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Legge 194- In Lombardia il 66% dei ginecologi sono obiettori. Troppo poco utilizzata la Ru486

La presenza di medici ginecologi obiettori resta quasi invariata. Nel 2018 erano il 65%, a fronte del 66% del 2017. In ben 2 ospedali, Iseo e Chiavenna sono la totalità. In tre, Desio, Treviglio e Gavardo, sono oltre il 90%, in 10 sono oltre l’80%. Solo in 11 (di cui tre a Milano, San Carlo, Sacco e Buzzi) sono sotto il 50%.

| Scritto da Redazione
Legge 194-  In Lombardia il 66% dei ginecologi sono obiettori.  Troppo poco utilizzata la Ru486

Legge 194-  In Lombardia il 66% dei ginecologi sono obiettori.  Troppo poco utilizzata la Ru486 

In Lombardia il 66% dei ginecologi sono obiettori, mentre la Ru486  resta troppo poco utilizzata.  Questi i dati, in linea con  quelli degli anni precedenti, emersi dall’indagine condotta,  come ogni anno, in ogni presidio della Lombardia dal gruppo regionale del Partito democratico e presentati oggi in una conferenza stampa  a palazzo Pirelli. Nel 2018 le interruzioni di gravidanza sono state   12.240, nei primi sei mesi del 2019 5897, il che significa  che a fine anno saranno poco meno  dell’anno precedente. “Un dato positivo- commenta la consigliera regionale  del Pd, Paola Bocci, promotrice dell’inchiesta- che sta a significare che, a 40 anni di distanza, la legge 194 è ancora efficace e capace di raggiungere l’obiettivo che si era data, ossia ridurre  drasticamente il ricorso all’aborto”.

 A restare troppo alta è la percentuale degli obiettori di coscienza.

La presenza di medici ginecologi obiettori resta quasi invariata. Nel 2018 erano il 65%, a fronte del  66% del 2017.  In ben 2 ospedali,  Iseo e Chiavenna sono la totalità.  In tre, Desio, Treviglio e Gavardo, sono oltre il 90%, in 10 sono oltre l’80%. Solo in 11  (di cui tre a Milano, San Carlo, Sacco e Buzzi) sono sotto il 50%.

In 7 strutture  su 62 (il 10 %) le ivg sono pari a zero (Vaprio d’Adda, Melzo, Iseo, Sondalo, Chiavenna, Gardone val Trompia, Mortara).  Questo, nonostante la legge 194, all’articolo 9,  afferma che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare gli interventi di interruzione della gravidanza richiesti…”.

I numeri sono ancora più sconfortanti se si guarda all’utilizzo della Ru486, un metodo farmacologico autorizzato dall’Aifa già nel 2009. La Ru486 nei primi sei mesi del 2019 è  stata utilizzata solo  nel 13%  delle strutture, erano il 10% nel 2018 e l’8% nel 2017. E’ infatti al quattordicesimo posto fra le regioni italiane, ultima fra quelle del Nord  e dopo Calabria e Sicilia,  a fronte di un utilizzo del 43% in Liguria, del 42,5% in Piemonte, del 33 % in Emilia Romagna, del 29,45 in Puglia, del 28% in Toscana, del 21,2 % in Lazio, del 17, 6% in Calabria e del 17,4% in Sicilia, come  evidenzia la Relazione nazionale sulla 194 del 31 dicembre 2018.  Nei primi sei mesi del 2019 in Lombardia non era utilizzata in nessun modo in 26 strutture su 62,  un dato solo di poco superiore a quello del 2018 quando le strutture erano  32.

Questo, nonostante la legge 194  parli chiaro: “Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna …“ .

“Il luglio scorso- sottolinea Bocci- avevamo presentato una mozione, approvata in Consiglio,   in cui si chiedeva alla giunta di abolire l’obbligo dei 3 giorni di ricovero per la Ru486, come già fatto da altre regioni, obbligo che ne rendeva più difficile l’utilizzo  rispetto all’ivg chirurgica, praticata in day hospital. Grazie al nostro intervento dal 1 gennaio 2019  l’obbligo è stato abolito ma, nonostante questo, il metodo farmacologico resta residuale”.

Questo perché in Lombardia l’attesa fra certificazione  della gravidanza e intervento è maggiore a quella delle altre regioni (è al sedicesimo posto In Italia), il che significa che  passa troppo tempo fra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’Ivg  e questo fa scadere i termini (49 giorni) entro i quali è possibile utilizzare il farmaco. Nelle Regioni dove la Ru486 è più utilizzata l’attesa è inferiore ai 14 giorni.

“L’attesa- commenta Bocci- è determinata dalla mancanza di attenzione per un intervento che deve rispettare tempi precisi, mentre  è considerato alla stregua di interventi di routine eseguiti in day hospital.”

Altro ostacolo all’utilizzo della Ru486 è l’informazione. “Per questo- sottolinea Bocci- chiederemo che  nel colloquio  iniziale pre intervento, sia in consultorio che in ospedale, le donne siano informate della possibilità di utilizzare la RU486, cosa che ad oggi non sempre accade e che sia lanciata una campagna informativa su un metodo meno invasivo che – evitando una anestesia generale - garantisce maggiore tutela della salute fisica e psichica della donna”.

Dare piena applicazione alla legge 194 non significa solo garantire il il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza ma anche e soprattutto promuovere la prevenzione."Per fare questo- conclude Bocci- sarebbe  utile, sull’esempio di quanto già fa l’Emilia Romagna, offrire nei consultori contraccettivi gratis ai ragazzi under 26.  Come peraltro proponeva  un nostro ordine del giorno, approvato dal Consiglio ma che non ha ancora trovato piena attuazione. Utile, inoltre l’erogazione gratuita dei contraccettivi – ormonali, impianti sottocutanei, dispositivi intrauterini, contraccezione d’emergenza e preservativi femminili e maschili – nei servizi consultoriali alle donne e  agli uomini di età inferiore ai 26 anni e alle donne di età compresa tra i 26 e i 45 anni  in disoccupazione o  cassa integrazione e  nei 24 mesi successivi a una interruzione volontaria di gravidanza per evitarne altre."

Milano, 16 settembre 2018

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