a casa sua.
 
Mi vestii con i soliti jeans blu, una camicia chiara, un maglioncino ed un giubbotto di pelle alla moda…..Non mancava però il distintivo: la stella rossa.!
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Il giorno dopo tutto tranquillo. Il lavoro scorreva liscio.  Con Giusi pochi sguardi ed un solo sorriso. Eravamo stati bene. Verso sera ci mettemmo d’accordo ancora per la domenica pomeriggio.
L’indomani l’assemblea sindacale decise gli scioperi per fa assumere gli stagionali. Io ero uno di loro.
Organizzammo tre o quattro giorni di sciopero ed  una manifestazione in città.
Il reparto delle caramelle era molto combattivo e partecipò sempre compatto agli scioperi ed alle manifestazioni.
Alla fine i  giovani tecnici ed operai furono  assunti in 40 su 80. Ottimo risultato. Io  fui assunto.
Vidi la Giusi ancora  per tre o quattro volte finchè mi disse che aveva trovato il padre per sua figlia e quindi non potevamo più vederci.
Finì i tutto con grande normalità. Le regalai un piccolo orologio da borsetta. Ci salutammo con grandi  sorrisi per anni. Il reparto non seppe mai nulla. O così mi è parso.
 
Gian Carlo Storti
storti@welfareitalia.it
 
n.b. La situazione è reale, i personaggi  “ romanzati”
 
1970 la fabbrica-giusi e le caramelle

 

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