In ricordo di Aldo Moro. Un prigionia lunga 55 giorni | G.C.Storti
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro è sequestrato dalle Br. Nei 55 giorni di sequestro, Craxi guida il fronte della trattativa per liberare il presidente della Dc.
Il 15 aprile i brigatisti annunciano la condanna a morte di Moro. Craxi si mostra disposto a dialogare e rompe la linea della fermezza.
In un incontro con Zaccagnini, il 26 aprile, il leader socialista suggerisce di graziare tre terroristi non condannati per reati di sangue e di abolire le carceri speciali.
Una “ renault rossa” è trovata in Via Caetani , a Roma, con dentro il corpo d’Aldo Moro. E’ il 9 maggio. Siamo al culmine della stagione terroristica.
--------------------
Il ricordo di quei giorni di Gian Carlo Storti
E’ stato quello, per noi militanti il periodo più duro. All’inizio della vicenda terrorismo, agli occhi della gente comune le Brigate Rosse, per loro autodefinizione, comunisti combattenti, erano, si presentavano come una costola del Pci.
Questa cosa te la sentivi addosso. Ci volle qualche mese per ribaltare la situazione. Lo spartiacque fu l’uccisione dell’operaio genovese Guido Rossa. I dubbi scomparvero sia all’interno del corpo attivo del Pci, circa l’impostazione teorica delle Br, fra la gente.
Durante questo periodo eravamo chiamati a vigilare le sedi. Ad ospitare, la notte, dirigenti comunisti nelle nostre case.
Noi, del gruppo dirigente ristretto, sentivamo il peso forte di questa situazione. Anche i nostri rapporti di gruppo erano o stavano cambiando. Non più incontri con tanti amici dove si cantava e ci si divertiva con qualche fetta di salame, pane e vino bianco. Il clima di pesantezza selezionava gli amici, qualcuno si era sposato ed aveva avuto figli. L’ebbrezza del triennio 74-75-76 era ormai lontana.
Quei mesi furono davvero duri.
Sentii del rapimento di Moro alla radio, mentre in auto andavo al lavoro alla federazione del PCI.
Quella mattina si doveva votare in Parlamento il primo governo della Repubblica con l’astensione del PCI. Il compromesso storico propugnato da qualche anno da Enrico Berlinguer stava diventando fatto politico ed avvicinava i comunisti al governo del paese.
Anche Moro, in quei mesi, dovette superare molte resistenze, ma con il segretario nazionale della DC Zaccagnini aveva preparato la svolta.
La stragrande maggioranza del corpo politico del PCI Cremonese aveva condiviso la svolta, anche se la “sinistra” era critica e fermamente contraria. In effetti, le correnti erano tre.
La Berlingueriana che puntava direttamente al compromesso storico con il mondo cattolico e quindi la Democrazia Cristiana ed in qualche modo emarginando i socialisti. Quella che allora si chiamava “riformista” che invece era critica e puntava invece ad un rapporto privilegiato con il mondo socialista per puntare alla costruzione di una gran forza socialdemocratica di tipo nord-europeo. Questa “corrente” non molto appariscente vedeva in Lombardia come capofila Riccardo Terzi allora segretario della Federazione Milanese del PCI.
Infine la “ sinistra” che a Cremona era guidata da Arnaldo Bera che si caratterizzava sul piano internazionale per un’acritica adesione al sistema socialista “realizzato” e sul piano interno riteneva che il PCI dovesse rimanere all’opposizione. Questo gruppo, particolarmente attivo, rivendicava il collegamento con quella parte del PC I che alla fine della resistenza aveva posto il problema di costruire da subito lo stato socialista. Il capo nazionale era Secchia molto legato ad Arnaldo Bera, che divenne, il suo esecutore
Tornando alla notizia del rapimento. Evelino Abeni, allora segretario del PCI Cremonese, riunì subito l’apparato ed i compagni che via stava arrivando.
Era tutto molto chiaro l’attacco delle brigate rosse voleva impedire la formazione del governo del compromesso storico e bloccare quel processo.
Anche il che fare era molto chiaro.
Da Roma arrivò la notizia che il parlamento avrebbe in ogni modo votato la fiducia al governo di Giulio Andreotti.
Era necessaria una mobilitazione generale unitaria di tutto il paese per isolare e sconfiggere il terrorismo.
Alle 13 del mattino organizzammo il primo volantinaggio davanti alle scuole in Via Palestro. Il sindacato si mobilitò con tutte le sue forze.
Le parole d’ordine furono unità e no alla trattativa.
Su questo ragionamento si organizzarono decine e decine d’assemblee in ogni località per raccogliere adesione e per isolare sia le posizioni che volevano aprire la trattativa che quelle critiche alla linea politica del compromesso storico.
Dopo pochi giorni si organizzò una gran manifestazione unitaria di tutto l’arco costituzionale (credo che il Movimento Sociale non partecipò). Anche visivamente la manifestazione doveva apparire unitaria. Si distribuirono, con difficoltà a piazzarle, molte bandiere tricolori. Il quadro attivo di base faceva ancora fatica a capire che il tricolore doveva ritornare ad essere anche la nostra bandiera.
Quei mesi passarono fra ansie e speranze. Il gruppo dirigente locale del PCI aveva la sensazione netta della partita che si stava giocando. Non fece fra noi breccia l’idea della trattativa, ma con convinzione, fino all’ultimo, abbiamo sperato che lo Stato sarebbe stato in grado di liberare questo grande statista.
Purtroppo non fu così. Il corpo di Moro fu simbolicamente fatto ritrovare in una Renale 4 rossa ed in una strada molto vicina alla sede del PCI di Via Botteghe Oscure.
Sul piano umano quell’esperienza mi motivò ancor di più a fare politica ed ad impegnarmi, con spirito di servizio, per capire e risolvere i problemi delle persone che volevamo rappresentare.
Sul piano politico, quando vidi il corpo di Moro, tentennai se era giusto o non anteporre gli interessi generali dello Stato a quelli di una singola vita. Ma non aderii alla componente “riformista” e seguii l’evoluzione del pensiero Berlingueriano.
Bettino Craxi trovò in quei giorni la strada per rilanciare l’azione del suo partito socialista. Percorso che fini, qualche anno dopo, con il lancio di monetine in una strada romana.
Ma questo è un altro discorso.
Gian Carlo Storti
Cremona 16 marzo 2008.
Su Aldo Moro leggi anche qui
Aldo Moro: 36 ° anniversario del rapimento e della strage di via Fani