Sabato, 20 aprile 2024 - ore 09.14

Manovra, Confcommercio: contrastare effetti recessivi aumento IVA

| Scritto da Redazione
Manovra, Confcommercio: contrastare effetti recessivi aumento IVA

Con 30 miliardi di correzione lorda, di cui 17 di maggiori entrate e 13 di riduzioni di spesa, è del tutto evidente che il decreto “salva-Italia” presenta le caratteristiche di una manovra d’urgenza. Ci si è sforzati di perseguire rigore ed equità. Sul versante pensionistico, in particolare, attraverso l’affermazione del principio del contributivo pro-rata: questo il commento di Confcommercio-Imprese per l’Italia alle misure varate ieri dal Consiglio dei Ministri.

Ma gli interventi a supporto della crescita – pari a circa 10 miliardi e finalizzati, tra l’altro, a riduzione IRAP, a sostegni fiscali alla capitalizzazione delle imprese ed al potenziamento del fondo centrale di garanzia – vengono però contraddetti dalla riscrittura della “clausola di salvaguardia”. Ora, infatti, sono esclusivamente gli incrementi delle aliquote IVA, che, entrando in vigore a partire dal settembre del 2012, dovrebbero garantire, al 2014, 16 miliardi di maggiori entrate. Dopo l’aumento di un punto percentuale, nei mesi scorsi, è previsto un incremento dell’aliquota dal 21 al 23% e dal 10 all’11%.

“E’ una scelta pesante rispetto alla realtà di vendite al dettaglio  - commenta il presidente di Confcommercio Cremona Claudio Pugnoli -  già in affanno per il calo dei consumi e rispetto alla prospettiva, nel 2012, di una recessione dell’intera economia italiana. Ma anche perché colpirebbe particolarmente i livelli di reddito medio-bassi, innescherebbe inflazione, non gioverebbe al recupero di evasione IVA”.

Insomma, si è previsto che i risultati del riordino delle agevolazioni fiscali non rilevino più ai fini della clausola di salvaguardia, ma siano destinati al fondo per la famiglia. Ma le famiglie rischiano di pagare buona parte del conto degli aumenti IVA.

Tra l’altro, gli incrementi, fino a due punti e mezzo, dell’aliquota ridotta del 10% colpirebbero l’offerta turistica italiana, che, invece, andrebbe valorizzata proprio ai fini del rafforzamento delle prospettive di crescita del Paese.

“E’ fondamentale -  scrive in una nota la Confcommercio - che ora si faccia di tutto per scongiurare il ricorso ad ulteriori aumenti dell’imposizione sui consumi. Lo si può fare, anzitutto, rafforzando scelte strutturali di contenimento della spesa attraverso un tempestivo avanzamento della spending review, a partire dalla riduzione dei costi della politica e in tutte le grandi aree della spesa pubblica. Ma meriterebbe di essere considerata anche una più robusta tassazione dei capitali scudati ed andrebbe rapidamente definito l’accordo con la Svizzera per la tassazione dei capitali italiani depositati nelle banche elvetiche, alla stregua di quanto già fatto da Germania e Gran Bretagna.  Bisogna, in altri termini, fare di tutto per contrastare gli effetti recessivi della manovra. Lo chiediamo al Governo ed al Parlamento”.

Quanto alla liberalizzazione delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali - conclude Confcommercio - occorre guardare a cosa avviene in Europa. Infatti, i livelli di servizio garantiti dal commercio italiano sono già livelli europei con la considerazione che neppure in Francia e in Germania opera un regime di totale deregulation delle aperture domenicali e festive. “La liberalizzazione nelle aperture – continua Claudio Pugnoli - rischia di finire con il discriminare i negozi di vicinato e con il favorire la grande distribuzione che, proprio per l’alto numero degli occupati, può agire con maggiore flessibilità nell’organizzazione dei turni di lavoro dei propri dipendenti. Per i piccoli, invece, il provvedimento rischia di avere pesanti ricadute, senza che i vantaggi giustifichino gli investimenti necessari”. In questo modo si rischia di impoverire le imprese familiari ed aumentarne i rischi di chiusura. Eppure, come ricorda il presidente Ascom: “nella crisi le imprese familiari sono state quelle che hanno dato il contributo maggiore alla tenuta dell'occupazione, con un aumento dei dipendenti del 12%, contro un calo del 10% per i gruppi controllati dallo Stato e del 4% per le multinazionali”.

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