Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 16.21

Marocco Amnesty Chiede giustizia oer PROCESSO D’APPELLO PER LE PROTESTE DEL MOVIMENTO HIRAK-EL RIF

Nawal Benaissa, una tra le voci principali del movimento popolare Hirak El-Rif, che ha partecipato a proteste pacifiche e condotto campagne per il cambiamento sui social media, vive costantemente sotto minaccia. L’appello per chiedere al governo del Marocco di porre fine oggi stesso alle intimidazioni contro Nawal

| Scritto da Redazione
Marocco Amnesty Chiede giustizia  oer  PROCESSO D’APPELLO PER LE PROTESTE DEL MOVIMENTO HIRAK-EL RIF

Marocco Amnesty Chiede giustizia  oer  PROCESSO D’APPELLO PER LE PROTESTE DEL MOVIMENTO HIRAK-EL RIF

Nawal Benaissa, una tra le voci principali del movimento popolare Hirak El-Rif, che ha partecipato a proteste pacifiche e condotto campagne per il cambiamento sui social media, vive costantemente sotto minaccia. L’appello per chiedere al governo del Marocco di porre fine oggi stesso alle intimidazioni contro Nawal 

Decine di giornalisti, manifestanti e altre persone arrestate in relazione alle proteste pacifiche del movimento Hirak El-Rif non hanno avuto diritto a un processo equo di fronte al tribunale di Casablanca. Amnesty International ha chiesto che il processo d’appello ponga rimedio a tutta una serie di irregolarità riscontrate nel giudizio di primo grado.

A giugno 54 appartenenti al movimento per la giustizia sociale Hirak El-Rif sono stati giudicati colpevoli di reati contro la sicurezza in relazione alle proteste del 2016 e 2017 ad Al Hoceima e hanno ricevuto condanne fino a 20 anni di carcere.

Ad agosto 11 condannati hanno ottenuto la grazia reale. Per gli altri 43 prosegue il processo d’appello.

L’analisi effettuata da Amnesty International ha rivelato tutta una serie violazioni del diritto a un processo equo, tra cui “confessioni” estorte con la tortura e poi utilizzate per condannare gli imputati.

“Il processo di primo grado è stato segnato da gravi irregolarità, che il governo del Marocco ha usato per punire e ridurre al silenzio importanti protagonisti delle proteste pacifiche per la giustizia sociale e per impedire con la paura ad altri di prendere la parola”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Il sistema giudiziario marocchino deve assicurare che il processo d’appello non risulti un’altra parodia della giustizia segnata da denunce di tortura e da altre violazioni del diritto a un giusto processo. Se le autorità di Rabat sono serie quando parlano di giustizia, devono fare passi concreti per respingere ogni confessione ottenuta con la tortura o sotto minaccia di tortura e assicurare che tutti i diritti relativi al giusto processo siano rispettati nel corso dell’appello”, ha aggiunto Morayef.

Poiché il processo riguarda le proteste - in alcune delle quali si verificarono scontri con le forze di sicurezza - la pubblica accusa ha presentato accuse pesanti e spesso sproporzionate, che comportano alcune delle pene più dure previste dal codice penale, quali “complotto contro la sicurezza dello stato” per la quale è prevista anche la pena di morte.

Dei 43 imputati di fronte al tribunale d’appello, quattro sono stati rilasciati con la condizionale a giugno e luglio del 2017. I restanti 39 si trovano nella prigione Ain Sabaa 1 (Okacha) di Casablanca. Tra di essi vi sono Nasser Zefzafi, il leader del movimento Hirak El-Rif, altri noti manifestanti pacifici come Najil Hamjike, Mohamed Jelloul e Achraf Yakhloufi, i giornalisti Hamid El Mahdaoui e Rabie Lablak e i cittadini-giornalisti Mohamed El Asrihi, Rabie Lablak, Hussein El Idrissi, Fouad Essaidi e Abd El Mohcine El Attari.

Ai fini della sua analisi, Amnesty International ha intervistato sei avvocati della difesa e dell’accusa e sei famiglie di detenuti; ha esaminato i capi d’accusa, gli argomenti presentati dall’accusa, il verdetto del tribunale e documenti relativi al processo redatti da organizzazioni nazionali e internazionali e da organi d’informazione.

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