Venerdì, 03 maggio 2024 - ore 22.20

Lavoro, Agostinelli e Ravasio su Renzi: ‘Fermiamolo!’

Pubblichiamo in forma integrale il comunicato di Mario Agostinelli e Bruno Ravasio riguardo al grande disagio che si registra nel mondo sindacale

| Scritto da Redazione
Lavoro, Agostinelli e Ravasio su Renzi: ‘Fermiamolo!’

Fino all’attacco all’Articolo 18 e agli insulti, non certo rivolti solo ai dirigenti della Cgil (sotto tiro sono soprattutto i lavoratori organizzati, colpevoli di essere “garantiti”!), la deviazione autoritaria imposta da Renzi, appariva una forzatura presuntuosa per riallineare il Paese ai canoni del decisionismo liberista. Ora è più evidente che nella strategia concordata con Berlusconi si configura un attacco specifico alla democrazia economico sociale in ogni suo punto. La nostra passata esperienza sindacale ci aveva da subito avvertito che depotenziare e screditare a colpi di annunci il lavoro – dotato dalla Costituzione non solo di diritti, ma anche di poteri – significava non prendere di petto le cause vere della crisi e cercare di affrontarla a dispetto dell’uguaglianza e della stessa libertà.

Ma questa volta l’ex-sindaco di Firenze è andato oltre ogni limite. Toccare la carne viva e la dignità del corpo sociale, in sintonia con quelle forze di destra che ora si ritrovano entusiaste nelle parole del presidente e che hanno sempre accusato il sindacato, e la Cgil in primo luogo, di opporsi alle “moderne” flessibilità, rende provocatoria e insopportabile la domanda, rivolta anche a noi: «Dove eravate?».

Soprattutto perché i più strenui oppositori delle libertà nei luoghi di lavoro e della democrazia nelle fabbriche e negli uffici hanno sempre cercato di attribuire l’aggravarsi della crisi e della disoccupazione all’autonomia del sindacato, sottraendosi alle proprie responsabilità.

Chi vuole rottamare l’Articolo 18 in nome dei giovani senza lavoro – che non sanno cosa siano gli 80 euro e che, se dovessero trovare un lavoro, oltre i tre anni di contratto a termine senza causale, non avrebbero comunque la certezza di un futuro – deve sapere che ci sono molte persone che hanno scelto l’impegno sindacale senza altro privilegio che il consenso e la stima di quelli che hanno rappresentato. Che hanno provato, dopo essere stati eletti democraticamente e aver fatto esperienza di centinaia di assemblee conquistate con lo Statuto, a difendere al meglio la dignità di chi lavora, anche laddove, senza Articolo 18, molto più difficile è la presenza sindacale e molto più facile il ricatto e il non rispetto dei diritti.

Queste persone si sentono ora insultate da chi non ha mai lavorato in vita sua, se non brevemente e con una strana qualifica di “dirigente” nell’azienda di famiglia senza dipendenti fissi e, quindi, senza ombra di Llegge 300 da conoscere e applicare. Da chi, oltretutto, in nome dell’antipolitica, ha sempre fatto politica nei partiti fin da giovanissimo, magari giovandosi del “distacco”, che proprio scioperi e lotte hanno legittimato.

Il problema è che questa deriva autoritaria e strafottente ha già fatto scuola, si è già trasferita dal centro alla periferia: sappiamo di atteggiamenti che copiano lo “stile renziano” e che si diffondono nelle aziende, con giovani capetti che insultano e umiliano lavoratori più anziani, padri di famiglia. E la frase irridente «Ce ne faremo una ragione», ripresa non a caso da Marchionne, sta intorbidando le relazioni sindacali in molte aziende.

Il disegno ha una sua chiarezza complessiva: togliere rappresentanza al sindacato e umiliarlo, come si è fatto con il Senato e si farà poi con la Camera dei Deputati, mera esecutrice dei decreti e disegni di legge del Governo. Il video di insulti alla Cgil è solo l’ultimo atto di una involuzione che transita dai diritti civili a quelli sociali. È un disegno che si fa forte del patto del Nazareno: ma neppure Berlusconi era arrivato a tanto.

Non si sottovaluti la strategia di Renzi! Lo fermino la Cgil e i sindacati confederali, fin qui troppo timidi nel contrastare atti che hanno già prodotto danni rilevanti. Lo fermi la Fiom di Landini, che ha una credibilità tale da non dover ricorrere a comportamenti tattici nei confronti del premier. Lo fermino, se possibile, i parlamentari, rappresentanti di una Costituzione di democrazia sociale. Anche quelli del PD, che sono stati eletti su un mandato che non prevede acquiescenza nè tantomeno complicità.

E fermiamolo anche noi, a suo tempo sindacalisti, ma ancora fieri di qualche nostra “ideologia”, difficile da rottamare a buon prezzo, perché la scuola dei lavoratori ci ha insegnato a non farci ingannare.

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